Nei villaggi del sud, dove l'incubo delle cluster bomb durerà anni
La sigla di colore rosso su un mattone sistemato a pochi centimetri da una scatoletta nera è inquietante. «CB», cluster bomb, bomba a grappolo. Due parole che sono diventate un incubo per decine di migliaia di libanesi che vivono nel sud del paese e che continueranno ad esserlo per anni. «Avevo sentito durante un programma televisivo che dobbiamo stare attenti a dove mettiamo i piedi, perché i nostri terreni sono pieni di queste cluster bomb sganciate dagli israeliani sul Libano (durante la guerra della scorsa estate, ndr) ma non mi aspettavo di trovarne una proprio nel mio giardino», racconta Hassan Remlawi, di Deir Qanun, indicando il mattone con la scritta «CB». «Qualche giorno fa, mentre ero seduto davanti casa, ho visto vicino all'albero un oggetto strano. Ho telefonato a mio fratello che mi ha detto di tenermi a distanza di sicurezza, perché probabilmente era una di quelle dannate bombe. Aveva ragione». Da allora Hassam Remlavi e la sua famiglia vivono nel timore che l'ordigno esploda all'improvviso, magari a causa del passaggio di un gatto o di un altro animale. Gli artificieri della «Mag» - un'organizzazione non governativa britannica che si occupa di sminamento in Libano del sud - hanno promesso che arriveranno al più presto. Ma sino a quel momento la famiglia Remlawi vivrà nell'ansia.
Gli specialisti della Mag vengono da vari paesi, in gran parte sono ex militari divenuti pacifisti, che hanno deciso di impegnarsi per salvare vite umane in Libano del sud. «È una corsa contro il tempo, perché ogni volta che scopriamo e facciamo brillare uno di questi ordigni sparsi dagli israeliani vuol dire che un essere umano, soprattutto un bambino, ha un pericolo in meno dal quale guardarsi», dice Alain, francese, giunto a Deir Qanun nelle scorse settimane, dopo aver trascorso 12 anni nello sminamento marino per conto di una società privata.
Chiuso nella sua tuta da lavoro protettiva, con la visiera del casco abbassata sul volto, Alain passa le giornate assieme ai suoi colleghi alla ricerca delle cluster bomb. «Sappiamo dove sono le concentrazioni maggiori di questi ordigni oppure ci chiamano gli abitanti - spiega -, per il momento ci stiamo impegnando nella bonifica di edifici e giardini pubblici, strade e case, i luoghi più popolati e frequentati. Questo lavoro richiederà anni, ma non ci perdiamo d'animo». Il cauto ottimismo di Alain non basta a placare la paura in decine di villaggi. Nel Libano meridionale infatti potrebbero trovarsi almeno un milione di bombe a grappolo israeliane e sino ad oggi lo Stato ebraico non ha acconsentito a fornire all'Onu informazioni dettagliate sulle incursioni nelle quali sono state utilizzate queste armi insidiose e letali. Dal cessate il fuoco del 14 agosto fino ad oggi gli ordigni hanno causato la morte di 20 persone, fra cui due bambini, e il ferimento di altre 120. Ad oltre 200mila sfollati è stato sconsigliato di rientrare subito nelle proprie abitazioni, perché sono a rischio. «Al momento sono stati identificati 770 siti sui quali sono state sganciate bombe a grappolo, e sono stati eliminati 30mila ordigni», ci dice accogliendoci nel suo ufficio di Tiro Dalia Farran, portavoce dell'Unmacc, l'agenzia dell'Onu che dal 2000 si occupa dello sminamento del Libano del sud. «Abbiamo dovuto interrompere il lavoro ordinario perché siamo in emergenza. Pensate che dal 2000 a oggi 30 libanesi sono stati uccisi delle mine antiuomo e ora in appena due mesi sono morte già 20 persone a causa delle bombe a grappolo - prosegue, sottolineando che oltre al milione di cluster bomb - in Libano del sud restano ancora 400mila mine antiuomo».
Le bombe a grappolo non sono proibite dalle leggi di guerra, sebbene la Convenzione di Ginevra ne sottolinei i rischi per la popolazione civile. Impiegabili sia dall'artiglieria che dall'aviazione, sono progettate per dividersi in volo. «Un proiettile di artiglieria è in grado di disperdere 88 cluster bomb in un'area di 20 km, un missile sganciato da un aereo ne sparge 644 in 50 km», continua Dalia Farran, mostrandoci una mappa del Libano del sud con una miriade di punti di colore rosso indicanti altrettante località dove sono state individuate le bombe. «Quando un essere umano finisce su uno di questi ordigni nel migliore dei casi perde un arto, altrimenti muore dilaniato». I bambini sono i più esposti al pericolo e proprio per tutelare i più piccoli e più in generale i civili, l'Unmacc ha più volte sollecitato Israele a fornire le mappe militari con l'indicazione delle aree dove sono state sganciate le bombe. «Ma da Tel Aviv non abbiamo ancora ricevuto risposte. Pensate solo di recente Israele ci ha fornito le informazioni su dove si trovano parte delle mine antiuomo. E non è da sottovalutare il fatto che gran parte delle cluster bomb siano state sganciate nelle ultime ore della guerra (della scorsa estate) prima che entrasse in vigore il cessate il fuoco con Hezbollah», conclude Farran. Alcuni sminatori che in passato sono stati impegnati in Kosovo, Sudan, Kuwait, Iraq, Bosnia e Afghanistan, hanno riferito di non aver mai operato in un'area tanto «contaminata» come il Libano del sud.
Per questa ragione gran parte delle attività agricole si sono dovute fermare. «Abbiamo già perduto la stagione del tabacco e ora perderemo quella della raccolta delle olive», dice Maher A-Surawi, un contadino di Yanur «ma non possiamo fare diversamente, abbiamo paura e tra quei pochi di noi che si sono avventurati nei campi, alcuni hanno perduto la vita». Un disastro per l'intero Libano del sud che dipende per il 70% dall'agricoltura ma anche per migliaia di manovali palestinesi dei campi profughi che vivono con la raccolta della frutta, uno dei pochi lavori che sono autorizzati a svolgere. Resta in silenzio la comunità internazionale che pure ha condannato con forza Hezbollah per gli oltre mila katiusha sparati contro i centri abitati (dove hanno fatto più di 30 morti civili). Le cluster bomb nei villaggi sudlibanesi invece non generano sdegno.
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