La parola a Fatma Salih Uthman
“Il vero presidente dell'Iraq è l'ambasciatore americano”...con questa lapidaria affermazione Fatma Salih Uthman, portavoce di «Iniziativa "Le accuse delle donne”», fin dalla prima parte di questa intervista esprime con decisione la sua analisi sull'attuale situazione in Mesopotamia. Si tratta di una posizione che colpisce ancora di più nel segno, considerando che Fatma Salih Uthman è curda, della stessa etnia, quindi, di Jalal Talabani, cioè di colui che almeno sulla carta ricopre il ruolo di presidente dell'Iraq, pur non avendo in realtà grossi poteri, data la presenza sul campo di truppe straniere, soprattutto di quelle stesse che nel 2003 compirono l'illegale attacco al Paese arabo. La testimonianza di Fatma è quindi particolarmente preziosa per la sua obbiettività, che si manifesta anche nel criticare una certa gestione del potere da parte dell'attuale governo regionale curdo nel Nord dell'Iraq, per il modo con cui interagisce con le locali minoranze. Originaria del Kurdistan sotto sovranità turca, Fatma cominciò il suo impegno con l'Organizzazione Makhmour per i Diritti Umani, associazione nota per il suo impegno a favore dei profughi curdi. A causa della sua attività, Fatma ha subito non pochi problemi di natura politica, per cui è attualmente apolide e risiede in un campo profughi dell'Iraq, dal quale continua comunque la sua attività in particolare contro le divisioni settarie, contro l'occupazione straniera dell'Iraq, ed a favore delle donne che hanno subito abusi sessuali da parte di soldati americani e di bande irakene da questi usati. Nel suo impegno a favore dei diritti umani, Fatma Salih Uthman non ha fatto differenze nel prodigarsi a favore delle donne violentate, sia nel caso di prigioniere politiche curde e turche vittime dell'autoritarismo della repressione turca, sia in quello delle irakene arabe. Inoltre, in questa intervista Fatma prende in esame anche le prospettive future, dopo le recenti elezioni che in Iraq hanno visto un netto prevalere delle forze contrarie alla presenza militare degli statunitensi e dei loro alleati, auspicando un'alleanza tra i gruppi, politico-parlamentari e di guerriglia, impegnati a restituire agli irakeni un Iraq veramente libero ed indipendente.
D.) Il suo movimento “Le accuse delle donne” ha un importante obbiettivo nella fine dell'occupazione militare guidata dagli americani: secondo la sua opinione, perchè il proclamato passaggio dei poteri al nuovo governo irakeno non è stato valido? Ed in che modo vi opponete alle forze militari straniere?
R.) E' giusto: ufficialmente il potere è stato rimesso al governo irakeno, ma il potere reale non è con il governo, ed il vero presidente dell'Iraq è l'ambasciatore americano. Grandi parti della bozza per la nuova costituzione sono state scritte a Washington. Tuttora sono gli U.S.A. che controllano il Paese militarmente, politicamente ed economicamente. Il sistema attuale è stato installato dagli U.S.A.. Sono stati loro a preparare le forze di sicurezza che stanno terrorizzando il popolo irakeno. E perfino quando le milizie stanno diventando più potenti di giorno in giorno, sono gli U.S.A. che le spalleggiano, perchè [gli americani, n.d.r.] temono che altrimenti perderanno il supporto delle fazioni curde e sciite che stanno dominando il Parlamento. Ecco perchè la Resistenza deve essere continuata in forme differenti. Ma la Resistenza non significa solo forza militare; sebbene questa naturalmente sia la più forte forma di Resistenza, a lungo termine la protesta civile deve aumentare. E' stato spesso criticato che la Resistenza si stia concentrando sulla forza militare, ma ciò è dovuto almeno in parte al fatto che le forze civili non hanno giocato il loro ruolo come avrebbero dovuto. Gli occupanti non fanno solo un controllo sulla politica e sull'economia, ma puntano a manipolare il neonato movimento di società civile. Quindi, sta a loro emanciparsi dalla stretta dell'influenza straniera e trovare la propria strada diventando rappresentative della popolazione irakena. Ma ancora molte organizzazioni di società civile credono che non debbano criticare l'occupazione, perchè non sono organizzazioni politiche; a parte ciò, poichè non sono collegate con particolari partiti, esse credono di poter unire la Resistenza civile.
D.) Credete di combattere l'occupazione americana anche con la partecipazione alle elezioni? Per esempio, con un programma che includa il ritiro delle truppe al comando di George W. Bush oltre che con la guerriglia e le disobbedienze civili?
R.) Si deve capire che la Resistenza irakena non è supportata da tutte le parti della società, anche quando ogni irakeno vuole che gli U.S.A. abbandonino il Paese. Dopo le elezioni di gennaio i principali partiti curdi e sciiti sostenuti dagli U.S.A hanno formato un governo che non serve al popolo irakeno ma che ha dato ai partiti che hanno le proprie milizie l'opportunità di aumentare il loro potere. A partire dalla costituzione, ad ogni decisione fatta in Parlamento, il governo ha mostrato di non avere alcun interesse nell'unità nazionale. Il governo ancora in carica non ha mai invitato i poteri fuori dal Parlamento al dialogo. Ciò non vale solo per il problema della gente nell'Iraq centrale, ma per l'intero spettro delle organizzazioni della società civile e delle forze nazionaliste. Ciò significa che grandi parti della società non sono state rappresentate da alcun potere. La logica risposta a questa situazione è stata la partecipazione dei partiti con i quali non solo gli arabi sunniti hanno concorso, ma gli irakeni che credono in una soluzione nazionale per gli attuali problemi in Iraq. I mesi a venire mostreranno se questi partiti saranno capaci di giocare il loro ruolo nel parlamento così bene come fuori. In più essi hanno preparato una lista di richieste, come un primo passo per fermare la violenza delle milizie che è aumentata durante gli ultimi mesi. La presenza di nuovi partiti nel Parlamento potrebbe anche rafforzare l'influenza dei poteri nazionalisti sciiti specialmente del gruppo di Moqtada Al Sadr. Ma è almeno di pari importanza che essi aumentino un dialogo con i poteri militari e civili fuori dal Parlamento.
D.) La sua organizzazione è molto attiva nel denunciare violenze sessuali contro donne irakene, perpetrate da militari americani: quanti crimini di questa natura avete accertato?
R.) E' impossibile parlare di numeri, perchè la maggioranza dei casi di violenza sessuale non diventano pubblici. In una società islamica del Medio Oriente è tutt'altro che facile per una donna parlare di abusi sessuali. La violenza sessuale e lo stupro sono ancora un tabù e quindi la società non può sopportarli. Con il pamphlet che abbiamo preparato nell'ultimo mese noi stiamo mirando a rompere con questo tabù. La seconda ragione è che in realtà le donne irakene non sono solo violate dai soldati americani ma anche da forze irakene, specialmente dalle milizie. Essi hanno adottato questa particolare tattica di guerra dagli occupanti, che hanno usato la tortura sessuale e lo stupro in parecchie guerre in tutto il mondo, a partire dalla guerra del Vietnam. Non ci sono statistiche sulle torture nelle prigioni segrete delle milizie, perchè esse ufficialmente non esistono, ma sono trovate dovunque; perfino le scuole e le cantine degli ospedali sono diventate celle di torture. Anche le forze americane registrano i soli detenuti politici nella prigione di Abu Ghraib presso Baghdad e nel Campo di Bucca a Basra [Bassora, n.d.r.]. Quello che sta succedendo alle donne nei centri d'interrogatorio, nelle prigioni segrete e persino nelle loro proprie case difficilmente diviene pubblico. Così sta alle donne e ai loro familiari [decidere, n.d.r.] se un caso diventi pubblico. Ci sono naturalmente famiglie che denunciano casi di violenze alle organizzazioni irakene per i diritti umani, ma sono una minoranza.
D.) Lei è curda, proveniente dalla porzione di Kurdistan sotto la sovranità turca...così, conosce bene il problema degli abusi sessuali contro le prigioniere politiche curde e turche: secondo lei, quali sono i collegamenti tra gli stupri commessi dagli occupanti americani ed ad opera della repressione turca?
R.) Nelle società mediorientali la violenza sessuale contro le donne è uno strumento per umiliare l'intera società. Un corpo militare che violenta una donna pubblicamente non commette questo crimine solo contro una donna, ma semplicemente [anche, n.d.r. ] sulla sua famiglia e sul suo clan. Questa pratica è stata usata in molte guerre e conflitti armati dalla guerra del Vietnam, quando gli attaccanti non furono in grado di spezzare la Resistenza delle forze militari. Intanto questo strumento di guerra particolare è stato esportato in Paesi dove l'onore delle donne è uno dei più forti pilastri della società, che è il caso particolarmente delle società musulmane. Questa sporca tattica dagli U.S.A. si è fatta strada nelle pratiche di contrasto all'insurrezione. Questo è il parallelo per entrambi i Paesi: le forze di sicurezza stanno combattendo la loro propria popolazione. Nel caso della Turchia è la popolazione curda e nel caso dell'Iraq è la popolazione sunnita. Ma è necessario [per la repressione americana e turca, n.d.r.] che anche membri di gruppi politici che sono chiamati "nemici" e "terroristi" non siano trattati come cittadini. Sono esclusi dalla protezione della comunità, e secondo questa logica devono essere trattati nello stesso modo di membri di un gruppo etnico o culturale che stia combattendo per i suoi diritti. E' importante capire che questi crimini possono solo essere commessi sulle donne di altri che sono in un modo o nell'altro fuorilegge. Si può vedere che due cose sono necessarie per compiere la violenza estrema contro le donne, che è contro le norme morali della società; in primo luogo, deve essere una società che si basi su un concetto di onore che è manifestato nella purezza delle donne, e secondariamente [deve esserci, n.d.r.] l'idea occidentale di Stato nazionale [in forma estremizzata, n.d.r.] che definisca chi appartenga alla comunità e chi non ne faccia parte. Mustafa Kemal Ataturk adottò questo concetto nella fondazione dello Stato turco dopo la caduta dell'Impero Ottomano. Il kemalismo, l'ideologia portante della Repubblica turca, annulla i diritti di altre identità culturali diverse dalla turca. Mentre in Iraq sono stati gli U.S.A. che hanno mirato a riorganizzare il Paese secondo identità culturali con il risultato che in entrambi in Paesi le tensioni settarie e la violenza etnicamente motivata sono ricadute su un terreno fruttuoso. Quello che ha permesso la violazione delle donne è anche una fuga da questa violenza [che lascia le donne sole ed indifese, n.d.r.]. In una società con tolleranza per l'altro, dove ognuno non è protetto dalla legge, nello stesso modo nè lo stupro nè la tortura appariranno.
D.) State lavorando soprattutto nel Nord dell'Iraq, terra a maggioranza curda: in che modo vi rapportate con le locali minoranze arabe, turcomanne ed assire?
R.) Nella situazione momentanea le minoranze etniche hanno una vita nelle regioni regolata dal governo curdo regionale; neppure hanno organizzazioni civili indipendenti e partiti politici. Questa è una situazione che deve essere combattuta prima che altro sangue sarà sparso, e sulla base di questa idea stiamo difendendo i diritti di tutte le minoranze. Noi lavoriamo per una società che non sia costruita sulla divisione inserendo persone in categorie, ma su valori umani. Da donne dobbiamo capire che stiamo subendo dalle stesse strutture patriarcali, che stiamo subendo per tutti i nostri figli che sono mandati in una guerra che causa null'altro che sofferenza; e dobbiamo capire che siamo tutti vittime di un sistema che crede con la forza di raggiungere i suoi scopi. Questa è una buona base per lavorare per una società pacifica che rispetti gli altri.
D.) Quali sono i vostri più importanti successi e quali i più importanti obbiettivi ancora da raggiungere?
R.) Il nostro principale successo è che abbiamo potuto rompere il silenzio che era caduto sull'argomento dopo che i crimini di Abu Ghraib erano stati in tutti i comunicati giornalistici per alcune poche settimane. I media hanno sempre bisogno di nuove informazioni principali, ma le sofferenze stanno andando avanti. E' un nostro vantaggio che non siamo collegati nè con un sistema politico nè con alcun gruppo religioso o etnico. Che siamo curde e musulmane non significa che stiamo combattendo per scopi di fazione. E' importante adesso mettersi in relazione con i gruppi di donne curde nel Nord dell'Iraq. Esse hanno chiuso i loro occhi su cosa sta accadendo alle loro sorelle sovente con il supporto dei Peshmerga, la milizia curda. Il principale apparato politico ha creato un'atmosfera di paura che rende difficile costruire ponti. Ciò che accade oggi alle donne irakene può succedere domani alle donne di qualsiasi altro Paese. Al momento noi assistiamo a come l'Occidente si stia preparando per un attacco sull'Iran, la Siria potrebbe anche essere in agenda, e allo stesso tempo un gioco sporco è stato iniziato nel fare vignette del profeta Maometto, per provocare ed umiliare le persone musulmane e per "provare" la loro avversione alla democrazia. Questi conflitti architettati causano non solo inimmaginabili sofferenze alle donne e ai bambini, ma distruggono anche un'antica cultura di tolleranza per la quale il Medio Oriente una volta era famoso. Il reazionario è il risultato di un'invenzione straniera. Il nostro sogno è che un giorno la gente del Medio Oriente passeggerà mano nella mano in direzione della pace e della libertà.
Intervista e traduzione dall’inglese di Antonella Ricciardi
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