L’ultimo atto non di una guerra, ma di un ennesimo gioco di potere si è consumato Domenica con la sentenza pendente su Saddam Hussein e la prossima esecuzione per impiccagione. La guerra trasmessa dalla tv, la guerra paventata dai politici, la guerra combattuta dai pacifisti, o da coloro che si credono tali. Una guerra che non è mai esistita ai nostri occhi se non per quello che vogliamo saperne, per quello che ci costringono a sapere. Guerra. Guerra. Ancora guerra. La nuova frontiera della guerra non sono le vittime, le armi, le esplosioni o gli attentati, perché queste sono le cornici, lo sbatter di ciglio che ci viene imposto e su cui dobbiamo moralmente ma erroneamente dibattere.
Dietro la maschera dei morti, non si cela più una battaglia per valori, una lotta per il raggiungimento di un ideale, rivoluzionario o riformista che sia, bensì uno spietato gioco di potere e di interessi riservato e comprensibile solo a pochi eletti, che intendono qualcosa di politica o che non fanno parte di quella massa di persone infibulate da luoghi comuni e infarciture democratiche.
E così la guerra in Irak è stata ed è ancora pesata dai pacifisti con il calibro della altre guerre, fermiamola dicono, è semplice, fermate il conflitto, via i soldati da quei posti, mentre altra povera e umile gente di associazioni umanitarie viene rapita, picchiata, sequestrata, interrogata e anche fucilata. Perché l’Irak è stato solo lo zuccherino, l’osso saporito dato in pasto a noi poveri esseri ignoranti che credono che nello sventolare la bandiera della pace si risolva qualcosa, perlomeno per noi e la nostra coscienza.
Un’ultima frontiera della guerra che ti sbatte in primo piano triste vicende come la recente di Torsello, ma che nasconde la verità, perché la verità esiste e non è frutto oggi di relativismi religiosi o morali. Esiste una verità sull’Irak che pochi sanno, che pochi nascondono e che purtroppo molti non conoscono, forse per disinformazione, forse per malinformazione, forse perché l’istruzione non ha svolto appieno il suo compito. Fahrenheit 9\11 ci ha sbattuto in faccia violentemente nuove realtà, nuove frontiere ludiche del potere, ma è difficile comprenderli appieno. E’ difficile capire come una guerra su scala planetaria possa essere compiuta solo e unicamente per fini economici, per gli interessi di taluni potenti del pianeta: tali potenti che detengono nelle loro mani poteri politici ed economici, che appartengono a culture e a popoli diversi. Stranamente, dopo un certo livello, il razzismo sembra sparire. Quando in gioco entra il denaro, tutto diventa merce e anche una differenza tra persone è comprabile, specie se frutta e anche molti quattrini.
In america Bush e la sua combriccola costruita con sapiente paternalismo, in Medio oriente la famiglia Saudita petrolifera, ed il gioco è fatto. La televisione ci ha annoiato per migliaia di ore sulla necessità di rifiutare questa guerra in Irak, ma quanti hanno capito perché dovessimo realmente farlo? Perché il sangue ci fa ribrezzo? Perché vogliamo la pace? O forse la democrazia?
Berlusconi ha partecipato a questo assurdo teatrino, sapendo o non sapendo dei piani segreti di Bush, ha partecipato ad una guerra, che in realtà è un conflitto di disinformazione, di terrore, ma non di verità. In Irak non si è mai combattuto per la democrazia, o più semplicemente per far vincere la verità. Le armi di distruzioni di massa, fornite a Saddam dagli stessi americani e magicamente sparite, non sono altro che una caratteristica palese della battaglia trionfalistica di interessi di Mister Bush&co. Interessi che hanno portato pochi anni prima ad aiutare Saddam, e pochi anni dopo a sterminare il suo popolo, invadendo la sua nazione. C’è poco che sa di guerra ideologica. La democrazia è più un’utopia che un’utile realtà; è più un orsacchiotto dato alle masse per nascondere quelle dilettanze politiche che aiutano gli uni e danneggiano gli altri.
Il processo a Saddam è stato l’ultimo capitolo di questa triste e vergognosa guerra mediatica. La democrazia portata in Iraq dagli americani, paradossalmente se ne è andata nel momento in cui si stava processando l’uomo che “doveva imparare maggiormente da essa”, in un processo che fa discutere e irretire la stessa Amnesty International. Il cerchio degli interessi si chiuderà con l’impiccagione di Saddam, nient’altro un burattino nelle mani di poteri politici ed economici ben più forti di lui.
E’ giusto processare Saddam e condannarlo per i brutali crimini che ha commesso, ma sarebbe altrettanto giusto condannare coloro che pur essendo dei cosiddetti popoli “democratici e civili”, lo hanno aiutato e trattato a proprio piacimento per realizzare fini esclusivamente personali, addirittura combattendo guerre che hanno causato migliaia di vittime e fomentato la Jihad.
La pena di morte alla fine si è ancora rivelata la classica soluzione da Far West americana: una nuova filosofia da vecchi sceriffi è sempre utile. In fondo, un criminale in prigione, seppur di massima sicurezza, costerebbe comunque troppo alle nostre società civili.
Soprattutto se sa troppo.
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