L’assalto della pietra di Soloveckij
Su una scrivania dell’Ufficio degli Affari Interni di Kitaj-gorod (in centro, la sezione di fronte alla Piazza Rossa) sembra ci sia una commemorazione di Beslan.
Crisantemi buttati alla rinfusa. Candele fuse. Manifesti fatti a mano. Inchiostro nero su sfondo bianco: “In suffragio, Signore, delle anime degli uccisi dai terroristi e dai nostri”. A lettere bianche su carta nera: “Ricordiam…” L’autore, certo, aveva scritto “ricordiamo”, ma sull’ultima “o” c’è uno strappo.
I manifesti fatti a pezzi, i fiori spezzati, le candele schiacciate. Tra quello che resta su quella scrivania il nostro giornale fa capolino da sotto i brandelli di un manifesto, il numero 65, tutto sgualcito, dove abbiamo pubblicato l’ormai noto rapporto del deputato del Parlamento Jurij Savel’ev. Il calendario segna il 3 settembre e questa è una scrivania della polizia, la scrivania delle prove materiali.
L’antefatto della comparsa di tante strane prove materiali è il seguente: la scorsa domenica, quando tutte le persone normali erano in lutto per gli ostaggi uccisi due anni fa, le forze dell’ordine della capitale dimostrarono ai moscoviti come esprimere correttamente il proprio dolore, cosa è lecito pensare su Beslan e cosa no. Come risultato, tutti quelli che si erano radunati per esprimere il proprio cordoglio nei luoghi appositamente “autorizzati” dal potere, deposero i fiori dove gli era stato indicato e tranquillamente tornarono a casa. Quelli che scelsero invece autonomamente un luogo, furono dispersi dal reparto speciale di polizia moscovita, quelli che sono stati fermati saranno processati (Circoscrizione N°360 del tribunale di quartiere Tverskoj).
Si tratta essenzialmente di difensori dei diritti umani della capitale, che avevano avvisato in anticipo le autorità che esattamente alle 13.05 (ora dell’inizio dell’assalto a Beslan il 3 settembre 2004) si sarebbero riuniti presso la pietra di Soloveckij in Piazza Lubjanka a Mosca, luogo tradizionale di manifestazioni in memoria: per accendere candele, ricordare, stare insieme in silenzio, coprire la pietra di fiori.
La prefettura del distretto centrale di Mosca, in risposta alla lettera di notifica del movimento Za prava čeloveka (Per i diritti dell’uomo), notificò che simili iniziative erano vietate (sebbene la legge non dia al potere esecutivo il diritto di vietare alcunché).
La prima ragione ufficiale del divieto era la seguente: si terrà nello stesso luogo “una festa con solenni manifestazioni” (il Giorno della Città). Quando però i venti dall’alto cambiarono e tutti decisero di circoscrivere il giorno della Città solo al 2 settembre e il 3 programmarono commemorazioni ufficiali per Belsan emerse una seconda scusa: il 3 occorre “pulire la piazza Lubjanka dopo la festa”.
Ed ecco il 3 settembre, 12.50. Va bene il divieto, ma il dolore c’è sempre. In generale, sia per chi vieta, sia per gli altri. Circa 200 persone si recarono in piazza Lubjanka, con fiori, manifesti, ritratti dei bambini uccisi. E incontrarono i cordoni della polizia. La pietra di Soloveckij, monumento in memoria delle vittime della repressione politica, era accerchiata da giovani poliziotti (dalla scuola di polizia) che formavano un primo anello di forze dell’ordine. Alle spalle dei cadetti, difendendo le vicine vie di accesso alla pietra di Soloveckij, c’erano “persone in borghese” in quantità chiaramente sproporzionate. Di che cosa aver così paura? Risulta strano in generale quando dei “civili” così attivamente, con chiara esagerazione, cercano di difendere la pietra di Soloveckij…dai difensori dei diritti umani…Per completare l’ibridismo politico è come se i “difensori dei diritti umani circondassero il monumento a Dzeržinskij e lo proteggessero dai collaboratori dell’FSB” ( secondo una calzante osservazione di Jurij Samodurov, direttore del Museo e Centro Sociale Andrej Sakharov).
Molti di quelli in “borghese” hanno una ricetrasmittente “all’orecchio”, continuamente riferiscono qualcosa e ascoltano, chiudendo l’altro passaggio auricolare, su raccomandazione di coordinatori invisibili. Ad alta voce aizzano la polizia: dai-dai, disperdete. E tutto è ripreso dalle telecamere; gli “operatori” visibilmente si adoperano per grossi primi piani: affinché negli archivi restino i volti degli “scorretti”. Una parte degli “operatori” lavora direttamente nella folla, dove molti tengono in mano l’edizione su Beslan della Novaja Gazeta con il rapporto del deputato parlamentare Jurij Savel’ev, che ha confutato la versione ufficiale dell’assalto a Beslan. Poi, alla polizia, nei protocolli avrebbero spiegato: “…Aveva in mano il N° 65 della Novaja Gazeta”. Che cos’è, una colpa?
La gente discute le conclusioni del deputato Savel’ev, la maggior parte è d’accordo con lui. Dicono: “E di nuovo non hanno badato a spese…”. I “civili” gli mettono le telecamere direttamente in faccia, sogghignano apertamente: “Pazzi! Disperdetevi!”.
Alle 13.05, proprio alle 13.05, nel minuto di inizio dell’assurdo assalto alla scuola due anni fa, i “civili”, non pensando al confronto, per loro, vergognoso, danno l’ordine alle forze speciali di assaltare gli afflitti “scorretti”.
Le forze speciali (è lampante) questa volta particolarmente violente, non fanno alcuna cerimonia: strappano i manifesti, calpestano con i tacchi degli stivali dell’esercito direttamente i manifesti artigianali “Ricordiamo, preghiamo, ci affliggiamo…”. La folla scandisce: “Ver-go-gna! Ver-go-gna!”. Le donne si avvicinano ai soldati, li esortano: “Cosa fate? Ragazzi, ve ne vergognerete!”. Ma loro biascicano: “I mass media mentono…i mass media mentono tutti…”. E continuano a battere le mani e i piedi a destra e a sinistra.
Alle 13.10 è tutto finito: 13 persone di due partiti, cacciati negli autobus avvicinatisi in precedenza, insieme con i manifesti e i fiori, vengono portati via all’Ufficio degli Affari Interni di Kitaj-gorod. Le donne di nuovo accendono le candele, proprio sull’asfalto del passaggio Lubjanskij. Qualcuno mette lì, sul marciapiede, un topo e una lepre di peluche, un bambino piccolo posa vicino ai giochi la sua caramella, posano una bottiglia d’acqua. Si forma un altare di Beslan, come in altre mille città del mondo in questo giorno e a quest’ora. Le persone pregano a bassa voce, piangono, i ragazzi del primo blocco militare si nascondono gli occhi. In aiuto dei fermati all’Ufficio degli Affari Interni di Kitaj-gorod vengono i deputati del parlamento cittadino moscovita, che hanno partecipato al picchetto presso la pietra di Soloveckij, Ivan Novickij (SPS) e Sergej Mitrokhin (Jabloko).
Nell’ufficio della polizia in quel momento si accende un’inaspettata discussione tra “questi” e “quelli”: i fermati, che aspettano il proprio turno di compilazione del protocollo, e i membri delle forze speciali, lì come testimoni “del disordine di massa”. Jurij Samodurov (trattenuto) estrae dalla tasca della giacca proprio quell’edizione della Novaja Gazeta su Beslan e la mostra ai soldati delle forze speciali:
- Capite, è il rapporto di un deputato. Lui stesso è un artificiere, ha fatto delle ricerche, è uno specialista. Leggete, ha dimostrato che l’incendio nella palestra è iniziato quando le nostre granate hanno colpito il tetto della scuola. Gli ostaggi bruciarono per questo…
I soldati respingono con insistenza:
- No! Non può essere! I mass media mentono tutti! E il rapporto non è del deputato, ma l’hanno scritto gli stessi giornalisti! È della Novaja! Ci hanno spiegato…
Ma che cosa è stato loro spiegato? La violenza dei soldati delle forze speciali contro i pensatori “irregolari” è imbrigliata dalle menzogne dei loro capi come misura in risposta a coloro che sostengono la versione “cattiva” del deputato Savel’ev? E tutto questo casino alla pietra di Soloveckij con un picchetto disperso, semplicemente la parte della battaglia per la “buona” Lubjanka, che non poteva bruciare i bambini coi lanciafiamme a Beslan?.. La parte della battaglia con le informazioni “sbagliate”?
La discussione e le parole interrotte chiariscono la sensazione di come è passato nel paese il secondo anniversario dei giorni di Beslan. Il potere è entrato nello scontro decisivo con chi la pensa diversamente su un tema per lui malato, nessun Savel’ev…Cercano di privatizzare tutto: sia il dolore, sia l’ideologia, e, nel corso della pièce, persino la pietra di Soloveckij…
Ma questi sforzi sono stupidi al tempo di Internet. L’FSB ha requisito 300 esemplari del rapporto di Savel’ev all’aeroporto dell’Ossezia del Nord (era il 2 settembre?). Ma se ne possono stampare dalla rete persino 1000. Hanno stracciato la Novaja Gazeta con lo stesso testo? Che vadano per la strada indicata dall’alto…Se ne deduce che i grandi capi dei “difensori della pietra di Soloveckij” non hanno ancora assimilato le moderne tecnologie d’informazione.
Può essere che tutto vada per il meglio. Finché esse saranno incontrollabili, noi ne avremo accesso, ovunque esse portino.
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