Conflitti

La fine dei dittatori. Gli Stati Uniti ed Israele vogliono che il Medio Oriente sia travolto dalla guerra civile?

2 gennaio 2007
Jonathan Cook
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: www.zmag.org - 20 dicembre 2006

Nazareth—L’era del dittatore mediorientale, sostenuto e allo stesso tempo sostenitore delle linee politiche occidentali, sembra davvero finita. Il suo potere sta per essere rimpiazzato dalla legge della guerra civile, quello che, al momento, sembrerebbe il modello preferito dall’amministrazione americana ,da un capo all’altro della regione.

Lotte fratricide minacciano di travolgere, o stanno già travolgendo, i territori palestinesi occupati, il Libano e l’Iraq. La Siria e l’Iran potrebbero essere i prossimi, straziati dagli attacchi che, da quanto viene riferito, Israele sta pianificando nell’interesse degli Stati Uniti. Le ripercussioni di simili azioni potrebbero portare, con molte probabilità, alla distruzione della regione.

Ai politici occidentali piace dipingere la guerra civile come una delle conseguenze del fallimento dell’intervento occidentale in Medio Oriente. Se solo ci fossimo impegnati più a fondo del conflitto israelo-palestinese, o se avessimo sferrato un’offensiva più risolutiva contro le manipolazioni del Libano in Siria, o se fossimo stati più attivi nella nostra partecipazione in Iraq , la lotta settaria si sarebbe potuta evitare. Tutto questo ovviamente implica che, senza la guida benevola dell’Occidente, le società arabe sono incapaci di tirarsi fuori, con le loro uniche forze, dallo stato primitivo e dalla barbarie in cui vivono.

Ma in realtà, gli architetti di queste fratture nell’ordine sociale sembrano essere gli Stati Uniti o Israele. In Palestina, Libano e Iraq, la controversia settaria è niente rispetto allo scontro delle ideologie e degli interessi politici, dal momento che le fazioni rivali non riescono a decidere se sottomettersi all’interferenza americana e israeliana o opporre resistenza. La fonte da cui queste fazioni traggono finanziamenti e legittimità - si delineano sempre di più due opzioni, l’Iran o gli Stati Uniti – sembra determinante nella loro scelta di posizione in questo braccio di ferro.

La Palestina è in fermento perché i palestinesi medi sono divisi tra il loro desiderio democratico di assistere ad un’opposizione all’occupazione israeliana (le libere elezioni hanno svelato che il partito di Hamas è, a loro avviso, il più adatto a raggiungere questo obiettivo), e il bisogno primario di portare ogni giorno cibo sulle loro tavole. Il combinato assedio economico, internazionale ed israeliano, del governo di Hamas, e della popolazione palestinese, ha reso inevitabile un’aspra lotta interna per il controllo delle risorse.

Il Libano sta cadendo a pezzi perché la sua popolazione è divisa: per una parte di loro il paese potrà avere un futuro soltanto attirando il capitale occidentale e accogliendo l’abbraccio di Washington, mentre altri considerano l’interesse dell’America una copertura per permettere ad Israele di realizzare il suo progetto di sempre, la trasformazione del Libano in uno stato vassallo, con o senza l’occupazione militare. La parte dalla quale si schierano i libanesi nell’attuale situazione di stallo, rispecchia il loro giudizio sulla plausibilità delle pretese di benevolenza da parte dell’Occidente e d’Israele.

E il massacro compiuto in Iraq non è il semplice risultato dell’illegalità, come viene comunemente descritto, ma anche di gruppi rivali, di “insorti” non facilmente identificabili, che si servono di svariate strategie, brutali e contraddittorie: tentano di spodestare gli occupanti anglo-americani e di punire gli iracheni locali sospettati di collaborare con loro; traggono beneficio dal regime iracheno fantoccio e macchinano per ottenere posizioni di prestigio prima della grandiosa ed inevitabile uscita degli americani.

Le conseguenze che si sono avute in Palestina, Libano e Iraq si sarebbero potute prevedere e quasi certamente lo furono. Anzi, si fa sempre più forte l’ipotesi che la carneficina e l’escalation di tensioni siano state pianificate. Il problema qui non è rappresentato tanto dall’assenza di un intervento occidentale, quanto da quello che sembrerebbe essere l’obiettivo preciso di tale intervento, vale a dire la frammentazione e la violenza in queste società.

E in Inghilterra, a dimostrazione che ciò è accaduto nel caso dell’Iraq, sono emerse anche delle prove. La testimonianza di un ufficiale superiore inglese nel corso dell’inchiesta Butler del 2004, sugli errori commessi dall’intelligence nella corsa all’invasione dell’Iraq, pubblicata tardivamente, dopo i tentativi del Ministero degli Esteri di insabbiarla.

Carne Ross, un diplomatico che ha partecipato alla negoziazione di molte deliberazioni sull’Iraq del Consiglio di sicurezza dell’ONU, ha dichiarato nel corso delle indagini che gli ufficiali inglesi ed americani sapevano benissimo che Saddam Hussein non era assolutamente in possesso di A.D.M. (Armi di distruzione di massa) e che far cadere il regime dell’ex raìs avrebbe portato il caos.

“Ricordo che il team britannico ha espresso questo giudizio in più di un’occasione nel corso delle nostre discussioni con gli Stati Uniti (che concordavano)”, ha dichiarato, aggiungendo: “Al tempo stesso, si ragionava spesso, quando gli Stati Uniti sollevavano l’argomento, sul fatto che “un cambio di regime” fosse inevitabile, innanzitutto per il caos in cui sarebbe sprofondato l’Iraq”.

Perché allora gli Stati Uniti vogliono che la guerra civile infuri in tutto il Medio Oriente, minacciando, almeno apparentemente, interessi strategici come le forniture di petrolio e la sicurezza di un alleato regionale fondamentale come Israele?

Fino alla presidenza di Bush Jnr, la dottrina americana in Medio Oriente era stata insediare o sostenere i dittatori, reprimendoli o sostituendoli quando non incontravano più il favore di nessuno. Perché, quindi, un così drammatico e, almeno all’apparenza, incomprensibile cambiamento delle linee politiche?

Perché permettere l’isolamento e l’umiliazione di Arafat nei territori occupati, seguito poi da Mahnoud Abbas, quando entrambi avrebbero potuto essere istruiti come dittatori, se solo avessero avuto gli strumenti che il processo di Oslo aveva loro implicitamente promesso: uno stato, i privilegi e i mezzi coercitivi necessari ad imporre la loro volontà su gruppi rivali come Hamas? Con praticamente nulla da dimostrare per gli anni delle concessioni ad Israele, entrambi apparivano agli occhi dei Palestinesi dei cagnolini da salotto più che dei rotweiler.

Perché sollevare un polverone tanto improvviso quanto inutile attorno all’interferenza della Siria in Libano, interferenza originariamente incoraggiata dall’Occidente come modo per tenere sotto controllo la violenza settaria? Perché estromettere Damasco dalla scena e promuovere poi una “Rivoluzione dei Cedri” per favorire gli interessi di una sola sezione della società libanese e continuare ad ignorare le preoccupazioni della comunità più estesa e insoddisfatta, la Shia? Quale altro risultato ci si sarebbe dovuto attendere se non la diffusione del risentimento e la minaccia della violenza?

E per quale motivo invadere l’Iraq col falso pretesto di localizzare le A.D.M. e far cadere il suo dittatore, Saddam Hussein, che per decenni era stato armato e supportato dagli Stati Uniti e aveva, con efficacia se non crudeltà, tenuto unito l’Iraq? Dalla testimonianza di Carne appare chiaro che nessuno, all’interno dell’intelligence, riteneva che Saddam rappresentasse una minaccia per l’Occidente. Anche se c’era il bisogno di “reprimerlo” o possibilmente sostituirlo, cosa di cui i precedessori di Bush erano assolutamente convinti, perché il presidente decise di rovesciarlo, lasciando un vuoto di potere nel cuore dell’Iraq?

La risposta sembra essere strettamente collegata all’ascesa dei neoconservatori, che alla fine, con l’elezione di Bush, hanno impugnato il potere. Il sito di notizie più popolare d’Israele, Ynet, ha recentemente osservato circa i neoconservatori: “Molti di loro sono ebrei che condividono l’amore per Israele”.

La visione dei neoconservatori della supremazia globale americana è intimamente legata, se non dipendente dalla supremazia regionale di Israele. Non è che i neoconservatori abbiano scelto di promuovere gli interessi di Israele passando sopra quelli dell’America, il fatto è che considerano gli interessi delle due nazioni inseparabili e identici.

Nonostante si identifichi solitamente con la destra israeliana, l’alleanza politica neoconservatrice con il Likud rivela la loro adesione all’adozione di mezzi belligeranti per raggiungere i loro obiettivi politici più che gli obiettivi stessi.

Lo scopo principale della politica israeliana, dalla destra alla sinistra, è stata per anni acquisire più territorio possibile alle spese dei suoi vicini e fortificare la sua supremazia regionale attraverso “dividere e governare”, in particolar modo a discapito dei vicini più deboli come i palestinesi e i libanesi. Ha sempre aborrito il nazionalismo arabo, soprattutto quello battista in Iran e Siria, perché appariva immune ai suoi intrighi.

Per molti anni, Israele ha favorito il tradizionale approccio colonialista che l’Occidente utilizzò in Medio Oriente, quando Inghilterra, Francia e in seguito gli Stati Uniti supportarono i leader autocratici, soprattutto quelli delle minoranze, per governare sulla maggioranza nei neostati da loro creati, senza distinzione tra i cristiani in Libano, gli alatiti in Siria, i sunniti in Iraq o gli ashemiti in Giordania La maggioranza risultò quindi indebolita e la minoranza obbligata a sottostare all’indulgenza colonialista per mantenere la sua posizione privilegiata.

L’invasione del Libano da parte di Israele nel 1982, ad esempio, fu architettata per consacrare un dittatore cristiano e tirapiedi degli Stati Uniti, Bashir Gemayel, a presidente accondiscendente con un’alleanza con Israele contro la Siria.

Ma gli anni di repressione e oppressione della società palestinese hanno permesso ad Israele di sviluppare un approccio differente al “dividere e governare”: quello che potrebbe essere definito caos organizzato o modello della “discordia”, che arrivò a dominare il suo pensiero e successivamente quello dei neoconservatori.

Durante l’occupazione della Sponda Occidentale e di Gaza, Israele preferì la discordia ad un dittatore, consapevole che uno dei requisiti indispensabili di quest’ultimo sarebbe stata la creazione di uno stato palestinese dotato di una forza di sicurezza bene armata. Nessuna di queste opzioni fu mai seriamente contemplata.

Soltanto per un periodo, sotto la pressione internazionale, Israele fu obbligato a tenere comportamenti meno severi e ad adottare il modello dittatoriale permettendo a Yasser Arafat di rientrare dall’esilio. Ma la reticenza di Israele nel fornire ad Arafat i mezzi per affermare il suo governo e sopprimere i suoi rivali, come Hamas, portò inevitabilmente al conflitto tra il presidente palestinese e lo stesso Israele che sfociò nella seconda intifada e nella riadozione del modello della discordia.

Quest’ultimo approccio sfrutta i difetti e le pecche della società palestinese per esacerbare tensioni e violenza. Inizialmente Israele raggiunse questo obiettivo promuovendo la rivalità tra i leader regionali, obbligati a competere per ottenere la protezione di Israele. Successivamente Israele incoraggiò lo sviluppo dell’estremismo islamico, soprattutto sotto la forma di Hamas, come contrappeso alla crescente popolarità del nazionalismo secolare del partito di Arafat, Fatah.

Il modello della discordia adottato da Israele sta adesso raggiungendo la sua apoteosi: la guerra civile, di basso livello e permanente, tra la vecchia guardia di Fatah e i nuovi eletti di Hamas. Questa specie di lotta interna palestinese ha il vantaggio di esaurire le energie della società e la sua abilità nell’organizzarsi contro il vero nemico: Israele e la sua permanente occupazione.

Sembra che i neoconservatori siano rimasti impressionati da questo modello tanto da volerlo esportare in altri stati mediorientali. Sotto la presidenza di Bush, l’hanno venduta alla Casa Bianca come la soluzione ai problemi dell’Iraq e del Libano e alla fine anche di quelli dell’Iran e della Siria.

Scatenare una guerra civile sembrava essere l’obiettivo dell’assalto di Israele in Libano durante l’estate. L’attacco è fallito, come lo stesso Israele ha ammesso, perché la società libanese si è nascosta dietro l’impressionante dimostrazione di resistenza di Hizbullah invece che prendersela, come sperato, con la milizia Shia.

La scorsa settimana il sito israeliano Ynet ha intervistato Meyrav Wurmser, cittadino israeliano e cofondatore di MEMRI, un servizio che si occupa della traduzione dei discorsi tenuti dai leader arabi, sospettato di avere legami con i servizi di sicurezza israeliani. Meyvar Wurmser è anche la moglie di David Wurmser, un consigliere superiore neoconservatore del vice presidente Dick Cheney.

Meyrav Wurmser ha rivelato che l’amministrazione americana ha pubblicamente tentennato durante l’assalto di Israele in Libano perché aspettava che Israele estendesse il suo attacco alla Siria.

“La rabbia (della Casa Bianca) va oltre il fatto che Israele non abbia combattuto contro i siriani… I neoconservatori sono responsabili del fatto che Israele ha avuto a disposizione parecchio tempo e spazio… Credevano che Israele dovesse essere il vincitore. La maggior pare di loro pensava che Israele dovesse combattere contro il vero nemico, colui che appoggia Hizbullah. Ovviamente è impensabile pensare che si possa combattere direttamente contro l’Iraq, ma l’idea era che la sua nemica [dell’Iran] più importante e strategica [la Siria] dovesse essere colpita”.

Wurmser ha dichiarato: “E’ difficile per l’Iran esportare la sua rivoluzione sciita senza unirsi alla Siria, l’ultimo paese arabo nazionalista? Se Israele avesse colpito la Siria, il colpo subito avrebbe senza dubbio indebolito l’Iran costringendolo a cambiare la sua mappa strategica in Medio Oriente”.

I neoconservatori parlano spesso di cambiamenti delle mappe in Medio Oriente. Come lo smembramento dei territori occupati in ghetti sempre più piccoli in Israele, anche in Iran si sta verificando una divisione in mini-stati feudali. La guerra civile, si spera, sposterà le energie dell’Iraq dalla resistenza all’occupazione statunitense con risultati ancora più negativi.

Un destino simile sembrerebbe essere riservato alla Siria e all’Iran, almeno se i neoconservatori, nonostante la loro influenza in declino, riusciranno a realizzare le loro previsioni nel corso degli ultimi due anni di presidenza di Bush.

Il motivo è che un Medio Oriente feudale, sebbene appaia come un disastro agli occhi degli osservatori più informati, sembra essere molto desiderato da Israele e dai suoi alleati neoconservatori. Sono convinti che l’intero Medio Oriente possa essere governato con successo nel modo in cui Israele ha governato le sue popolazioni palestinesi all’interno dei territori occupati, in cui le divisioni secolari e religiose sono state accentuate, cosa che si è verificata all’interno dello stesso Israele, dove per decenni i cittadini arabi sono stati “palestinizzati” e trasformati in musulmani, cristiani, druidi e beduini, inerti e senza identità.

Una simile conclusione potrebbe apparire sconsiderata, ma lo stesso vale per la visione della Casa Bianca, secondo cui la conclusione sarebbe legata ad uno “scontro di civiltà” che potrebbe vincere con la guerra del terrore.

Ogni stato è in grado di agire in modo irrazionale ed autodistruttivo, ma Israele e i suoi sostenitori potrebbero risultare più vulnerabili di altri a questo insuccesso. Questo perché la percezione che gli israeliani hanno della loro regione e del loro futuro è stata gravemente distorta dall’ideologia ufficiale dello stato, il Sionismo, secondo cui Israele ha il diritto inalienabile di preservarsi in quanto stato etnico, con le sue confuse supposizioni messianiche, curiose per un’ideologia secolare, secondo cui gli ebrei dovrebbero far ritorno ad una terra promessa da Dio e il suo disprezzo e rifiuto di capire qualsiasi cosa sia araba o musulmana.

Se ci aspettiamo un comportamento razionale da Israele e dai suoi alleati, allora siamo solo degli stupidi.

Note: Jonathan Cook è uno scrittore e giornalista che vive a Nazareth, Israele. Il suo libro “Blood and Religion: The Unmasking of the Jewish and Democratic State” [“Sangue e religione: lo smascheramento dello stato ebraico democratico”, n.d.t.] è stato recentemente pubblicato da Pluto Press. Il suo sito web è www.jkcook.net

Link al testo originale in inglese: http://www.zmag.org/content/printarticle.cfm?itemID=11673§ionID=22

Tradotto da Maria Teresa Masci per www.peacelink.it
Il testo e' liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la
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