Conflitti

Dal voto in Serbia monito sul Kosovo

Belgrado chiama Europa Ma non volta le spalle alla sua storiaVincono i Radicali ultranazionalisti con il 29%. Ma non faranno parte del nuovo governo, influiranno però sulla coalizione tra i Democratici (23%) del presidente Tadic e Democratici serbi (17%) del premier Kostunica
23 gennaio 2007
Igor Fiatti
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Tutto esattamente come previsto. Le elezioni politiche serbe non hanno riservato alcuna sorpresa. I risultati hanno infatti confermato i sondaggi della vigilia: dalle urne esce vincente il blocco delle forze democratiche, ma la maggioranza relativa va comunque ai nazionalisti del partito radicale (Srs). Un esito che, tra la gioia della comunità internazionale e l'avvicinarsi del momento della verità per il Kosovo, lascia una sola possibilità ai partiti progressisti: formare molto in fretta la nuova squadra di governo.
Una «vittoria di Pirro» doveva essere, e per i nazionalisti una vittoria di Pirro è stata. Dalle urne il partito radicale ha sì ottenuto la conferma di prima forza politica del paese, però ancora una volta sarà relegato all'opposizione. Nelle parole del leader Tomislav Nikolic, tutto l'orgoglio e tutta l'amarezza d'aver sfiorato inutilmente il 29% delle preferenze: «Ci manca ancora poco per formare una nostra squadra di governo e lo faremo dopo le prossime elezioni. Al momento per noi non ci sono possibili partner politici: non sosterremo alcun esecutivo né chiederemo appoggi per formarne uno di minoranza». E' tempo di alleanze insomma. Per il partito democratico del presidente (Ds) Boris Tadic e per quello democratico serbo (Dss) del premier Vojislav Kostunica - che si aggiudicano, rispettivamente, circa il 23% e il 17% dei voti - ora non ci sono più alternative: devono mettere da parte i rancori personali e formare insieme il nuovo esecutivo. Altrimenti la Serbia rischia uno stallo da brividi e un vacuum politico sino a una nuova tornata elettorale. Ma il dialogo tra le massime cariche di Stato serbe non sarà affatto semplice. Per capirlo, basta confrontare le dichiarazioni del dopo voto.
«Il partito democratico è pronto a dimenticare tutti i malintesi e gli screzi del passato pur di arrivare alla formazione di un nuovo esecutivo che porti la Serbia in Europa, ma difficilmente rinuncerà alla carica di premier» ha detto Tadic, sottolineando che «si devono iniziare da subito i colloqui e accelerare i tempi delle consultazioni». Più conciliante invece Kostunica: «Ora mi attendo che tutti i partiti abbiano un comportamento responsabile».
Nei giochi per la formazione della prossima maggioranza ci sono anche il partito G17 plus dell'ex ministro delle Finanze, Mladjan Dinkic (che si è aggiudicato circa il 7% delle preferenze) e, in teoria, anche i liberaldemocratici di Cedomir Jovanovic (5,3%). Fuori dai giochi restano invece volontariamente i socialisti orfani di Slobodan Milosevic, che però hanno sì superato la soglia di sbarramento del 5%.
Resta tuttavia difficile immaginare un esecutivo con Jovanovic. Questo ex leader delle proteste contro Milosevic - colluso con il clan mafioso di Zemun - è difatti l'unico politico serbo ad appoggiare apertamente l'indipendenza del Kosovo. Una posizione assolutamente inconciliabile con quella degli altri partiti in odor di governo, una posizione ribadita così dopo il voto: «Ora è il momento di cambiare la politica serba nei confronti di Pristina». Quindi, l'ipotesi più probabile vede il varo di un esecutivo a tre: Ds, Dss e G17 plus.
Da segnalare inoltre l'alta affluenza al voto, che, superando il 60%, è andata ben al di là delle previsioni. A complicare lo scenario c'è però l'ormai prossimo momento della verità del Kosovo: il mediatore Onu Martti Ahtisaari presenterà la proposta sullo status di Pristina nei prossimi giorni, senza aspettare il varo del nuovo esecutivo di Belgrado. Un timing quantomeno discutibile, che rischia di mandare all'aria i colloqui per la formazione del governo.
Il futuro della provincia serba a maggioranza albanese è stato il tema dominante della campagna elettorale, e su questo punto Belgrado è davvero un corpo unico: da destra a sinistra, seppur con toni diversi, praticamente tutti ripetono la formula «No all'indipendenza, sì all'autonomia». E se si guarda al voto in chiave referendum sul Kosovo, l'analisi è chiara: solo il 5% dei serbi ha detto sì al sostegno all'indipendenza votando per i liberaldemocratici di Jovanovic, mentre il resto del Paese ha mandato un messaggio esplicito alla comunità internazionale: la Serbia guarda sì all'Europa, ma non volta le spalle alla sua storia.

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