«Negoziati veri o si rischia tutto»
Sul voto a Belgrado abbiamo rivolto alcune domande a Miodrag Lekic, ex ambasciatore jugoslavo a Roma durante i 78 giorni di bombardamenti «umanitari» della Nato.
Come giudica i risultati delle nuove elezioni in Serbia che avevano all'ordine del giorno oltre al nuovo governo, il giudizio sullo status finale del Kosovo?Più o meno si tratta di risultati che potevamo aspettarci. E' un paese che vuole cambiare molto, che deve fare difficili passi di transizione. Ma soprattutto si tratta di un paese che è stato per un lungo periodo sotto embargo e che ancora vive drammaticamente la questione del Kosovo che rimane per i serbi una ferita e un tema fondamentale. Su questo argomento abbiamo avuto una situazione che tutti i partiti politici che sono entrati in parlamento, o quasi tutti, considerano il Kosovo allo stesso modo: irrinunciabile parte integrante della Serbia. E' quello che pensano sia il Partito dei Radicali che ha avuto più voti, sia le due formazioni democratiche considerate filo-occidentali.
I commentatori occidentali definiscono la vittoria degli ultranazionalisti di Vojislav Seselj come una «vittoria di Pirro». Seselj, ricordiamolo, si è autoconsegnato al tribunale dell'Aja dov'è accusato per crimini di guerra e dov'è stato in sciopero della fame nella fase iniziale della campagna elettorale. Certo, gli ultranazionalisti non parteciperanno alla formazione del nuovo governo, ma non crede che il peso di avere di nuovo vinto le elezioni, in una situazione di pesante isolamento politico, influiranno sui contenuti del programma e soprattutto sulla questione dell'indipendenza del Kosovo?L'aspettativa è che saranno i partiti democratici filo-occidentali a dover fare il governo. Ma bisogna sapere che molto dipenderà dalla proposta sullo status finale del Kosovo che che l'inviato dell'Onu Ahtisaari e da quello che deciderà la comunità internazionale. Non è da escludere nemmeno un altro governo, qualorae le cose andassero male per i serbi, vale a dire se le proposte rappresentassero un danno evidente per la sola parte serba. In altre parole se i serbi arrivano a considerano questa proposta come un'ingiustizia c'è il rischio che scivolino ancora sulla china del vittimismo, verso il partito dei nazionalisti presenti in tutti i partiti, tanto da indebolire tutti i moderati presenti a Belgrado. E molto dipende anche da quello che può accadere in Kosovo stesso, parlo delle reazioni della comunità albanese.
In settimana o appena più tardi è attesa la proposta di Athisaari sullo status finale. Dopo l'intervento di Putin che mette in guardia da una «penalizzazione della Serbia» con l'annuncio di un possibile veto in sede di Consiglio di sicurezza, non crede che la crisi kosovara torni, dopo tanto silenzio, a imporsi all'attenzione internazionale, penso in sede Onu, ma anche nei Balcani (Bosnia Ertzegovina, Macedonia)?Se non c'è un accordo dentro la Serbia, voglio dire fra due parti, serbi e albanesi e se non c'è un accordo internazionale, penso che rischiamo di andare non solo ad una nuova instabilità nei Balcani ma anche ad una crisi internazionale. Per questo ci vuole prudenza. Vediamo cosa proporrà Ahtisaari. Anche se bisogna ricordare che, come tutti sanno, non ha organizzato veri e propri negoziati. Non dico che si è ripetuto Rambouillet, che è irripetibile perché era un negoziato veramente stranissimo dove le due parti non si sono incontrate. Ma anche questo negoziato non è stato vero. Tutto era preconfezionato. E io esprimo una perplessità sull'ultima dichiarazione di Ahtisaari che ha detto: «Belgrado non deve illudersi, non c'è possibilità per un compromesso». Mi sembra che per una trattativa sia almeno una falsa partenza dichiarare che non c'è un possibile compromesso.
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