Conflitti

Al di là della richiesta di un aumento delle truppe, la necessità di dare una bella ripulita ai nostri mass media.

Ci risiamo quindi, ancora Bushaganda! Siamo arrivati al 2007, con una guerra che è durata fino ad ora più della seconda guerra mondiale. [...] E ancora, non ci viene offerto un degno quadro della situazione.
25 gennaio 2007
David Schechter
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: www.zmag.org - 13 gennaio 2007

New York, New York: All’indomani del discorso di Bush sulla necessità di un aumento delle truppe americane in Iraq, trasmesso in prima serata dalla biblioteca della Casa Bianca, i telecronisti delle varie emittenti televisive si mostravano scettici sulle sue possibilità di successo, ma impressionati dalla sua ferma volontà di sostenere ciò in cui pensano creda, quasi come un solitario e temerario eroe della prateria.

Gran parte del commento descriveva un leader bersagliato, imperturbabile dinanzi all’opinione pubblica e che nonostante tutto continua a fare ciò che sente di fare. Il sottotesto era “ come puoi non ammirare quest’ uomo”. Ed era del resto proprio questa la posizione che i suoi curatori d’immagine avevano coltivato per lui.

Al centro della scena un uomo che parla ad una telecamera, da solo in una biblioteca, una delle stanze della Casa Bianca in cui non sembra proprio essere a proprio agio, che legge su un teleprompter le parole di qualcun altro, mostrando tutta la sicurezza di cui è capace. Il tono è moderato a causa delle numerose polemiche che lo hanno coinvolto per aver seguito i suggerimenti della sua equipe e persino dei critici.

Nessun accenno al vero scrittore del discorso o alle posizioni dei molti Generali e consiglieri in disaccordo con la sua idea di aumentare il numero dei soldati. Nessun riferimento al fatto che le truppe armate irachene in realtà si oppongono a questa scelta. Il presidente ha citato positivamente l’Iraq Survey Group (ma in realtà aveva rifiutato le sue raccomandazioni) affermando: “ in accordo con le raccomandazioni dell’Iraq Survey Group, inseriremo altri soldati nelle unità delle forze armate irachene e condivideremo una nuova truppa di coalizione con ogni divisione dell’esercito iracheno”. Non ha invece citato Joe Liberman, un democratico rifiutato dagli elettori democratici e attualmente schierato con il repubblicano John McCain.

Ogni frase pronunciata grondava audacia (e cinismo).

Per i telecronisti, il dibattito sulla guerra vede ormai coinvolte soltanto la Casa Bianca e il Congresso. La PBS (emittente pubblica americana) ha trasmesso la risposta democratica del senatore Charles Durbin che ha spiegato perché questo piano non può funzionare e, di fatto, non funzionerà. Nessun’altra emittente l’ha fatto. La maggior parte di loro ha come al solito offerto una sola versione.

Il pubblico e il movimento contro la guerra hanno intonato a gran voce slogan fuori della Casa Bianca, ma la CBS non ce li ha mostrati. In questo dibattito, gli attivisti contro la guerra si ritrovano sempre emarginati.

La sostanza del discorso, le sue supposizioni, pretese e direttive politiche non hanno subito nessun tipo analisi. Non sono state prese in esame le possibili conseguenze, in particolare le minacce di attaccare la Siria e l’Iran. Com’è possibile che una simile cosa sia potuta accadere per un evento pubblicizzato per ben una settimana e i cui punti fondamentali erano ben noti già prima che fosse trasmesso.

L’attivista David Swanson ha commentato:

“Bush ha appena dichiarato che occupare l’Iraq significava rendere l’America più sicura. I media non contrasteranno questa dichiarazione con un’analisi degli effetti reali della guerra in Iraq.

Bush ha appena espresso la sua preoccupazione per i soldati e le soldatesse americane. I media non domanderanno alle nostre truppe cosa ne pensano. Alle organizzazioni dei veterani e delle famiglie dei militari contrarie alla guerra non verrà chiesto di commentare quello che titoleranno i giornali.

Riporteranno piuttosto la postura di Bush, il tono di voce, il colore della cravatta, l'atteggiamento. I piccoli e banali particolari saranno resi colossali. L’assunzione implicita secondo cui questa nuova “ondata” di soldati è già in atto, senza che il Congresso sia riuscito a fermarla, scivolerà via inosservata, con tutta tranquillità.

I media non domanderanno o tenteranno di chiarire cosa intende Bush quando parla di “vittoria”. I media non solleveranno una questione sulle effettive motivazioni di questa guerra. Nessun accenno agli sforzi per ridurre o concludere questa guerra. I media continueranno a definire “l’ondata” un’ondata, omettendo gradualmente le virgolette.
I media non ci mostreranno il popolo iracheno ferito e trucidato da questa guerra”.

Ci risiamo quindi, ancora Bushaganda! Siamo arrivati al 2007, con una guerra che è durata fino ad ora più della seconda guerra mondiale. Questo oltraggio è in atto dal 2002, prima che i primi missili Cruise fossero lanciati, quando il Congresso commise l’indecenza di approvare la richiesta d’autorità da parte di Bush di fare la guerra. E ancora, non ci viene offerto un degno quadro della situazione.

Tutti, nel mondo della comunicazione, sanno che non sta funzionando, che stiamo perdendo, che la sua attuazione è stata, per citare le parole del titolo del libro scritto da un reporter del Washington Post Tom Ricks, “un fiasco” (“a fiasco”). Tutti sanno che i fornitori ci stanno derubando e che uomini e donne stanno morendo per niente. Tutti sanno che questa guerra sta disonorando l’America, dalle camere di tortura di Abu Ghraib al linciaggio deprecabile di Saddam Hussein.

Non esiste senso del pudore che questa guerra non sia in grado di offendere.

Il pubblico ha disertato. Il mondo è contro di noi. Gli iracheni vogliono che ce ne andiamo. Qualunque intellettuale abbastanza saggio sostiene che l’unica soluzione sensata sarebbe andarsene il prima possibile.

E nonostante questo, due grandi istituzioni sembrano brancolare nel buio. Una di queste è la Casa Bianca che tenta disperatamente di resistere e di ottenere qualcosa, qualsiasi cosa che possa giustificare una delle guerre peggiori nella storia e definirla “vittoria”. George Bush somiglia incredibilmente al capitano Ahab in questo dramma.

Fiumi di parole continuano a scorrere assieme alle sue promesse che altri moriranno e che il massacro è la risposta iniziale più verosimile. Come Tom Engelhard ha spiegato:

“ L’ “ondata” dell’altra sera era innanzitutto un’ondata di parole, ben 2,898 parole equivalenti a venti minuti del nostro tempo. Nella preparazione di questo discorso, dal momento che ogni dettaglio era trapelato alla stampa , un incalcolabile numero di parole ha inondato le pagine dei giornali, i telegiornali, talk radiofonici ed internet, ed un altrettanto incalcolabile numero di parole, incluse queste, seguirà nei prossimi giorni”.

Tom Engelhard cita il Christian Science Monitor (quotidiano indipendente) quando dice che la risposta più probabile a queste parole saranno altre parole dal Congresso, ma niente di più. I primi sondaggi dimostrano che la gente si oppone, ma molti di questi sono disposti a dare al “PIANO” una possibilità, anche se nessuno pensa che abbia la minima possibilità di successo. Molti non vogliono assumersi la responsabilità di presentare un piano proprio.

L’altra parte in causa del massacro che seguirà sono i media che non vogliono e non sanno imparare dai propri errori, che non vogliono e non sanno rifiutare di rafforzare questo crimine contro la nostra costituzione e l’umanità. Sono i media a non avere il coraggio e il buon senso di rifiutarsi di fare ancora propaganda elettorale per la Casa Bianca, di valutare le varie opzioni e lasciare più spazio ai critici. Insistono col legittimare istituzioni che hanno perso ogni credibilità. In Inghilterra, invece, Channel 4 manderà in onda un programma sui crimini commessi da Tony Blair.

Ho scritto due libri su questi crimini mediatici e girato il film WMD sulla fusione tra news e propaganda elettorale. Sfortunatamente, sono troppo pertinenti. Continuo ad aggiungere pensieri e passione per sbarrare la strada alla guerra mediatica, a quella che il mio collega David Degraw definisce “arte della guerra intellettuale” nel suo nuovo e coraggioso libro “Art of Mental Warfare”, in cui viviseziona i modi in cui l’opinione pubblica viene plasmata da dittatori invisibili.

Il problema è che molti di quei direttori e dei loro funzionari ci sono ben noti, sono bene impressi nelle nostre menti, riconoscibili dai loro loghi e dalle loro personalità mediatiche. Sappiamo chi sono, ma siamo pronti a farne ciò che dovremmo farne di loro, spegnerli, disintonizzarli e costruire un mondo massmediatico antagonista che possiamo sostenere e dal quale possiamo imparare? Siamo veramente pronti a capire che i media sono parte di una guerra e devono essere censurati?

Note: Il dissettore di notizie Danny Schechter dirige Mediachannel.org. Il suo libro WHWN NEWS LIES include il DVD di WMD. Per maggiori informazioni visitate il sito wmdthefilm.com. Se volete inviare i vostri commenti, scrivete a: Dissector@mediachannel.org

Link al testo originale in inglese:
http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=21&ItemID=11848

Tradotto da Maria Teresa Masci per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile per scopi non commerciali citando la fonte, l'autore e il traduttore.

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