Conflitti

Perché ritirarsi dall'Afghanistan

3 marzo 2007
Tariq Ali
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

È l'Anno Sesto dell'occupazione Nato in Afghanistan sotto l'egida dell'Onu, una missione congiunta Usa-Europa. Il 26 febbraio alcuni attentatori suicidi talebani hanno cercato di assassinare Dick Cheney, in visita alla base aerea di Bagram considerata «sicura» (l'ex base aerea sovietica, considerata altrettanto sicura durante un precedente conflitto). Nell'attacco sono morti due soldati americani e un mercenario («contractor»), nonché altre venti persone che lavoravano nella base.
Questo episodio da solo avrebbe dovuto far capire al Vicepresidente Usa le dimensioni della debacle afghana. Nel 2006 le perdite sono aumentate in modo sostanziale: le truppe Nato hanno perso quarantasei soldati in scontri con la resistenza islamica o per l'abbattimento di elicotteri.
Ora i ribelli controllano almeno venti distretti nelle province di Kandahar, Helmand e Uruzgan, dove le truppe Nato hanno preso il posto dei soldati americani. E non è certo un segreto che in queste zone molti quadri dirigenti sostengono sottobanco i guerriglieri. La situazione è fuori controllo. All'inizio della guerra la signora Bush e la signora Blair sono apparse in numerosi programmi televisivi e radiofonici, sostenendo che lo scopo della guerra era liberare le donne afghane. Provate a ripeterlo oggi, e le donne vi sputeranno in faccia.
Chi è responsabile di questo disastro? Perché il paese è ancora sottomesso? Quali sono gli obiettivi strategici di Washington nella regione? Qual è la funzione della Nato? E per quanto tempo un paese può restare occupato contro la volontà della maggioranza della popolazione?
Quando sono caduti i talebani in pochi hanno pianto, in Afghanistan e altrove, ma le speranze alimentate dalla demagogia occidentale non sono durate troppo a lungo.
È apparso presto evidente che la nuova élite trapiantata nel paese si sarebbe messa in tasca il grosso degli aiuti stranieri e avrebbe creato le proprie reti criminali di corruzione e clientelismo.
La popolazione ha sofferto. Una capanna di fango col tetto di paglia per ospitare una famiglia di profughi senzatetto costa meno di cinquemila dollari. Quante ne sono state costruite? Quasi nessuna. Ogni inverno centinaia di persone muoiono di freddo perché non hanno una casa. Invece, si è preferito che società di pubbliche relazioni occidentali organizzassero in tutta fretta e a caro prezzo il voto elettorale, sostanzialmente a beneficio dell'opinione pubblica occidentale.
I risultati non hanno favorito il sostegno alla Nato nel paese. Hamid Karzai, il presidente fantoccio, ha rappresentato simbolicamente il suo isolamento e il suo istinto di auto-conservazione rifiutando le guardie addette alla sua sicurezza, che erano della sua stessa etnia pashtun. Ha preferito i marines americani, con l'aria dura da Terminator, e li ha avuti.
L'Afghanistan sarebbe stato reso più sicuro con un intervento limitato, stile Piano Marshall? Naturalmente è possibile che la costruzione di scuole e ospedali gratuiti e di alloggi per i poveri, e la ricostruzione dell'infrastruttura sociale distrutta dopo il ritiro delle truppe sovietiche nel 1989, avrebbero stabilizzato il paese. Sarebbero anche serviti dei contributi statali all'agricoltura e al lavoro a domicilio per ridurre la dipendenza dalla coltivazione di oppio. Il 90% della produzione mondiale di oppio è in Afghanistan. Secondo stime Onu, all'eroina si deve il 52% del prodotto interno lordo del paese, e il settore dell'agricoltura dedicato all'oppio continua a crescere in fretta. Tutto questo avrebbe richiesto uno stato forte e un diverso ordine mondiale. Solo un utopista un po' folle avrebbe potuto aspettarsi che i paesi Nato, occupati a portare avanti le privatizzazioni e la deregulation nei loro paesi, si lanciassero in esperimenti sociali illuminati all'estero.
E così la corruzione delle élite è cresciuta, come un tumore non curato. I fondi occidentali che avrebbero dovuto contribuire alla ricostruzione sono stati usati per costruire le residenze lussuose delle élite locali. Nell'Anno Secondo dell'Occupazione le case sono state l'oggetto di uno scandalo gigantesco. I ministri del governo si sono concessi, per sé e per i propri amici fidati, immobili di pregio. A Kabul i prezzi dei terreni hanno raggiunto un picco dopo l'occupazione, perché gli occupanti e i loro tirapiedi dovevano vivere nello stile a cui si erano abituati. I colleghi di Karzai si sono costruiti le loro grandi ville, protette dalle truppe Nato, sotto gli occhi dei poveri.
Si aggiunga a questo che il fratello minore di Karzai, Ahmad Wali Karzai, è diventato uno dei più grandi signori della droga nel paese. A un recente incontro con il Presidente del Pakistan, quando Karzai si è messo a frignare sull'incapacità del Pakistan di fermare il traffico di frontiera, il generale Musharraf gli ha suggerito che forse dovrebbe dare il buon esempio richiamando all'ordine suo fratello.
Se le condizioni economiche non sono migliorate, gli attacchi militari della Nato hanno preso spesso di mira civili innocenti. Ciò ha portato a violente proteste anti-americane nella capitale, lo scorso anno. Quella che inizialmente era ritenuta da alcuni abitanti un'azione di polizia necessaria contro al-Qaeda a seguito degli attacchi dell'11 settembre, ora è percepita da una maggioranza sempre maggiore di persone nell'intera regione come un'occupazione imperiale vera e propria. I talebani stanno crescendo e costruendo nuove alleanze, non perché le loro pratiche religiose settarie godano di maggiore consenso, ma perché essi sono l'unico ombrello a disposizione per la liberazione nazionale. Come hanno scoperto a proprie spese gli inglesi e i russi negli ultimi due secoli, agli afghani non è mai piaciuto essere occupati.
In nessun modo la Nato può vincere questa guerra ora. Inviare più truppe significherebbe più morti, ed eventuali combattimenti su larga scala destabilizzerebbero il vicino Pakistan. Musharraf si è già preso la colpa per un raid aereo su una scuola musulmana in Pakistan. Dozzine di bambini sono stati uccisi e in Pakistan gli islamisti hanno organizzato dimostrazioni di massa per protestare. Secondo alcune fonti, in realtà il raid «preventivo» sarebbe stato effettuato da aerei militari Usa. Questi avrebbero mirato a una presunta base terroristica, ma il governo pakistano ha preferito assumersi la responsabilità dell'accaduto per evitare un'esplosione di rabbia anti-americana.
Il fallimento della Nato non può essere attribuito al governo pakistano. Casomai, la guerra in Afghanistan ha creato una situazione critica in due province pakistane. La maggioranza pashtun dell'Afghanistan ha sempre avuto legami stretti con i pashtun del Pakistan. La frontiera fu un'imposizione dell'impero britannico ed è sempre stata porosa. Nel 1973 io stesso, indossando indumenti pashtun, la attraversai senza alcuna difficoltà. È praticamente impossibile costruire uno steccato come in Messico o un muro come in Israele lungo i 2500 chilometri di confini montagnosi e in larga misura non segnati che separano i due paesi. La soluzione è politica, non militare. Gli obiettivi strategici di Washington in Afghanistan appaiono inesistenti, a meno che gli Usa non abbiano bisogno di questo conflitto per mettere in riga gli alleati europei che li hanno traditi sull'Iraq.
Certo, i leader di al-Qaeda sono ancora alla macchia, ma la loro cattura sarà il risultato di un efficace lavoro di polizia, non della guerra, né dell'occupazione. Che effetto avrà il ritiro della Nato? Qui l'Iran, il Pakistan e gli stati dell'Asia centrale saranno fondamentali nel garantire una costituzione confederale che rispetti le differenze etniche e religiose. L'occupazione Nato non ha reso questo compito facile. Il suo fallimento ha rafforzato i talebani, e i pashtun si stanno unendo sempre di più sotto il loro ombrello.
Qui come in Iraq, la lezione è fondamentale. È molto meglio che i cambiamenti di regime vengano dal basso, anche se ciò comporta una lunga attesa come in Sudafrica, in Indonesia o in Cile. Le occupazioni distruggono le possibilità di un cambiamento organico e creano problemi molto maggiori di prima. L'Afghanistan non ne è che un esempio.
Il discorso del ministro degli esteri italiano, secondo il quale questa sarebbe una guerra giusta perché legale, ossia sancita dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, è un argomento debole. Il Consiglio di sicurezza non è eletto, né risponde all'Assemblea generale. È dominato con il pugno di ferro da cinque stati che sono i vincitori della Seconda guerra mondiale. Le sue decisioni non riflettono il punto di vista di quasi nessun continente. Se gli Usa avessero imposto al Consiglio di sicurezza di appoggiare l'avventura imperiale in Iraq, D'Alema sarebbe stato favorevole alla sua occupazione? L'unica domanda da porre è questa: i soldati europei devono essere mandati a uccidere e a farsi uccidere per proteggere gli interessi egemonici dell'Impero americano?

Note: Traduzione Marina Impallomeni
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