Tamburi di guerra e reality show preparano l'attacco a Tehran
Nelle risoluzioni sul finanziamento aggiuntivo di 125 miliardi di dollari destinato all'invio di nuove truppe nell'Iraq approvate il 24 e il 27 Marzo dalla Camera dei rappresentanti e dal Senato è stata cancellata una clausola forse più importante di quella concernente un possibile ridislocamento del corpo di spedizione statunitense tra il marzo e il settembre del 2008: riguardava la richiesta al Presidente di restaurare i poteri costituzionali del Congresso e di ottenerne un parere preliminare ed esplicito qualora egli decidesse di lanciare un'offensiva aeronavale contro l'Iran.
Nell'introdurre quella clausola Nancy Pelosi e Harry Reid, capigruppo alla Camera e al Senato, si erano avvalsi dell'appoggio dei più alti esponenti democratici nonché candidati alla Presidenza degli Stati Uniti come Hillary Clinton, Barack Obama, Joe Biden, John Edwards ed anche di una dozzina di dissidenti repubblicani. È lecito ritenere che sia stato un energico intervento dell'Aipac a determinare la cancellazione di quella clausola: prima del voto una convenzione dell'American Israel public affairs committee, la lobby ebraica negli Stati Uniti, aveva accolto con una salve di fischi l'apparizione della Signora Nancy Pelosi. Tutto quello che ne è seguito sembra far parte di un reality show: le minacce di veto di Bush qualora una risoluzione di compromesso a maggio menzionasse scadenze per il ritiro delle truppe, l'improvvisata visita della Pelosi a Tel Aviv e dopo l'incontro con il primo ministro Olmert l'estensione della visita del Capo Gruppo Democratico a Damasco, la riprovazione formale del vice-presidente per una missione diplomatica non autorizzata presso un Governo che fa parte dell'Asse del Male, lo sdegno dello stesso Presidente per la cattura dei baldi marines di Sua Maestà Britannica prontamente moderato da Tony Blair che stava trattando il loro rilascio ed infine le caute quanto ambigue dichiarazioni di Condoleeza Rice sui i contatti in corso con il Governo di Teheran che andranno limitati unicamente alla situazione Irachena.
La metafora del wag the tail, se sia cioè la coda israeliana ad agitare il cane americano o viceversa, non è calzante perché la convergenza del Governo Olmert e dell'amministrazione Bush sulla necessità prima o poi di attaccare l'Iran, anche e non solo per sue ambizioni nucleari, appare paradossalmente cementata dai rovesci dell'occupazione statunitense dell'Iraq. Solo una grande guerra mediorientale per salvare Israele da un'ipotetica distruzione atomica con una più massiccia mobilitazione del grande impero d'occidente e dei suoi recalcitranti alleati potrebbe cambiare drasticamente il corso del conflitto, gli umori dell'opinione pubblica statunitense ed evitare così la sconfitta dei neocons repubblicani nelle presidenziali del Novembre 2008.
Calcoli e ragionamenti ispirati solo alla follia di chi crede alla rapture biblica, al christo-fascism, al clash of civilizations? Si sarebbe tentati di crederlo, se questi calcoli e questi ragionamenti a dir poco grossolani non corrispondessero ad un gran piano geopolitico condiviso con elaborazioni più articolate e razionali da tutte le Amministrazioni Usa del dopo guerra: il controllo diretto, e non solo l'accesso ed i profitti derivati, delle risorse energetiche mediorientali come strumento ultimativo di dominio mondiale. Ne ha parlato con la consueta lucidità e ricchezza di documentazione Noam Chomsky in un'intervista al politologo Sameer Dossali che ha anticipato i temi di «Interventions», un saggio di imminente pubblicazione per i tipi di City Lights: il controllo del flusso energetico iraniano, anche se temporaneamente interrotto da un conflitto, condizionerebbe e frenerebbe l'ascesa a superpotenza della Repubblica Popolare Cinese, conterrebbe la crescita concorrenziale dell'India e ridurrebbe a miglior consiglio la dirigenza dell'Unione Europea in merito all'ancora insufficiente alternativa del gasolio russo ed altre future quanto vaghe istanze di autonomia.
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