Conflitti

«A Baghdad sotto il tiro incrociato Resistere ogni giorno al terrore»

Un giornalista e un medico oppositori dell'occupazione raccontano i rischi, negano la guerra civile, accusano le milizie e distinguono fra resistenti e terroristi
7 aprile 2007
Marinella Correggia
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

La giornata-tipo di Fadhil Hussain, giornalista a Baghdad, è uno slalom per sfuggire alla morte. Fadhil ha partecipato alla Conferenza internazionale di solidarietà «Con la resistenza, per una pace giusta in Medio Oriente», organizzata giorni fa a Chianciano dai Comitati Iraq libero con esponenti da Iraq, Libano, Palestina, Giordania e attivisti da venti paesi. «Durante il secondo assedio americano alla città di Falluja, nel 2004, ho coperto per giorni quell'orrore da solo; trasmettevo le notizie all'estero con il satellitare thuraya caricato alla batteria dell'auto, non c'era elettricità. Mangiavo solo datteri, l'unico cibo non andato a male. Ne sono uscito vivo. Adesso lavoro soprattutto per Al Jazeera, e per i giornalisti occidentali protetti negli alberghi. Mi occupo molto di corruzione e connivenze governative. Siamo governati da ladri che oltretutto svendono le ricchezze del paese».
Quando esce di casa - la moglie e i quattro figli sono a Falluja - «la mia maggiore preoccupazione sono le milizie armate e le bande criminali che compiono omicidi mirati o stragi nel mucchio; anche quelli dell'esercito del Mahdi sono veri assassini». Teme poi di essere nuovamente arrestato, mesi fa ha fatto oltre una settimana di carcere con molti parenti che assistevano al funerale di suo fratello, uno studente ucciso da un cecchino ignoto. E che altro? «Beh, mi tengo lontano dai luoghi affollati...».
Siccome in guerra tutti i gatti sono bigi l'immagine che esce dal paese è: primo, la resistenza all'occupazione è terrorista e se la prende con i civili iracheni innocenti; secondo: c'è una guerra civile in corso fra sunniti e sciiti con reciproche ferocissime eliminazioni di massa. Fadhil risponde: «Le stragi non sono compiute dalla resistenza irachena - che da quel che mi risulta fa anche attenzione a evitare vittime collaterali - ma da criminali. I siti vicini agli insorti, ad esempio www.albasrah.net, se ne dissociano regolarmente. Che si tratti di attentatori suicidi oppure - come spesso avviene - di congegni comandati a distanza, i mandanti possono essere l'uno o l'altro di questi tre: americani e israeliani oppure i terroristi di Al Qaeda oppure l'Iran che alla fine fa in Iraq fa il gioco degli americani».
Ma i confini non sono percepiti in modo netto all'esterno ed è forse anche per questo che «nemmeno Chavez o Cuba dicono nulla a nostro sostegno», ha lamentano alla Conferenza il leader dell'Alleanza patriottica irachena Jabbar Al Kubaisi. Rimane poi il fatto che molte vittime civili sono «effetti collaterali» di attacchi all'occupante e ai suoi fiancheggiatori veri o presunti: magari reclute della polizia indotte ad arruolarsi per fame, o addirittura semplici operai dei servizi elettrici o idrici.
E quella che chiamano guerra civile? «Non è fra la popolazione. È una crudelissima violenza settaria fra estesi gruppi armati spesso vicini al governo. Se gli americani partissero la situazione cambierebbe in meglio, ma usano questa scusa per rimanere», ripete Fadhil. Anche Ibrahim Salman Risk, medico chirurgo all'ospedale di Abu Ghraib, altro testimone alla conferenza di Chianciano, sottolinea che «in molti quartieri e aree miste, sunniti e sciiti si aiutano. Sono gli squadroni e non i vicini di casa a uccidere tutti gli Omar, o gli Ali» (il primo è un tipico nome sunnita, il secondo sciita).
Nell'ospedale del dottor Ibrahim manca praticamente tutto, soprattutto negli ultimi due anni: «Scarseggiano il filo da sutura, i tubi per la tracheotomia, gli anestetici. Uso lo stesso catetere per almeno venti pazienti. Abbiamo poche ore di elettricità e il generatore non basta. Il Ministro della sanità qui non mette piede per l'elevato rischio; il ministero ci discrimina nelle forniture in quanto zona sunnita». Cosa succede in un ospedale sguarnito quando arrivano le vittime di un massacro? «Circa 7 mesi fa, una strage vicino a noi. Per 25 persone non abbiamo potuto fare nulla. I 120 feriti li abbiamo mandati in altri ospedali o curati come potevamo. Cerchiamo di tenere da parte dei materiali per simili emergenze. Alle quali sono ormai abituati i chirurghi dell'ospedale Kindi, o Al Thawra...».

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