Conflitti

l'appello

Nigeria, nulla è cambiato. Il governo richiami l'Eni

10 maggio 2007
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

In Nigeria c'è una guerra e come sempre a pagarne il prezzo è la società civile. Per appropriarsi delle immense risorse energetiche del paese più popoloso d'Africa le multinazionali portano avanti un sistematico sterminio degli ecosistemi del Delta del Niger, fanno accordi o sostengono direttamente governi militari o assolutamente corrotti e tengono in ostaggio la possibilità di sviluppo dei 20 milioni di esseri umani che abitano le zone ricche di petrolio e gas. Interi popoli che vivono con meno di due dollari al giorno e che non hanno mai né visto né conosciuto i vantaggi dello «sviluppo», pur essendo da sempre «proprietari» di immense fortune destinate ad «emigrare» sui conti correnti delle grandi transnazionali, ma che sicuramente ne pagano il prezzo.
Anche l'Italia fa la sua parte, ma in negativo. Attraverso la sua impresa di stato, saccheggia e inquina la Nigeria, continuando a portare avanti pratiche illegali come quella del «gas flaring», contribuendo a far diventare il paese africano il primo inquinatore al mondo per Co2 da «gas flaring». E tutto ciò avviene proprio mentre qui in Europa si discute dell'urgenza di intervenire per frenare i cambiamenti climatici, di rispetto dei diritti umani e di cooperazione con i paesi del sud del mondo. Un controsenso e un'ipocrisia aggravata dal fatto che l'Eni è ancora (e per fortuna) una compagnia controllata dallo stato e quindi dal nostro governo, che da un lato dice di voler cambiare la sua politica energetica, estera e ambientale e dall'altro non riesce nemmeno a impedire che la sua più importante azienda porti avanti una politica che è l'esatto opposto delle parole «pace e cooperazione».
Ormai da tempo in Italia la società civile ha maturato una coscienza e realizzato un'analisi sui temi della pace, dei diritti umani, dello sviluppo sostenibile, della difesa dei beni comuni e della cooperazione tra i popoli. Da anni le associazioni, i sindacati, i movimenti e molti media indipendenti denunciano le gravi responsabilità dell'Eni su questi temi e i suoi comportamenti scorretti o incompatibili con la difesa dei valori di pace e rispetto della sovranità dei popoli, che tutti dovremmo condividere e che rappresentano l'essenza stessa della nostra Costituzione.
Nello scorso febbraio l'Osservatorio Eni, che raggruppa proprio la rete di associazioni, sindacati e comitati costituitasi in Italia, ha incontrato i capigruppo alla Camera di Rifondazione Comunista e dei Verdi, il ministro dell'Ambiente e il presidente della Camera, durante le concitate fasi del rapimento dei dipendenti italiani dell'Eni in Nigeria. Sapevamo bene, allora come adesso, che non sarebbe bastato impegnarci per riportare a casa i nostri connazionali ma che ci sarebbe servito uno sforzo più grande per risolvere la situazione. Non si può pensare di salvare la vita ai nostri connazionali e nello stesso tempo non far nulla per decine di milioni di persone verso le quali siamo responsabili per le violazioni e lo sfruttamento irresponsabile compiuto dalla nostra azienda e alle quali dobbiamo delle risposte. Liberare gli ostaggi, disinquinare il Delta del Niger: era l'appello rivolto alla politica istituzionale per capovolgere un'impostazione ancora colonialista nell'affrontare le relazioni con i paesi del sud del mondo e in particolar modo verso l'Africa.
Tutti i politici che hanno voluto incontrarci si sono impegnati, a parole, ad agire affinché l'Eni cambi la propria politica ambientale, energetica e di rispetto dei diritti umani nella regione del Delta del Niger. A oggi ancora nulla è cambiato.
Il primo obiettivo, riportare a casa gli italiani rapiti, è stato raggiunto con l'impegno di tutti quando il 14 marzo i guerriglieri del Mend hanno rilasciato gli ultimi due ostaggi trattenuti, Cosma Russo e Francesco Arena, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti noi. Lo stesso portavoce del Mend aveva sottolineato che sul rilascio pesava soprattutto il lavoro positivo delle associazioni italiane e africane che finalmente avevano fatto luce e detto la verità sulla situazione nella quale vivono venti milioni di nigeriani e sulle responsabilità enormi dell'Eni.
Dopo la liberazione dei nostri concittadini, purtroppo, nulla è stato fatto e nulla sembra essere mutato. La regione del Delta del Niger rimane una delle zone più inquinate del pianeta e le condizioni in cui vivono le popolazioni locali sono subumane: senza acqua potabile, fognature, luce elettrica e con un reddito medio di 1-2 dollari al giorno, mentre le multinazionali del petrolio, tra le quali l'Eni, estraggono 2,5 milioni di barili di greggio al giorno dagli stessi territori in cui è a rischio la sopravvivenza di milioni di persone.
Oggi ci troviamo di nuovo a discutere della vita di altri italiani sequestrati in Nigeria alcuni giorni fa proprio a causa della sciagurata politica portata avanti dalle multinazionali petrolifere, che continuano a trattare l'ambiente e decine di milioni di persone come un mero ostacolo ai loro bisogni di profitto. Per questo non possiamo più accettare che il governo italiano si interessi dei quattro italiani disinteressandosi allo stesso tempo del debito storico ed ecologico contratto con la Nigeria attraverso le attività che le imprese italiane hanno portato e continuano a portare avanti sul Delta del Niger e non solo.
Chiediamo ancora una volta che il governo, in quanto azionista di controllo, richiami l'Eni a un comportamento ecologicamente responsabile e al rispetto dei diritti umani e dei trattati internazionali.
Chiediamo l'istituzione di una commissione aperta a esperti scelti dalla società civile che verifichi la situazione, il comportamento dell'Eni e i livelli d'inquinamento del Delta del Niger, che sta mettendo a rischio la vita di intere popolazioni che vivono nell'area.
Speriamo almeno su queste elementari questioni di democrazia e rispetto delle regole, di ricevere dalla politica un rapido riscontro. Se la politica non è in grado di darci risposte e ascoltare le esigenze di milioni di cittadini, a partire da coloro che partono da una situazione di svantaggio, smette di essere uno strumento di governo del popolo e per il popolo, e diventa una élite tesa solo alla sua autoriproduzione, esattamente come i cda delle multinazionali.

Alex Zanotelli, Giuseppe De Marzo (A Sud), Vincenzo Miliucci (Cobas), Fulvio Vescia (RdB Energia), Alessandro Marescotti (Peacelink), Franco Ottaviano (Casa delle Culture), Antonio Tricarico (Crbm), Marco Bersani (Attac Italia), Fabio Alberti (Un ponte per...), Beatrice Bardelli (Comitato contro il Rigassificatore Offshore Livorno-Pisa), Claudio Avvisati, Stefano Fossati, Edo Dominici (delegati Cgil Rsu Eni)

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