Conflitti

Dove nasce il terrorismo

Viaggio nel ghetto di Casablanca dove la miseria alimenta rabbia e violenza
15 giugno 2007
Raffaele Masto (inviato Radio Popolare)
Fonte: da Persona a Persona 7/07 (www.pangeaonlus.org) - 01 luglio 2007
Una donna regge il figlio al di fuori della propria abitazione A entrarci si viene assaliti da una sorta di claustrofobia. Sidi Moumen è un ghetto di 300 mila persone accalcate come sardine in uno spazio nel quale ce ne potrebbero stare scarse meno della metà. Una volta dentro ci si sente in qualche modo prigionieri: si ha sempre una parete, un ostacolo, una persona a meno di un metro dai propri occhi, non si vede mai l’orizzonte, il cielo è sempre un ritaglio, una visione parziale.
Si, perchè Sidi Moumen non è come le baraccopoli africane, quelle che passano spesso nelle immagini televisive: sterminate distese di baracche di terra, fango, lamiere, legni. No, Sidi Moumen è ancora più triste perchè le abitazioni non sono precarie. La gente le ha costruite come se non avesse nemmeno la speranza di ottenere qualcosa di meglio prima o poi nella vita.
È in questo ghetto che, secondo informazioni di stampa, sono nati e cresciuti un numero consistente di terroristi islamici che negli ultimi anni sono stati protagonisti di attentati in diversi paesi del mondo. Dati e notizie parlano chiaro: da Sidi Moumen provenivano alcuni dei marocchini che compirono i devastanti attentati dell’11 Marzo 2004 a Madrid. Sempre da Sidi Moumen provenivano i quattro ragazzi che nel 2003 si fecero esplodere contro un hotel e un ristorante di Casablanca causando un totale di 40 morti. Più recentemente, l’11 marzo 2007, un ragazzo si è fatto esplodere in un cybercafè, sempre a Sidi Moumen. Un mese dopo, il 14 aprile 2007, due kamikaze si sono fatti saltare in aria, forse per errore, mentre cercavano di raggiungere il centro culturale statunitense di Casablanca.
Insomma il Marocco sta diventando uno dei principali serbatoi di manovalanza per il terrorismo internazionale. Un serbatoio che trova il suo terreno di coltura nella miseria e nella disperazione di migliaia di giovani senza un futuro che vengono spinti all’integralismo islamico che, a sua volta, finisce per alimentare il terrorismo.
Passeggiando per Sidi Moumen si capiscono molte cose in più di ciò che scrivono analisti e commentatori. Questa baraccopoli è fatta di vere e proprie case, qualcuna addirittura a due piani, ma tutto è come se fosse in scala ridotta, tutto è più piccolo, qui lo spazio è prezioso. Ci sono vicoli larghi nemmeno un metro che sfociano in piazze in miniatura dove sono accumulate montagnette di spazzatura che emanano un odore dolciastro e putrescente. Molti dei vicoli sono attraversati da rigagnoli di liquami che vanno a gettarsi in pozze pestilenziali.
Sidi Moumen è cresciuta a casaccio, non c’è nessun piano regolatore, nessun criterio razionale che ha dettato la costruzione di queste abitazioni fatte di pareti sottili imbiancate a calce.
Percorrendo questi vicoli angusti viene da chiedersi cosa penseranno gli archeologi del futuro quando troveranno sepolte le rovine di un ghetto come questo. Si chiederanno se ad abitarlo siano stati una popolazione di umani particolarmente piccola e invece non è così e per la gente è un problema perchè la mancanza di spazio costringe gli abitanti, che sono di religione musulmana, ad una promiscuità che è estranea alla loro cultura.
Così capita spesso di vedere donne velate procedere pudiche e impacciate alla vista di un uomo che viene loro incontro nello stesso vicolo e al quale dovranno passare vicino. Sono le donne quelle che soffrono di più questa promiscuità, ma anche i bambini che ingombrano completamente un vicolo per giocare e che vengono interrotti ogni volta che un adulto deve passare. Le famiglie non hanno mai un momento di intimità: liti, problemi economici, separazioni diventano immediatamente di dominio pubblico. E in tutto questo a Sidi Moumen c’è anche lo spazio della religione. Le moschee sono sobrie costruzioni cubiche di mattoni e il minareto un terrazzo o un balcone. E può capitare che il muezzin, che qui è una persona in carne e ossa, e non un disco registrato, chiami alla preghiera indirizzando il suo richiamo direttamente all’interno di questa o quella abitazione. Potrebbe addirittura fare i nomi delle persone che chiama alla preghiera. A Sidi Moumen non c’è nulla di privato, tutto è pubblico. Viene da chiedersi come mai queste trecentomila persone accettino di vivere in queste condizioni in un paese, tra l’altro, che agli occhi dell’opinione pubblica europea, appare come uno dei paradisi del turismo.
Anche in questo caso è sufficiente fare un giro nell’entroterra di Casablanca, fuori, appunto, dalle rotte turistiche, per capire molte cose in più.
La strada d’asfalto che collega Casablanca a Marrakech è l’unico segno della modernità che sembra lontana anni luce da qui, ai lati solo campi coltivati in piccoli appezzamenti di cipolle, ceci o piselli che poi intere famiglie, marito, moglie e figli di varie età, raccolgono a mano, piegati sulla schiena per ore. Per chilometri e chilometri non si vede un trattore, un mezzo meccanico, solo greggi di capre, pecore e qualche mucca accudite da pastorelli che sembrano quelli del presepio. Miseri carretti di legno trainati da asini spelacchiati trasportano legna per il fuoco o carichi di cipolle che saranno vendute per pochi dhiram al primo mercato. Nei minuscoli villaggi di case con le pareti in terra battuta che punteggiano la campagna non c’è acqua potabile e non c’è luce.
La scuola di Mghagha è una piccola oasi in questa regione. L’edificio è in muratura e ospita circa trecento bambini divisi in classi. C’è l’acqua, ma non la luce elettrica. I bambini che frequentano questa scuola sono dei privilegiati perchè in questo Marocco profondo, invisibile e dimenticato i picchi di analfabetismo sono drammatici.
Così, da questa prospettiva, si capisce molto di più il terrorismo islamico e non stupisce se a Sidi Moumen le moschee sono affollate e i predicatori più seguiti sono quelli più radicali. E si capisce anche perchè prolifichino i cybercafè. Dalle indagini della polizia molti dei terroristi arrestati negli ultimi mesi erano assidui frequentatori di siti internet proibiti che insegnano anche a fabbricare esplosivi.
Note: da Persona a Persona - Fondazione Pangea Onlus

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