Conflitti

Nigeria, «strage targata Agip»

Il 21 giugno l'esercito di Abuja «libera» l'impianto di Ogboinbiri, nel Delta. Uccide 12 militanti. Ma erano manifestanti pacifici. I gruppi ribelli accusano l'Eni
29 giugno 2007
Stefano Liberti
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Un attacco militare contro giovani dimostranti, condotto con ingente spiegamento di mezzi come una vera e propria azione militare. Questo sarebbe stata - secondo diverse testimonianze raccolte nel Delta del Niger - l'operazione con cui il 21 giugno scorso l'esercito nigeriano ha «liberato» la flow station di Ogboinbiri, nello stato di Bayelsa, gestita dalla compagnia italiana Agip. Un'azione sanguinosa, con un bilancio di almeno 15 morti, la cui responsabilità è imputata dai gruppi ribelli del Delta alla compagnia italiana.
Occupato il 17 giugno da un gruppo di persone, che avevano preso in ostaggio un numero imprecisato di lavoratori, l'impianto è stato attaccato alle 4 di mattina, dopo che per i quattro giorni precedenti si erano ammassati nell'area truppe della Joint Task Force (Jtf), la forza militare che si occupa di difendere le strutture delle multinazionali, nota per le sue maniere spicciole e il suo scarso rispetto per i diritti umani. Gli scontri sono durati per circa quattro ore e si sono conclusi con l'uccisione di 12 occupanti e di tre soldati. Subito dopo gli avvenimenti, il portavoce della Jtf si è affrettato a dire che i dimostranti erano «criminali pesantemente armati». Ma diversi segnali indicano il contrario.
«È stato un attacco deliberato, senza senso, con cui l'esercito nigeriano ha dimostrato di non volere la pace nel Delta, racconta al telefono Udengs Eradiri, membro dell'Ijaw Youth Council, organizzazione ombrello dei giovani ijaw, l'etnia maggioritaria del Delta. «L'occupazione della stazione era stata condotta in protesta per l'uccisione di nove giovani alcuni giorni prima nei pressi della stazione. Un'uccisione gratuita, da parte delle truppe poste a protezione della flow station, di cui i dimostranti chiedevano conto». Era il 12 giugno: alcuni soldati della Jtf incaricati di pattugliare le acque intorno all'impianto Agip incrociano una speed boat. Temendo di trovarsi a che fare con militanti armati, i soldati sparano e uccidono nove persone sulla barca. A posteriori, scoprono che sono disarmati, ma costruiscono la scena di un presunto attacco. «Il 12 giugno, le nostre truppe dispiegate nella flow station dell'Agip sono state attaccate da alcuni criminali. Nello scontro a fuoco che ne è seguito, sono andate perse alcune vite e recuperate diverse armi in mano ai criminali», dichiara Lawrence Ngubane, comandante della Jtf.
L'attacco e le dichiarazioni di Ngubane fanno infiammare gli animi. I membri della comunità d'origine dei nove morti decidono di occupare la stazione. Secondo diverse testimonianze, è un'azione pacifica, largamente dimostrativa. Alcuni uomini sono armati, ma con armi leggere e poco nocive. Diversamente da quanto affermato dai comandi della Jtf, i manifestanti non appartengono ai gruppi armati attivi nel Delta, il cui modus operandi è del tutto diverso. «Non si è mai visto che i militanti assaltano un impianto e vi rimangono sopra. Le azioni dei gruppi armati sono mordi e fuggi: attaccano, distruggono e prendono ostaggi», racconta al telefono Edward Omeire, sociologo del Delta che conduce un programma di confidence building tra i giovani e le forze di sicurezza nella regione. Un'eventualità confermata per e-mail da Jomo Gbomo, leader del Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger (Mend), il principale gruppo armato della regione. «Quelle persone non erano militanti. Se noi attaccassimo l'impianto, in meno di un'ora cacceremmo i soldati nigeriani e lo distruggeremmo. Erano membri della comunità. Alcuni di loro erano armati per garantire la sicurezza dei manifestanti. Se hanno risposto al fuoco, lo hanno fatto per difendersi dall'attacco dei militari nigeriani».
Rimane da capire perché la situazione è degenerata in quel modo, in un momento in cui il nuovo governo di Umaru Yar'Adua è impegnato nel dimostrare la sua volontà di negoziare con i gruppi armati e di trovare una soluzione per le disuguaglianze nel Delta, tanto che ha liberato il leader guerrigliero Alhaji Dokubo-Asari, in carcere ad Abuja da un anno e mezzo. Secondo Omeire, «l'esercito ha attaccato per dimostrare che ha il controllo del Delta. Non potendosela prendere con i militanti, perché hanno una capacità d'azione e di spostamento migliori, si è scagliato contro un obiettivo apparentemente semplice». Ma l'azione del 17 rischia di infiammare ulteriormente il Delta. Nonostante il cessate-il-fuoco di un mese decretato all'inizio di giugno (che scadrà il 3 luglio), il Mend ha annunciato una rappresaglia feroce contro l'Agip. «Distruggeremo quella piattaforma, e ogni persona o cosa su di essa. Questa è una promessa!», minaccia Gbomo. Sullo stesso tono le dichiarazioni riportate dal giornale The Times of Nigeria di Cynthia Whyte, portavoce del Joint Revolutionary Council, altra coalizione di gruppi armati del Delta. «L'Agip soffrirà lo stesso numero di perdite, di dolore e di disgrazie. La nostra rappresaglia ridurrà drasticamente le operazioni dell'Agip negli stati di Rivers e Bayelsa».
Qual è stato il ruolo dell'Agip-Eni in questa operazione? I militanti accusano il gigante italiano di aver istigato l'esercito a intervenire. «L' Agip stava perdendo denaro a causa dell'occupazione della piattaforma e ha sollecitato il governo nigeriano a cacciare i manifestanti con ogni mezzo», sostiene Gbomo. Il portavoce dell'Eni Gianni Di Giovanni nega ogni addebito. «Le morti sono avvenute a causa di un gruppo armato che ha resistito ai soldati, i quali sono intervenuti nel momento in cui si era raggiunto un accordo con la comunità occupante per l'evacuazione della flow station. Noi non abbiamo mai chiesto di usare le maniere forti, come non facciamo mai in questi casi».

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