Conflitti

La Francia fu «complice» del genocidio in Rwanda

Nel mirino il contingente militare Turquoise, inviato "per scopi umanitari" nel paese africano. La denuncia al tribunale militare dei sopravvisuti tutsi. Le indagini contro un muro di gomma
7 luglio 2007
Emanuele Piano
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Francia corresponsabile del genocidio in Rwanda? E' presto per dirlo, ma il tribunale militare di Parigi sta indagando l'esercito francese per «complicità in genocidio e crimini contro l'umanità». Sotto accusa il ruolo della missione militare "Turquoise", attiva nel Paese delle mille colline dal 22 giugno al 22 agosto 1994. A dare una mano alle investigazioni, arrivano oggi in aiuto dei magistrati gli archivi segreti aperti dall'Eliseo il 27 giugno.
I cento giorni di follia cominciarono il 6 aprile quando viene abbattuto, mentre atterra a Kigali, l'aereo con a bordo il presidente rwandese, Juvénal Habyarimana, e quello burundese, Cyprien Ntaryamira. E' il segnale che dà il via ai piani già predisposti per schiacciare gli «scarafaggi». Hutu che massacrano tutsi e altri hutu moderati. Ottocentomila, forse un milione, di morti nel nome di una folle pulizia etnica sfociata in genocidio. I massacri terminarono formalmente il 18 luglio 1994, quando le truppe dei ribelli del Fronte Patriottico Rwandese (Fpr), guidate dall'attuale presidente rwandese Paul Kagame, prendono Kigali.
Sono tanti i responsabili di quello che Kofi Annan ha definito «un'onta per l'umanità». Certamente gli hutu rwandesi, delfini designati all'ascesa al potere dal Belgio. Nella regione dei Grandi Laghi, nonostante fossero minoritari, ha regnato per secoli e sino agli anni '50 sulle popolazioni hutu la monarchia tutsi. Tra i due gruppi non esistono sostanziali differenze culturali o linguistiche. Fu il Belgio ad introdurre la differenza per per mantenere saldo il proprio controllo sulla colonia. Ma il risultato dell'introduzione di questo concetto fu disastroso.
C'è poi la responsabilità dell'Onu, messa nero su bianco in un pesantissimo rapporto di una commissione di inchiesta interna. Le Nazioni Unite furono «colpevolmente incapaci» di fermare le violenze. Questo nonostante negli anni precedenti ai massacri fossero giunte chiare indicazioni di quanto si stava preparando. Nulla poté la missione Minuar, guidata dal canadese Romeo Dallaire, e nulla fece il Consiglio di Sicurezza. Il veto Usa sul termine «genocidio» bloccava i rinforzi al contingente di Caschi blu e il cambio del mandato che autorizzasse l'utilizzo della forza. Il Belgio inviò i reparti speciali, ma soltanto per evacuare i propri concittadini.
In atto, infatti, non c'era soltanto un massacro, ma anche una partita politica per l'influenza sulla regione dei Grandi Laghi, e sulle sue immense risorse. Francia contro Stati Uniti. Parigi, insieme a Bruxelles, sosteneva apertamente Habyarimana, inviando armi e addestrando le Forces Armées Rwandaises , complici del genocidio. Via Uganda e dopo un addestramento a Forth Leavensworth in tattiche di guerriglia, Washington spalleggiava l'avanzata del Fpr di Kagame. La colpa degli Usa è stata quella di non consentire all'Onu di mettere insieme una forza di intervento per non fermare la presa di Kigali da parte dei ribelli.
La Francia ha fatto di più. La missione Turquoise, infatti, aveva lo scopo di creare una «zona sicura» per le migliaia di rifugiati hutu che lasciavano il Paese nel timore di rappresaglie. Un quinto del Rwanda sotto protezione francese; un'operazione che per Mitterand «salvò migliaia di vite umane». Qui cominciano però i problemi. Nella "zona Turquoise" continuarono i massacri dei tutsi. Parigi chiuse anche due occhi quando vi spostarono i ripetitori di Radio Milles Collines , organo di propaganda dei genocidari. Così come non fece nulla per arrestare la fuga dei principali responsabili della mattanza.
Sono quindi oggi dei sopravvissuti tutsi a portare il contingente Turquoise in tribunale per il ruolo svolto nei massacri, o nel non averli impediti. La denuncia è stata presentata nel febbraio del 2005. Oggi soltanto però la giudice Florence Michon ha in mano gli archivi del Presidente François Mitterand. Centinaia di documenti, telegrammi, note verbali dei diplomatici e quant'altro, appena desecretati. Carteggi che forse serviranno a capire quale fu l'atteggiamento dell'Eliseo ed i veri motivi della presenza francese in Rwanda.
Parte del lavoro, per la verità, era già stata fatta da una commissione di inchiesta parlamentare nel 1998. Già allora era stata intaccata la versione ufficiale che stipulava che la Francia aveva come unico obiettivo, pur mantenendo la consueta cooperazione militare, quello di spingere il governo rwandese ad aprire dei negoziati con i ribelli. «E' evidente che sino al 6 aprile del 1994 la preoccupazione centrale delle autorità francesi è stata quella di sostenere il presidente Juvénal Habyarimana, anche se questo significava andare oltre un appoggio indiretto alle forze armate rwandesi», scrive l'avvocato di parte civile, Antoine Comte.
La ricerca della verità rischia però di soffocare in un muro di gomma. Lo Stato francese non aiuta le indagini, anzi. La Procura militare aveva firmato, nel febbraio 2006, una rogatoria internazionale al Rwanda per chiedere di fornire i documenti utili ad «identificare i reggimenti e servizi francesi presenti nel 1994». Per sei mesi Quai d'Orsay non ha spedito il plico, dimenticandolo. Nel mentre però è successo dell'altro. Un altro giudice francese che, invece, indagava sull'attentato contro Habyarimana - i due piloti del Falcon erano francesi - ha formalmente accusato il presidente rwandese, Paul Kagame. Questo ha portato alla rottura delle già tese relazioni diplomatiche tra i due Paesi, il 24 novembre scorso. E addio rogatoria.

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