Conflitti

La strada per Gerusalemme

Ispirata da Al-Qaeda, una milizia finora poco conosciuta é dietro lo scoppio di una sanguinosa violenza che ha causato numerose vittime
10 agosto 2007
Robert Fisk
Tradotto da per PeaceLink

Sono venuti in Libano la scorsa estate mentre il mondo era intento a guardare Israele distruggere questa piccola nazione nel vano tentativo di distruggere gli Hezbollah. Ma gli uomini che si erano infamamente piantati nel campo profughi di Nahr el-Bared, tra di loro combattenti della guerra irachena, yemeniti, siriani e libanesi stessi, erano molto più pericolosi di quanto l’America e Israele pensavano fossero gli Hezbollah. A quei pochi giornalisti che si erano presi la briga di andarli a cercare hanno detto di essere venuti per ”liberare” Gerusalemme perché “liberare il nostro territorio é un dovere sacro sancito dal Corano”.

Il fatto che gli uomini di Fatah al-Islam avessero ritenuto che la strada per Gerusalemme si stendesse presso la città libanese di Tripoli e che potesse essere raggiunta uccidendo trenta soldati libanesi, molti dei quali sunniti come loro, di cui quattro decapitati, é stato una delle più assurde manifestazioni di un’organizzazione, la quale nega di essere affiliata ad Al-Qaeda ma allo stesso tempo simpatizza palesemente per i “fratelli” che servono le idee di Osama bin Laden.

La notte scorsa i loro uomini armati presso Nahr al-Bared hanno offerto un cessate il fuoco alle truppe libanesi circostanti dopo che i medici avevano implorato una tregua per poter rimuovere i cadaveri ed i feriti dalle strade. Un’idea davvero bizzarra considerato che solo 24 ore prima quegli stessi uomini avevano minacciato di aprire le “porte dell’inferno” sul Libano e che “avrebbero sparato fino all’ultimo proiettile” se l’esercito non avesse cessato il fuoco. La natura della loro politica é tuttavia meno sinistra della loro ferocia. E’ ora trapelato che domenica scorsa due di loro si sono fatti saltare in aria con delle cinture cariche di esplosivo a Tripoli dopo aver preso alcuni civili in ostaggio.

Un superstite al massacro ricorda che uno dei membri suicidi di Fatah al-Islam ha trascorso i suoi ultimi momenti di vita leggendogli il Corano.

L’organizzazione – di cui non sappiamo ancora se il numero di uomini armati sia di 300 – si é sicuramente ispirata alla famosa dichiarazione del membro di Al-Qaeda Ayman al-Zawahiri che vede la Palestina vicina all’Iraq e che pertanto prevede che “i guerrieri portino la loro guerra santa presso i confini palestinesi”. Uno di questi confini é senz’altro quello Libano-Israeliano. Un anno fa Chaker al-Absi diceva ai giornalisti che il suo movimento “era fondato sul Corano e sulla guerra santa” e che era “un movimento riformista creato per mettere fine alla corruzione e per far sventolare nel cielo di Gerusalemme uno striscione che dice ’Non c’é Dio al di fuori di Allah’.”

Ed ha aggiunto che “non siamo alleati a nessun regime o gruppo esistente su questa terra”. Absi, bisogna ricordare, é ricercato in Giordania per l’assassinio di un diplomatico americano. Niente poco di meno che Omar al-Bakri – deportato dalla Gran Bretagna più di un anno fa – ha descritto Fatah al-Islam come “la carta vincente vera e propria della Siria”.

Se lo fosse, la Siria dovrebbe allora dare delle spiegazioni su come il gruppo abbia rivendicato le due esplosioni a Beirut nel fine settimana, durante uno dei quali una donna cristiana di mezza età é stata uccisa. L’esercito libanese sospetta che il gruppo abbia anche piazzato delle bombe su alcuni autobus nel quartiere cristiano di Ain Alak all’inizio dell’anno.

Ma perché proprio Tripoli? E perché proprio adesso? Bé, forse questo ha a che vedere con l’imminente istituzione di un tribunale delle Nazioni Unite per fare giustizia sull’assassinio dell’ex primo ministro Rafik Hariri.

C’era la Siria dietro l’omicidio? Più le notizie vengono ripetute in Libano più queste diventano drammatiche: si sente dire che Fatah al-Islam sia finanziata dai due figli di Bin Laden, Saad e Mohamed; che due degli uomini armati uccisi a Tripoli erano fratelli di un uomo libanese di Akkar che era stato arrestato in Germania l’anno scorso per aver presumibilmente tramato di piazzare bombe sui binari dei treni; che tra le vittime di Tripoli ci siano anche un bangladese ed un yemenita.

Sappiamo con certezza che tra le vittime c’é almeno uno dei figli di Darwish Haity, un sessantenne libanese di Sidone. L’uomo é consapevole che suo figlio Ahmad é deceduto e teme che anche Mahmoud Haity abbia fatto parte del gruppo di combattenti morti durante gli scontri nei caseggiati di Tripoli. “I miei figli non sono così” ha detto il padre.”Fatah al-Islam li ha raggirati e resi criminali”. Ahmad Haity era un uomo sposato con tre figli.

La stessa Sidone é sede del più grande campo profughi in Libano, Ein el-Helweh, da cui almeno venti palestinesi sono partiti per andare a farsi esplodere contro truppe statunitensi in Iraq. Un movimento musulmano sunnita di Tripoli vanta di averne inviati “almeno” 300. Ein el-Helweh vanta una serie di piccoli gruppi islamici come Issbat al-Anssar, che si sono disgregati quando la propria leadership fondò Issbat al-Noor – “La comunità dell’illuminazione” – il cui capo fu assassinato presumibilmente da una fazione dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina).

Tutte queste dispute fratricide palestinesi possono apparire stancanti, tuttavia bisogna ricordare che le origini di molte di esse risalgono alla guerra civile libanese, quando la OLP di Arafat lottava dalla parte dei musulmani contro la milizia cristiana maronita.

Quando truppe libanesi arrestarono lo yemenita Moamar Abdullah al-Awami a Sidone nel 2003 e lo accusarono di aver progettato di far saltare in aria un ristorante Mc Donald’s, Awami – che in battaglia si faceva chiamare “Ibn al-Shaheed” (figlio del martire) – confessò di aver conosciuto tre seguaci di Al Qaeda ad Ein el-Helweh. Alcuni fondamentalisti libanesi impegnati in una battaglia contro l’esercito libanese a Sir el-Dinniye nel 2000, aderirono ad un gruppo palestinese conosciuto come Jund al-Shams (Soldato di Damasco) il cui leader, Mohamed Sharqiye era arrivato a Sidone dieci anni prima – e qui si ritorna al punto di partenza – dallo stesso campo profughi di Nah el-Bared dove Fatah el-Islam si é stabilita la scorsa estate.

Dire che tutto questo é opera della Siria sarebbe troppo semplice. La Siria potrebbe avere qualche interesse nel guardare questa destabilizzazione, fornendo persino logistica a questi gruppi attraverso le sue reti di sicurezza. Ma altre organizzazioni potrebbero aver lo stesso interesse; gli insurrezionalisti iracheni per esempio, piuttosto che i talebani, o magari piccoli gruppi nei territori palestinesi occupati. In Medio Oriente le cose vanno cosi, non c’é alcun senso di responsabilità, ma soltanto una comunione di interessi. Probabilmente gli americani avrebbero potuto imparare qualcosa da questo se due anni fa non avessero insultato la Siria per aver permesso ai guerriglieri di entrare in Iraq – provocando quindi la cessazione della cooperazione militare e spionistica siriana con gli Stati Uniti.

All’inizio di quest’anno, un altro leader di Fatah al-Islam autonominatosi “Abu Mouayed” ha dichiarato durante un’intervista: “non siamo in contatto con altri islamisti... non stiamo reclutando combattenti, ma coloro che vogliono collaborare con noi e lottare contro gli ebrei sono i benvenuti”. Ha inoltre minacciato di attaccare le forze delle Nazioni Unite guidate da quattro generali NATO nel sud del Libano. All’epoca, gli ufficiali dell’OLP presso Nahr el-Bared avevano promesso di ‘tenere sotto d’occhio’ Fatah al-Islam. Ma negli ultimi due mesi, evidentemente la loro vista deve aver fallito.

L’esercito e la Forza di Sicurezza Interna – una versione moderata di unità di polizia paramilitare – sembrano aver catturato 11 kamikaze prima che potessero farsi saltare in aria, questi sono ora sotto interrogatorio (una procedura che non sarà certamente lieve, uno degli uomini è stato ferito gravemente). Alcuni fotografi sono riusciti a scattare delle foto ad uno degli uomini catturati mentre veniva trascinato dai soldati dopo che uno dei loro compagni era stato ucciso. Ma é davvero possibile che questi feroci – cruenti – guerrieri siano disposti a parlare considerato che erano tutti pronti a morire?

Anche l’esercito ha le sue preoccupazioni. Pare che circa metà delle loro vittime sia musulmana sunnita, la cui maggioranza proviene dal Libano del Nord.

Questa é una parte del paese dove gli omicidi per vendetta sono stati spesso una carattersitica della rabbia sociale ed una volta che i combattimenti a Nahr el-Bared cesseranno, ci saranno famiglie disperate che cercheranno di rivendicarsi della perdita di mariti e figli, soprattutto quelli che hanno trovato la morte in modo crudele. A Sir el-Dinniye nel 2000, non ci sono stati atti di vendetta in seguito alle morti di 11 soldati. Ma alcuni degli uomini che li hanno uccisi 7 anni fa sono ora – e di nuovo torniamo al punto di prima – nel campo profughi di Ein el-Helweh a Sidone.

Il movimento Fatah dell’OLP ha chiamato i suoi omonimi “una banda di criminali” – una precauzione saggia considerata la furia soppressa dei libanesi verso i palestinesi che hanno consentito la formazione di questo gruppo nel campo profughi del nord. Ad Ein el-Helweh, l’OLP è ovunque nelle strade per assicurarsi che non ci sia alcuna riapparizione, malgrado un islamista palestinese abbia aperto il fuoco lunedì in un impeto di rabbia per la morte dei suoi “fratelli” che lottavano contro l’esercito.

Se l’assedio di Nahr el-Bared continuerà, non sarà facile controllare i gruppi palestinesi a Beirut e nel sud del Libano. Ed a quel punto l’esercito libanese – che si trova a metà strada tra la pace e l’anarchia qui – sarà ancora più in tensione.

Note: Tradotto da Federica Gabellini per www.peacelink.it
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