Tel Aviv ammette il raid L'obiettivo? «Siti nucleari»
«La risposta siriana deve ancora arrivare» ha detto perentoriamente il delegato siriano all'Onu Bashar al-Jaafari consegnando due lettere di protesta al Consiglio di Sicurezza in cui si accusa Israele di aver lanciato missili contro la Siria. Ma sull'incursione aerea israeliana, che giovedì scorso ha colpito la provincia di Dayr az Awar nella zona nord-orientale della Siria vicino al fiume Eufrate, il mistero rimane fitto. In Israele generali e ministri ostentano soddisfazione sul risultato della missione, ma le bocche rimangono rigorosamente cucite quanto agli obiettivi.
La giornata di ieri è stata segnata da un flusso di notizie di corridoio e ricostruzioni contrastanti sull'azione condotta dagli F15 israeliani. Secondo un anonimo funzionario della Casa Bianca, intervistato dal New York Times, l'aviazione israeliana avrebbe fotografato installazioni missilistiche nucleari che il paese starebbe costruendo con l'aiuto della Corea del Nord. Lo stato sudorientale, in base a un trattato sottoscritto con gli Stati Uniti, si deve liberare del suo arsenale nucleare entro l'anno in cambio di aiuti e secondo fonti americane ne starebbe vendendo pezzi a Iran e Siria. Tuttavia fonti diplomatiche viennesi vicine all'agenzia sull'energia atomica negano che ci siano prove convincenti di traffici nucleari tra Corea del Nord e Siria. Una versione alternativa sostiene che l'obiettivo del raid fosse un carico d'armi destinato ad Hezbollah. Una terza ipotesi sostiene che l'incursione israeliana abbia voluto testare la capacità di risposta della difesa aerea israeliana dopo l'acquisto di nuovo equipaggiamento dai russi. In base ad un'ultima versione infine, il supposto bombardamento sarebbe servito come diversione per una incursione via terra, forse servita per dimostrare alla Siria come Israele possa lanciare a proprio piacimento le truppe sul suo territorio.
Ma cosa è successo veramente giovedì scorso? La spiegazione che al momento appare più accreditata appare quella che l'attacco israeliano fosse mirato ad armamento in transito dall'Iran verso i miliziani sciiti di Hezbollah in Libano. La versione potrebbe essere avvalorata dalla dichiarazione di Shimon Perez, l'unica autorità israeliana di alto profilo che è intervenuta sulla questione sostenendo che «il problema centrale con la Siria è il Libano. Il problema è capire se il Libano debba essere libanese o iraniano. Finché la Siria farà arrivare armi agli Hezbollah ci sarà tensione nell'aria».
La crisi diplomatica tra Israele e Siria si è aggravata durante l'ultimo anno dopo l'attacco israeliano al Libano. Un'altro fattore di scontro è l'irrisolta questione delle alture del Golan, dopo i colloqui falliti nel 2000. Il presidente siriano Bashar al-Assad ha fatto capire che se Israele non riprenderà il negoziato sulla regione contesa la Siria potrebbe considerare l'opzione militare per riappropriassi della regione. Siamo a un passo dalla guerra? Israele è ottimista: secondo informazioni filtrate dal ministero della difesa si prevede che la tensione diminuirà nei prossimi giorni. Ma stando alle dichiarazioni rilasciate dai propri diplomatici, la Siria non sembra disposta ad ingoiare l'ennesima provocazione israeliana.
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