Fine della farsa. La velenosa frittata Kosovo è quasi pronta
La frittata Kosovo è quasi pronta, indigesta come più non poteva essere. Fine della farsa di trattative dirette tra le due parti dispari che la comunità internazionale ha fatto finta di mettere alla pari. Lo Stato della repubblica di Serbia, cui formalmente il Kosovo appartiene per storia e diritto, e la componente etnica albanese che si fa stato grazie alle bombe Nato del 1999. Colloqui viziati da sempre, con una parte, quella albanese, che sapeva d'avere dalla sua la prepotenza americana e l'impotenza europea. Per la parte serba, ultimamente, proposte varie che concedevano tutto meno che l'indipendenza formale. Per la parte albanese, sapendo di avere l'impegno statunitense del tutto, niente di meno che l'indipendenza. La rottura è quindi la classica Non notizia, utile per la sceneggiata internazionale a futura memoria, «abbiamo fatto tutto quanto era possibile fare».
Tutto come temuto, tutto come prevedibile, a dimostrare dell'aver buttato via 8 anni e decine di miliardi di euro di missione internazionale in Kosovo per tornare da dove si era partiti, cioè, dai bombardamenti della Nato nel 1999. Su questo risultato, pensando alla comunità internazionale che l'ha reso possibile, a capi di Stato che l'hanno voluto o lasciato correre, a certa diplomazia complice o imbalsamata, alle sigle internazionali tanto roboanti quanto impotenti o inutili, da vecchio balcanico sento il bisogno di attribuire loro una forte aggettivazione (Grandi, eccelse, incommensurabili) che accompagni la qualità delle loro teste fisiologicamente inguinali. Purtroppo l'insulto non basta, e neppure il tornare al famoso: «L'avevamo detto». Noi l'avevamo detto e loro, come al solito, hanno fatto la porcata.
Riepiloghiamo. Il Kosovo albanese che vince la guerra grazie alla Nato e vuole il suo stato etnico indipendente. La Serbia, che non accetta il mercato tra l'entrata nell'Unione e il cedere parte del suo territorio storico. La troika dei potenti della terra (Stati Uniti, Russia e Unione Europea), che s'impantana nelle proprie contraddizioni. Per l'indipendenza subito, gli Stati Uniti che nei Balcani hanno scelto da tempo la parte albanese a danno di quella slava. La Russia di Putin che denuncia la violazione del diritto internazionale a danno dai fratelli slavi di Belgrado, ma pensa contemporaneamente ad altre possibili indipendenze che minacciano il suo impero. L'Unione Europea che media tra i colossi planetari per cercare soluzione alle sue clamorose divisioni interne che sul Kosovo e dintorni si esaltano e non possono più essere occultate.
Sui Balcani veri e propri, il silenzio della paura. Cosa accadrà nel Kosovo delle isole etniche serbe che si raccolgono attorno ai monasteri cristiano ortodossi protetti per ora delle armi Nato? Cosa accadrà a Kosovska Mitrovica, novella Berlino della separazione etnica dopo la caduta del muro delle ideologie politiche? Cosa accadrà in Macedonia dove le stesse bande armate albanesi del Kosovo hanno già creato a Tetovo un territorio fuori dal controllo dalla Skopje slava e bulgara? Cosa accadrà nella Bosnia tripartita, quando serbi, croati e musulmani slavi, costretti da dieci anni ad una convivenza che pareva la regola, scopriranno d'essere invece un'eccezione? Cosa potrà accadere nella stessa Belgrado alle prossime elezioni presidenziali, dove la comunità internazionale sembra impegnata a far rivivere i fantasmi evocati dagli orfani di Milosevic a danno del democratico Tadic?
Prossimo appuntamento al 10 dicembre. All'Onu la parola toccherà al Consiglio di sicurezza, difficilmente in grado di andare oltre l'attuale risoluzione 1244 che riconosce il Kosovo come territorio dello Stato serbo. A Pristina, più o meno contemporaneamente avverrà la dichiarazione unilaterale di indipendenza: lo ha promesso l'ex combattente Uck Hashim Thaqi, divenuto nel frattempo capo del governo kosovaro albanese e lo pretende una piazza sapientemente tenuta in tensione. Altrettanto scontata la denuncia formale da parte di Belgrado della evidente e clamorosa violazione del diritto internazionale. A scegliere Pristina al posto di Belgrado sarà certamente Washington, che di quel Kosovo albanese è padre e madre assieme. Peccato che i figli toccheranno quasi tutti all'Europa dell'Unione. Un Kosovo albanese per gli Stati Uniti e uno serbo per una Russia sempre più competitiva. Su cosa accadrà a Bruxelles, manco gli astrologi s'azzardano a fare previsioni. Difficile a quel punto la solita ipocrisia del piede in due scarpe. L'Unione che si disunisce e si rivolge a briglia sciolta o a Pristina o a Belgrado? E il governo italiano che andrà a fare? Questa volta la furberia del 1999 non potrà più funzionare. Per la memoria, allora fu cacciabombardieri ed ambasciata aperta. Come a dire, ti bombardo un po', ma con amicizia.
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