Appesi al Kosovo
Chi l'avrebbe detto che il Kosovo, da sempre oscurato, diventasse il gancio al quale è rimasta appesa la fiducia al governo Prodi, passato venerdì sera al Senato per il voto del senatore a vita Francesco Cossiga. «Voto la fiducia - ha dichiarato - affinché il governo non cada proprio alla vigilia d'eventi che, con la scadenza del 10 dicembre, termine per la formulazione di una proposta al Consiglio di Sicurezza Onu oggi presieduta dall'Italia in materia di status della provincia del Kosovo, nell'eventualità non remota di una deprecabile dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del governo autonomo d'etnia albanese, potrebbero aprire scenari di tragici conflitti in quel teatro nel quale il nostro Paese è anche militarmente impegnato».
La decisione di Cossiga svela il disastro dell'Europa - divisa - e dell'Italia sul Kosovo. Ieri il vertice Nato ha deciso l'invio sul campo di altri uomini, oltre i 16.500 uomini dei contingenti che, con quello italiano, occupano la regione. La decisione della leadership kosovaro-albanese di proclamare in modo unilaterale l'indipendenza dalla Serbia, sconvolge i malcerti Balcani e la scena internazionale. Nonostante che le elezioni del 17 novembre, che avrebbero dovuto essere plebiscitarie per l'indipendenza, siano state non solo boicottate dai pochi serbi rimasti ma disertate dal 57% degli stessi albanesi. E nonostante che non esistano standard democratici e rispetto delle minoranze messe in fuga nel terrore da una nuova contropulizia etnica, ben 150 monasteri ortodossi sono stati rasi al suolo, 200mila serbi e altrettanti rom sono stati cacciati, con migliaia di vittime e desaparesidos. I serbi, numerosi solo a Kosovska Mitrovica, vivono in bantustan protetti dalla Kfor-Nato. Ecco il punto. Le truppe della Nato sono entrate in attuazione degli accordi di Kumanovo (giugno 1999) che posero fine alla guerra «umanitaria» contro l'ex Jugoslavia, un accordo assunto dal Consiglio di sicurezza Onu con la Risoluzione 1244 che riconosceva la sovranità di Belgrado. Ora una dichiarazione d'indipendenza - lunedì 10 dicembre la trojka negoziale (Usa, Ue e Russia) farà rapporto all'Onu sul proprio fallimento - porrebbe le truppe Nato in una pericolosa zona fuori dal diritto internazionale. Col rischio evidente di diventare insieme bersaglio-baluardo militare, tra indipendentisti da una parte e nuova Serbia democratica dall'altra che rivendica territori «fondativi» e «inalienabili».
Gli Stati uniti, principali sostenitori dell'indipendenza del Kosovo, per bocca del segretario di stato Condoleezza Rice invitano l'Ue ad accettare il nuovo status autoproclamato a Pristina e Washinton. Loro se ne lavano le mani delle conseguenze: spingendo per l'indipendenza hanno di fatto impedito qualsiasi compromesso, così rifiutano la nuova proposta della Russia di continuare le trattative e, quanto a presenza militare, hanno costruito in Kosovo Camp Bondsteel, la più grande base militare d'Europa. Ora il ministro degli esteri D'Alema - favorevole all'indipendenza - preme perché l'Ue avvii una missione che garantisca in modo indolore la secessione, superi il ruolo della Nato e sostituisca quello dell'Onu (nefasto nell'amministrare questi 8 anni ed escluso dalle decisioni sulla guerra nel 1999). Ma è credibile?
No. Tanto che la soluzione mette in contraddizione - pare incredibile - il presidente della commissione esteri della Camera Umberto Ranieri (Pd) con lo stesso Massimo D'Alema che anche ieri ha ripetuto: «Un riconoscimento dell'indipendenza non viola il diritto internazionale». Ranieri, ben consapevole del voto bipartisan dei giorni scorsi del parlamento contrario al riconoscimento dell'indipendenza, ha polemizzato duramente con il ministro degli esteri britannico David Miliband convinto che «la Risoluzione 1244 prevede l'indipendenza del Kosovo». «Sorprendente - ha denunciato Ranieri - è l'opposto. La 1244 affida all'Onu l'amministrazione del Kosovo, ma con riferimento all'unità territoriale della Serbia». L'avrà sentito il britannico D'Alema?
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