Altri morti in Kenya
Giovedi 17. Oggi e’ stata un’ altra giornata di violenze. Episodi isolati in tutta Nairobi e anche nelle altre citta’. Finche’ i nostri due leaders non riescono ad avviare un dialogo non riusciremo ad avere pace.
Due aspetti cominciano a balzare agli occhi. Il primo e’ che la violenza e’ voluta ed orchestrata. Non e’ una reazione spontanea della gente. In tutta Nairobi, oltre 5 milioni di persone, quelli che si vedono nelle strade a manifestare sono poche centinaia di giovani. La citta’ e’ in ostaggio di questi gruppi.
Il secondo e’ il ruolo che la stampa gioca nel promuovere la violenza. Come succede da decenni in tutto il mondo, molte volte la manifestazione sembra fatta solo perche’ c’e’ la stampa. Ieri un giornalista italiano mi raccontava: Ero con un gruppo di giornalisti, quasi trenta. Dall’ altra parte della grande strada c’ era la polizia in pieno assetto antisommosa e fra di noi c’era un gruppo di manifestanti, che non raggiungevano i cento. Come le videocamere comincavano a riprendere la scena i manifestanti su animavano e gridavano slogans. Sembrava di essere sul set di un film. La polizia ad un certo punto ha pure deciso di fare la sua parte come da copione ed ha tirato dei lacrimogeni. I manifestanti si sono subito dispersi, e cio’ che e’ stato divertente e’ che i tre o quattro leaders dell’ opposizione si sono infilati di corsa nell’ ingresso del Grand Regency Hotel (il nome dice tutto), e son stati lasciati passare dal personale, ma quando gli altri hanno cercato di fare lo stesso, sono stait immediatamente bloccati. Una rivoluzione popolare con due classi.
Purtroppo non e’ sempre cosi. La polizia spara davvero e ci sono i morti.
Il testo che segue e’ un’ intervista che ho dato al Die Tagespost - Katholische Zeitung für Politik, Gesellschaft und Kultur.
Naturalmente loro hanno tradotto in tedesco.
La missione del presidente del Ghana e’ fallita. L’ ultima speranza e’ con l’ annunciata e rimandata visita di Kofi Annan?
Le posizioni di Kibaki e Raila sono molto distanti, e molto difficili da riconciliare. Kibaki sostiene di essere stato eletto legittimamente, e quindi non ha la necessita’ e la volonta’ di negoziare con nessuno, mentre Raila dice che ci sono stati brogli. Ma Raila diceva questo gia’ una settimana prima delle elezioni, e non era e non e’ certamente disposto a perdere. E’una vita che insegue la presidenza del Kenya, e se gli sfugge questa volta avra’ non ci sara’ un’ altra occazione. Ma d’altro lato devono necessarimente negoziare. Secondo la costituzione in vigore il governo e’ formato dal Presidente, ma questo governo non potra’ governare perche Raila ha 5 o 6 voti in piu’ in parlamento e puo’ bloccare tutto… Pero’ Raila non ha i due terzi dei voti, che protrebbero permettergli di sfiduciare il presidente e chiedere nuove elezioni. E’ un’ impasse difficile da superare. … Non credo che neanche l’ abilita’ diplomatica di Koffi Annan sia sufficiente…
E se questo incontro fallira’ cosa quali vie resteranno aperte?
Certamente Kibaki e Raila dovranno venire ad un compromesso, ma perche’ questo avvvanga ci vuole un po’ di tempo, di modo che possano ammorbidire le loro posizioni salvando la faccia. Dieci giorni fa Raila diceva che l’ unica soluzione possibile era che Kibaki si dimettesse… Adesso e’ disposto a negoziare e dalle ultime notizie sembra sia disposto ad un governo di unita’ nazionale. Entrambe le parti hanno bisogno di tempo. Ci sono pero’ personaggi in tutti e due i campi che sembrano determinati a convincere i leaders a resister sulle loro posizioni e usano il tempo per alzare ulteriori steccati invece che per aprire strade al dialogo. L’ attuale confornte per le strade e’ una scelta che vain questo senso, che non tiene assolutamente conto di cio’ che la maggioranza della gente veramente vuole.
Se la Comunita’ Europea intervenisse aumentando la pressione politica e commerciale…
Potrebbe essere controproducente. I kenyani sono molto orgogliosi e in questi giorni a Nairobi molti commentano che l’ abbastanza chiaro supporto che Gran Bretagna e USA danno a Raila e’ dovuto al fatto che il governo di Kibaki, per la prima volta dall’ indipendenza, ha fatto un contratto per acquistare le auto del governo e della polizia non dalla Land Rover ma dalla Toyota. Ed e’ un contratto di milioni di euro. Kibaki ha pure rifiutato agli USA il permesso di installare una base navale sulla costa keniana, e non ha firmato il trattato secondo cui i militari americani possono essere processati solo negli USA. Una pressione eccessva potrebbe far scattare sentimenti nazionalisti molto forti.
Una situazione dramatica allora. Come sta intervenendo la Chiesa Cattolica?
Dobbiamo ammettere con rammarico che la chiesa in questa sitauzione particolare non ha una grande autorita’ morale. Troppi vescovi sono stati percepiti gia’ dal tempo del referendum dell’ ottobre 2005 come di parte. Che sia vero o no, non ha importanza, la percezione e’ questa. Ieri ero con un gruppo che lavora per la difesa dei diritti umani. Un parteciapnte ha proposto un sit-in nel parcheggio della cattedrale, che e’ in posizione strategica perche’ vicinissimo al parlamento, ma subito altri hanno obiettato che la scelta del posto era inopportuna perche la gente li avrebbe percepiti come di parte.
E perchè è così difficile per la chiesa, per la conferenza episcopale cattolica fare un appello pubblico agli politici e alla gente?
Ci sono gia’ troppi appelli, qui ne viene fuori uno o piu’ al giorno, e anche troppi mediatori che si autopropongono! La chiesa e’ capqace di fare formazione delle persone a lungo termine e deve fare questo, purtroppo secondo me al momento non ha la credibilita’ di proporre soluzioni immediate. Questo e’ un problema di tutta la chiesa in Africa. Dopo il genocidio del Ruanda si fece qui a Nairobi nel ’97 una consultazione con una settantina di caridnali, arcivescovi e vescovi da tutta l’ Africa sul problema dei Grandi laghi e quindi sul problema del tribalismo. Ma il documento che ne usci fu molto deludente, e che io sappia non e’ seguita nessuna azione. Dopo questi fatti la chiesa in Kenya e in Africa dovrebbe impostare dei piani pastorali a lunga scadenza che affrontino il problema del tribalismo sui tempi lunghi. Altrimenti quando esplodono queste situazioni non si ha la credibilita’ necessaria per farsi ascoltare. A livello di base i laici sono a volte piu’ lucidi e piu’ capaci di interventi ricchi di spirito cristiano. Gli appelli all’ aiuto umanitario che parrocchie e associazioni cattoliche hanno fatto in questi gironi hanno avuto riscontri molto positivi, e l’ impegno di alcuni laici in associazione che promuovono pace e riconciliazione e’ straordinario. Conosco diverse persone che hanno tenuto in casa loro amici e conoscenti che avevano paura a viaggiare, condividendo con loro il poco che avevano.
Come vede il futuro del Kenya?
I kenyani sono capaci, come hanno ben dimostrato in molti anni, di una convivenza positiva e reciprocamente arricchente. Sono stati traditi dai loro uomini politici che in questi ultimi due anni hanno fomentato in una piccola minoranza - vulnerabile perche’ povera e disperata – sentimenti di odio tribale. Ora ci vorra’ molto tempo per riparare al male fatto. Ma la sociata’ civile e’ sana e sapra’ lavorare seriamente. A questo punto devo dire che mi preoccupano molto le interferenze esterne. Mi pare sempre piu’ chiaro che quanto sta succedendo e’ anche dovuto a fortissime pressioni dall’ esterno. Europa, Cina e USA stanno giocando una partita importante per il controllo dell’ Africa e delle sue risorse, e il Kenya e’ solo una pedina. E i politici locali che vogliono arrivare a tutti i costi al potere o che vogliono restarci, sono troppo facilmente corruttibili. E la gente paga.
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