Ritorno a Fallujah
E' più difficile entrare a Fallujah che in qualsiasi altra città del mondo. Per la strada proveniente da Bagdad ho contato 27 posti di blocco, tutti sorvegliati da soldati e poliziotti ben armati . "L'assedio è totale" dice, scuro in volto, il dott. Kamal all'ospedale di Fallujah, mentre stila la lista di ciò che gli occorrerebbe, che comprende di tutto, dalle medicine all'ossigeno e dall'elettricità all'acqua pulita.
L'ultima volta che tentai di entrare a Fallujah in macchina, diversi anni fa, rimasi coinvolto nell'imboscata ad un convoglio americano che trasportava carburante, e dovetti uscire dall'auto a carponi e sdraiarmi sul ciglio della strada insieme all'autista, mentre tra soldati americani e guerriglieri si era aperto il fuoco. La strada adesso è molto più sicura ma a nessuno è concesso di entrare a Fallujah fuorché ai residenti in grado di comprovare che vivono là mediante documenti d'identità dettagliati. La città è isolata dal novembre del 2004, quando i Marines americani vi irruppero con un attacco che l'ha lasciata per la maggior parte in rovina.
Le strade, con i muri butterati dai segni delle pallottole e con gli edifici ridotti ad un cumulo di lastre di cemento, appaiono ancora come se il combattimento fosse cessato da poche settimane.
Sono andato a vedere il vecchio ponte sull'Eufrate dalle cui travi d'acciaio i falluiani avevano impiccato i corpi bruciati di due guardie private americane addette alla sicurezza, uccise dai guerriglieri – l'incidente che fu la scintilla che provocò la prima battaglia di Fallujah. Il ponte, a corsia unica, c'è ancora ed è sovrastato dalle rovine di un edificio bombardato o colpito da granate, il cui tetto, in frantumi, si allunga sulla strada mentre una rete di ferro arrugginita tiene insieme lastroni di cemento.
Il capo della polizia di Fallujah, il colonnello Feisal Ismail Hassan al-Zubai, ha cercato di far vedere che la sua città sta facendo progressi.
Mentre guardavamo il ponte una piccola folla si è radunata . Un anziano col cappotto marrone ha strillato: "non abbiamo l'elettricità, non abbiamo l'acqua!"
Altri hanno confermato che a Fallujah la corrente elettrica c'è per un'ora al giorno. Il colonnello Feisal ha detto che non poteva far molto riguardo ad acqua ed elettricità, ma ha promesso ad un uomo di togliere lo sbarramento fatto col filo metallico davanti al suo ristorante.
Fallujah se la passa forse meglio di prima, ma di strada da fare ne rimane tanta. I medici dell'ospedale confermano che sono diminuiti gli arrivi di vittime di sparatorie o esplosioni di bombe da quando il Movimento Awakening ha espluso al-Qa'ida dalla città negli ultimi sei mesi, ma la gente cammina ancora con cautela per le strade, come se si aspettasse che da un momento all'altro una sparatoria abbia inizio.
Il colonnello Feisal, un ex ufficiale delle Forze Speciali di Saddam Hussein, ammette gioiosamente che prima di essere a capo della polizia "combatteva gli americani". Suo fratello Abu Marouf, un tempo al comando della guerriglia, controlla 13.000 combattenti del Movimento anti al-Qa'ida Awakening, dentro e attorno a Fallujah. Il colonnello ha precisato che le strade di Fallujah non sono proprio sicure, ma il suo convoglio marcia veloce ed è condotto da un poliziotto con il volto coperto da un passamontagna bianca, che da sopra il veicolo e con in mano il fucile intima ai veicoli in arrivo di togliersi di mezzo gesticolando in modo frenetico.
Il commissariato di polizia è un locale ampio e protetto da barriere fatte con cemento e terra. Appena raggiunto il cortile interno abbiamo visto dei cartelli che dicevano che se la battaglia contro al-Qa'ida era finita non li erano però gli arresti. Da un'altra parte del commissariato è apparsa una fila di venti prigionieri, ognuno con gli occhi coperti da una benda bianca e aggrappato ai vestiti del prigioniero davanti. Quei prigionieri mi hanno ricordato le fotografie degli uomini che furono accecati dal gas durante la Prima Guerra Mondiale e che arrancavano dietro un uomo che invece ci vedeva e che era, in quel caso, un secondino della prigione.
Ci sono edifici nuovi sulla via principale. A mangiare andavo in un locale che fa kebab che si chiamava HajiHussein ed era uno dei migliori in Iraq. Ma col perdurare dell'occupazione ho cominciato ad attirare sguardi ostili, e il proprietario mi ha consigliato di mangiare al piano di sopra, in una stanza vuota, per sicurezza; poco dopo il locale è stato distrutto da una bomba americana. Adesso è stato ricostruito e dipinto con colori sgargianti, e sembra che gli affari vadano bene.
Un tempo Fallujah contava 600.000 abitanti: nessuno degli ufficiali in città sembra essere a conoscenza del numero attuale. Il colonnello Feisal è speranzoso riguardo agli investimenti e ci ha portato a vedere un nuovo edificio bianco chiamato Fallujah Business Development Centre, finanziato in parte da una divisione dello US State Department . Alcuni soldati americani alti stavano presidiando una conferenza sullo sviluppo economico. "Ha attratto un investitore americano finora" mi ha detto un consulente americano in divisa, con tono di speranza. "Io sono Sarah e mi occupo di interventi psicologici" mi ha detto un'altra funzionaria statunitense, che ci ha mostrato tutta fiera la nuova Radio Fallujah che aveva appena preso il via.
Dall'altra parte della città abbiamo attraversato il ponte di ferro costruito intorno al 1930 , che rappresenta adesso l'unico collegamento con l'altra sponda dell'Eufrate. Esiste un ponte moderno mezzo miglio in giù sul fiume ma l'esercito americano se ne è impossessato e lo usa, a sentire la gente del posto, come parcheggio per i veicoli. Dall'altra parte del ponte, passate le file di alti giunchi dove coloro che scappavano dalla città durante gli assedi del 2004 provavano a nascondersi, c'è un edificio sventrato dalle bombe dal lato della strada. Dall'altro c'è l'ospedale i cui dirigenti sono stati accusati dai comandanti americani di gonfiare sistematicamente il numero delle vittime del bombardamento americano.
Quando ho domandato cosa manca all'ospedale il dott. Kamal mi ha risposto: "medicine, combustibile, elettricità, generatori di corrente, un sistema per il trattamento delle acque, ossigeno e attrezzatura medica." Difficile non pensare che l'aiuto americano sarebbe stato meglio diretto verso l'ospedale anziché il centro per lo sviluppo economico…
Il colonnello Feisal ha detto che le cose stavano andando meglio, ma intanto era accerchiato da donne vestite di nero che gridavano che i loro bambini non erano stati curati.
"Ogni giorno 20 bambini muoiono qua" , ha detto una di loro, "Sette proprio in questa stanza."
I medici hanno detto che si prendono cura dei loro pazienti meglio che possono. "Gli americani non ci procurano nulla" ha detto una madre che cullava un bambino, "portano solo distruzione".
Il testo e' liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la
fonte (Associazione PeaceLink) e l'autore .
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