Newsletter numero 10
Indice
I fatti
Abyei / Aperta un'inchiesta dopo gli scontri
Sud Sudan / Vertice Spla: Salva Kiir confermato
Darfur, 1 / Tribunali speciali e accusa di terrorismo per lo Jem
Darfur, 2 / Arrestato il capo dell'intelligence dello Jem
Darfur, 3 / Ucciso un poliziotto ugandese dell'Unamid
Sudan / Accordo tra i partiti Umma e National Congress
Il commento
Il significato di Abyei
I documenti
Khartoum, 1 / Raffica di arresti dopo gli attacchi del 10 maggio
Khartoum, 2 / Le preoccupazioni della società civile
Darfur, 1 / La situazione umanitaria
Darfur, 2 / Rapporto di Hrw: il governo attacca e uccide i civili
La Campagna Sudan
Chi siamo
L'incontro di Hermannesburg
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I fatti (Fonti: Afp, Al Jazeera, Ansa, Ap, Bbc, Misna)
Abyei / Aperta un'inchiesta dopo gli scontri
Ashraf Qazi, rappresentante del segretario generale dell’Onu in Sudan, ha dichiarato che «entrambe le parti coinvolte negli scontri verificatisi ad Abyei hanno concordato che sia condotta un'indagine sui fatti e che i responsabili di violenze siano assicurati alla giustizia». La regione al centro del Sudan a metà maggio è stata insanguinata dagli scontri tra i soldati delle forze armate sudanesi (Saf) e quelli del Sudan people’s liberation army (Spla); ci sono stati almeno 22 soldati uccisi e oltre 90.000 sfollati. La cittadina da cui la regione prende il nome, di circa 50mila abitanti, è stata quasi completamente razziata e bruciata. Qazi ha inoltre spiegato che «la missione delle Nazioni Unite (Unmis) non può proteggere i civili che vivono nella zona a causa del numero limitato dei soldati del contingente Onu presente nel paese». Abyei è una regione ricca di petrolio situata sulla linea di confine tra Nord e Sud del paese ed è rivendicata sia dal governo di Khartoum sia dal governo del Sud Sudan. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha ricordato: «Se non affrontiamo questa situazione al più presto, i progressi ottenuti finora grazie all’accordo di pace globale potrebbero essere gravemente compromessi».
Sud Sudan / Vertice Spla: Salva Kiir confermato
Salva Kiir Mayardit, presidente del Sud Sudan, è stato rieletto all'unanimità alla presidenza del Sudan people’s liberation movement (Splm) per i prossimi cinque anni. L’elezione è avvenuta nel corso del secondo congresso del movimento, a Juba – capitale del Sud Sudan – che comprendeva oltre 1.500 delegati.
Darfur, 1 / Tribunali speciali e accusa di terrorismo per lo Jem
Il governo di Khartoum ha annunciato l'apertura di un’inchiesta contro i ribelli del Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (Jem) responsabili dell’attacco del 10 maggio contro Omdurman (la città vecchia sull’altra riva del fiume Nilo rispetto a Khartoum), attacco che ha provocato centinaia di morti. Lo ha annunciato il sottosegretario alla giustizia Adel Da’em Zimrawi precisando che i ribelli sono accusati di terrorismo in base a una legge varata nel 2001. L'inchiesta procederà di pari passo con le indagini in corso sui fatti del 10 maggio. Secondo il quotidiano al Hayat, il governo di Khartoum sarebbe «pronto a istituire tribunali speciali, previsti dalla normativa anti-terrorismo, per processare gli oltre 600 presunti ribelli del Darfur, arrestati nei giorni scorsi».
Darfur, 2 / Arrestato il capo dell'intelligence dello Jem
Il 21 maggio i servizi di intelligence di Khartoum hanno arrestato uno dei leader dello Jem, il comandante Abdel-Aziz al-Nur Al-Asher, mentre cercava di attraversare il confine con l'Eritrea. Al-Asher è il capo dell'apparato di intelligence dello Jem ed è cognato di Khalil Ibrahim, il leader dello Jem.
Darfur, 3 / Ucciso un poliziotto ugandese dell'Unamid
Un poliziotto ugandese dell’Unamid, la missione ibrida dell’Onu e dell’Unione africana in Darfur, è stato ucciso il 28 maggio all'interno della sua auto vicino al mercato di Zamzam ad al-Facher. Il corpo presentava varie ferite da arma da fuoco. Si tratta della prima vittima dell'Unamid per morte violenta dall'avvio della missione, all'inizio dell'anno. Un'inchiesta è in corso per stabilire le dinamiche dell'accaduto.
Sudan / Accordo tra i partiti Umma e National C ongress
L'Umma - uno dei partiti storici del Sudan e il maggior partito dell'opposizione - e il National Congress – il partito del presidente Bashir – hanno formalizzato un «accordo nazionale di riconciliazione» che sembrerebbe preludere a una possibile alleanza, anche in vista delle elezioni politiche in agenda per il 2009. L'accordo è stato fortemente criticato dai partiti all'opposizione e in particolare dal Partito comunista sudanese, preoccupato della mancata separazione tra stato e religione.
Il commento
Il significato di Abyei
Gli scontri di Abyei, i morti, gli sfollati, una città quasi interamente distrutta, sarebbero fatti estremamente gravi di per sé. Ma essi diventano ancora più gravi e più preoccupanti perché sono un segnale di ciò che in Sudan molti pensano ma pochi dicono apertamente (perché non è considerato politicamente corretto): a tre anni dalla firma dell'accordo globale la pace vera e propria tra Nord e Sud Sudan, tra esercito di Khartoum e Spla, non è ancora arrivata. Gli scontri di Abyei sono le braci che potrebbero nuovamente incendiare tutto il Sudan. Ci sono tutti gli elementi: quello militare, visto che i soldati dell'Spla e quelli delle forze armate sudanesi non esitano a spararsi addosso; quello etnico e sociale, visto che i gruppi missiriya (considerati arabi e nomadi) si scontrano a colpi di kalashnikov contro i gruppi dinka nogok (considerati africani e sedentari); quello politico-amministrativo, visto che il governo si è rifiutato di accettare i lavori della Commissione incaricata di definire i confini di Abyei che oggi viene rivendicata tanto dal Nord Sudan quanto dal Sud Sudan; quello economico visto che sotto il suolo di Abyei – guarda caso – c'è il petrolio, c'è tanto petrolio, il quale fa gola a tutti. Sciogliere il nodo di Abyei e portare la pace sul terreno e fra la gente vorrebbe dire stabilire un esempio e un modello per tutto il Sudan, che potrebbe risultare utile anche per i vicini Kordofan e Darfur. Non intervenire nella situazione di Abyei vorrebbe dire mostrare che in Sudan esiste una sola maniera per definire la distribuzione delle risorse politiche ed economiche: imbracciare il kalashnikov. Finora è prevalso il secondo atteggiamento: non è un segnale incoraggiante. (Diego Marani)
I documenti
Khartoum, 1 / Raffica di arresti dopo gli attacchi del 10 maggio
Più di cento persone sono state arrestate dalle forze di polizia sudanesi a seguito degli attacchi a Khartoum del 10 maggio da parte del Justice and Equality Movement. Secondo Georgette Gagnon, direttrice dello Human Rights Watch Africa, il governo sta cercando di circondare i sospetti ribelli e i loro supporter, tuttavia data la situazione «ci sono validi motivi essere preoccupati per la sorte dei detenuti». Per questa ragione lo stesso Hrw - che ha ricevuto nelle ultime settimane notizie non confermate di torture ai prigionieri e di almeno due esecuzioni pubbliche - ha chiesto al governo sudanese di assicurarsi che siano rispettati gli accordi internazionali sul trattamento dei detenuti. Il documento si può leggere in inglese su Internet: http://www.hrw.org/english/docs/2008/05/13/sudan18812.htm (a cura di Cristiana Paladini)
Khartoum, 2 / Le preoccupazioni della società civile
Riportiamo il testo integrale di una dichiarazione della società civile sudanese.
«Noi, firmatari di questa dichiarazione, esponenti della società civile sudanese, esprimiamo la nostra preoccupazione per i gravi fatti che si sono verificati e si stanno verificando nella capitale del Paese, in particolar modo a Omdurman. Questo ha generato nei cittadini dei più differenti gruppi etnici e sociali uno stato di panico per la propria sicurezza personale e collettiva.
Siamo consapevoli delle responsabilità delle forze dell'ordine per quanto riguarda il rispetto delle leggi e il mantenimento dell’ordine, e del loro diritto costituzionale di usare la forza in caso di necessità. Tuttavia crediamo sia necessario sottolineare che il ruolo e la responsabilità di altre istituzioni governative è di portare la pace in Darfur attraverso il dialogo e la partecipazione democratica. Inoltre crediamo nell’importanza di rispondere alle richieste provenienti dalla popolazione del Darfur che comprendono: evitare di colpire la popolazione civile, garantire un ritorno in sicurezza alle loro terre di origine dei rifugiati e degli sfollati, assicurare giustizia per le vittime e successivamente promuovere un processo di riconciliazione e risanamento.
Le funzioni delle forze dell’ordine, definite dalla costituzione, prevedono il rispetto delle leggi in cui non è contemplato il prendere di mira, arrestare, torturare persone sulla base della loro appartenenza etnica. Nel sottoscrivere queste affermazioni ci tornano alla mente i tragici eventi del 2 luglio 1976 e più recentemente quelli che seguirono la morte di John Garang e le ripercussioni e le polarizzazioni negative nel tessuto sociale sudanese. E ancora gli eventi di questa settimana a Omdurman, la campagna mediatica che insiste nell’utilizzare il termine “mercenari” per descrivere
alcuni di quelli che sono di origine non-araba, il clima persecutorio, gli arresti, le torture. Tutto questo non fa che accrescere il panico e l’allarme per una persecuzione su base etnica che cerca espressamente di colpire nella capitale gli individui che sono o appaiono originari della regione del Darfur. Questo rappresenta un pericoloso precedente e un atto sconsiderato che non può che spingere il Paese ancora più verso il caos. Come abbiamo già detto, riconosciamo la necessità di misure volte a garantire l’ordine e la sicurezza nella capitale; tuttavia ricordiamo alle istituzioni anche il dovere di rispettare la legge. La campagna di caccia all’uomo contro singoli individui nelle loro case, nelle strade, sui mezzi di trasporto pubblico, basata su criteri etnici potrà solo dar luogo a divisioni razziali nella forma peggiore. Tutto ciò è considerato illegittimo dalla costituzione in riferimento agli articoli riguardanti la dignità, l’uguaglianza, la protezione dai maltrattamenti e dalle torture. Questi sono esattamente gli stessi articoli a cui il Sudan deve attenersi, in quanto compresi in vari protocolli internazionali sui diritti umani. Vorremmo inoltre ricordare che la sicurezza è anche correlata alla giustizia e al diritto a un processo giusto e rapido per chi è arrestato. Prima ancora di questo ricordiamo l’importanza del rispetto della Convenzione di Ginevra, per quanto concerne il trattamento dei prigionieri di guerra; come anche il rispetto della Convenzione sui diritti dei bambini, tenendo anche conto che la maggior parte dei detenuti per il sospetto di aver preso parte all’attacco sembrano minorenni e sembra che siano stati torturati.
In conclusione, noi firmatari del comunicato, esponenti della società civile sudanese, ci appelliamo perché i recenti fatti non siano usati per suscitare uno stato di paura tra i cittadini e e di divisione per linee etniche, cosa che condurrebbe alla distruzione della tessuto sociale sudanese. In aggiunta, questi eventi non devono costituire un pretesto per limitare certi diritti, in questa fase critica della storia sudanese, inclusi i diritti civili e politici, la libertà d’espressione, di movimento, di riunione pacifica e le altre previste dal processo di riforma democratica, che conducono verso una buona gestione del potere in accordo con la legge e la costituzione ad interim».
Primi firmatari: Alhaj Warrag, Kamal Algizouli. Amin Maki Madani, Abdel-Moniem Elgak, Murtada Algali, Amal Abass, Aisha Elkarib, Ali Alagab, Magdi Elgezoli, Telal Afifi, Osman Hummanda, Khalid Fadil, Yai Josif, Faisal Albagir, Rabah Alsadeg Almahadi, Albagir Alafif, Magdi Elnaim, Hala Yasin Elkarib, Omar Algarai, Suad Ibrahim Ahmed, Atim Saimon, Alsir Alsaeyed, Amir Mohamed Suliman, Najla Eltoum, Haydar Almekashfi, Rasha Awad, Faisal Mohamed Salih, Hadia Hasballah, Salah Awooda, Zeinab Abass, Ala eldin Bashir, Mohamed Jalal Hashim, Afaf Abu Kashawa, Najat Bushra Hamid, Wail Taha, Samia Ibrahim, Abdelsalam Hassan Abdelsalam, Iman Shagag, Mudawi Ibrahim, Faroug Abu- Essa, Ahmed Abusin, Munzer Maali. Molti altri si sono aggiunti nei giorni successivi.
Darfur, 1 / La situazione umanitaria
All'inizio di aprile Ohca - l'ufficio per il coordinamento degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite - ha pubblicato il rapporto Darfur: Humanitairan Profile No.31.
Il documento ci aggiorna sulle condizioni di vita della popolazione attraverso un'analisi dei principali avvenimenti del 2008. Nel primo capitolo si afferma che «il 2008 è iniziato con un deciso aumento dei conflitti armati, principalmente tra il governo e i ribelli del Darfur occidentale e tra etnie rivali nel Darfur meridionale». Inoltre «in Darfur, al 1 aprile 2008, sono registrate circa 2,45 milioni di persone in campi profughi, mentre si stimano essere 1,8 milioni le persone seriamente colpite dall'aggravarsi della crisi e considerate bisognose di aiuto umanitario». Inoltre «i primi tre mesi dell'anno hanno visto da un lato crescere in modo allarmante gli attacchi alle persone che lavorano in programmi umanitari, dall'altro un forte aumento delle persone coinvolte nel tentativo di rispondere sul campo al crescere delle necessità umanitarie».
Il secondo capitolo analizza le possibilità di accesso della popolazione agli aiuti umanitari. Si nota che «l'insicurezza generale, potrebbe determinare la sospensione delle attività delle Nazioni Unite e dei suoi partner in certe zone completamente insicure»; che ci sono «continui ostacoli al lavoro delle organizzazioni umanitarie, dagli ostacoli burocratici all'intimidazione e detenzione del personale sudanese, alla negazione del permesso di accedere nelle aree di conflitto o nei campi profughi»; infine che continuano «gli attacchi mirati alle organizzazioni umanitarie, dal sequestro di veicoli alle violenze dirette contro gli operatori umanitari, agli assalti armati all'interno di centri umanitari». Il numero di veicoli sabotati o sequestrati è quadruplicato rispetto allo scorso anno.
Nel frattempo «il numero di operatori umanitari sudanesi ed internazionali è cresciuto sino a raggiungere il numero più elevato degli ultimi cinque anni. Il Darfur rimane l’area nel mondo dove è concentrato il più alto numero di operatori umanitari: attualmente circa 17.100, di questi il 95% è sudanese (il numero degli operatori internazionali è circa 950). In Darfur sono presenti 80 ong e 14 agenzie Onu che offrono il loro supporto alla popolazione. Ma un numero sempre maggiore di ong sta incontrando serie difficoltà, non essendo riconosciuto in Sudan il concetto di lavoro volontario per organizzazioni no-profit. I volontari delle ong sono trattati come lavoratori a tempo pieno non appena hanno compiuto tre mesi di permanenza. Questo potrebbe indebolire l'abilità delle ong di implementare interventi di emergenza». L'intero documento si può leggere in inglese su Internet all'indirizzo :
http://www.unsudanig.org/docs/DHP%2031_1%20April%202008_narrative.pdf
(a cura di Mauro Platè)
Darfur, 2 / Rapporto di Hrw: il governo attacca e uccide i civili
L'organizzazione non governativa Human Rights Watch ha pubblicato il 28 maggio un dettagliato rapporto di 35 pagine sugli attacchi dello scorso febbraio ad opera del governo sudanese nei confronti delle popolazioni del Darfur, nelle aree in mano ai ribelli. I villaggi di Abu Suruj, Silba, Silea e Saraf Jidad, e la zona montana di Jebel Mun, vicini al confine col Ciad, sono stati attaccati dalle forze governative appoggiate dai miliziani janjawid. Gli scontri hanno causato almeno 120 morti tra i civili, centinaia di feriti, alcuni dispersi e un numero imprecisato ma altissimo di sfollati da intere aree incendiate. Accanto alle vittime i danni materiali: case, scuole, approvvigionamenti alimentari ed idrici distrutti.
Il protrarsi degli scontri in alcune zone ha impedito a molti degli sfollati di ritornare nelle proprie terre; la situazione particolarmente insicura intorno a Jebel Mun e Silea ha reso impossibile l'arrivo degli aiuti umanitari. Secondo Hrw gli eventi di febbraio hanno dimostrato la difficoltà da parte della missione Onu di prevenire gli attacchi contro i civili nelle zone a rischio; in secondo luogo hanno messo in luce numerose violazioni delle leggi umanitarie internazionali, perpetrate dal governo sudanese. Durante gli attacchi «le forze armate e i miliziani hanno deliberatamente colpito i civili» macchiandosi di conseguenza di «crimini di guerra» e il governo «continua a non rispettare gli accordi internazionali, a ignorare le risoluzioni del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, incluse quelle di disarmo dei janjawid e la collaborazione con la Corte penale internazionale». Il rapporto è stato scritto tramite interviste a osservatori, vittime e operatori sul territorio. (a cura di Cristiana Paladini)
La Campagna Sudan
Chi siamo
La Campagna italiana per il Sudan è una campagna nazionale di informazione, sensibilizzazione ed advocacy che opera dal 1994. Raggruppa organizzazioni della società civile italiana (Acli Milano e Cremona, Amani, Arci, Caritas ambrosiana, Caritas italiana, Mani Tese, Ipsia Milano, Missionari e missionarie comboniane, Nexus, Pax Christi) e lavora in stretta collaborazione con enti pubblici e privati italiani e con varie organizzazioni della società civile sudanese. In Italia la Campagna ha fatto conoscere la situazione del Sudan e ha sostenuto i processi volti al raggiungimento di una pace rispettosa delle diversità sociali, etniche, culturali, religiose della sua popolazione. Il sito che illustra l'attività della Campagna è in via di rifacimento; per informazioni sulle sue attività passate www.campagnasudan.it.
L'incontro di Hermannesburg
In Germania si è svolto dal 23 al 25 maggio quello che ormai è diventato un appuntamento tradizionale: l'incontro annuale di Sudan Focal Point Europe. Circa 150 persone provenienti in particolare dall'Europa settentrionale (Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, Regno Unito ma c'era anche ci è arrivato dagli Stati Uniti) e naturalmente dal Sudan. Si sono incontrati per parlare e ascoltare, in un contesto favorevole al dialogo per discutere di pace in Sudan. Il tema dell'incontro di quest'anno era la domanda: può il Sudan evitare una frammentazione? Le risposte offerte dai vari relatori e partecipanti lasciano la questione ancora assai aperta. La Campagna Sudan ha partecipato all'incontro, come sempre stringendo contatti e ricavandone spunti di lavoro.
Nota: per non ricevere più questa Newsletter scrivere a info@campagnasudan.it e indicare nell'oggetto "cancellazione mailing-list Newsletter".
Contatti: Cristina Sossan, segreteria Campagna Sudan, telefono 02-7723285, segreteria@campagnasudan.it
Questa Newsletter, aggiornata al 31 maggio 2008, è a cura di Diego Marani. Si ringraziano Cristiana Paladini, Mauro Plate e le Acli di Cremona per la collaborazione.
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