I costi dei militari italiani in Kosovo
La tragica morte che ha raggiunto i sei parà nel recente attentato in Afghanistan (vero teatro di guerra) mi ha spinto a riflettere sulla sorte dei militari italiani che prestano servizio in Kosovo (che non è, oggi, un teatro di guerra). Dai giornali alle trasmissioni televisive, si è letto e visto di tutto e il contrario di tutto in questi ultimi giorni. Sinceramente credo che il ritiro, per quanto riguarda l'Afghanistan, sia segno di immaturità nei confronti dei nostri alleati, per gli impegni presi con le Istituzioni Internazionali (impegni condivisibili o meno), e fonte di pericolo verso chi si trova costretto a restare nell’inferno afghano, siano essi militari Nato o popolazione civile. Sicuramente sarebbe stato meglio non avventurarsi in questa guerra. Anzi, sarebbe molto meglio non combattere nessuna guerra, ma mi rendo perfettamente conto che questo non è il migliore dei mondi possibili e che trovandoci nel pieno di una vera guerra, che miete numerose vittime, sia doveroso avviare un'approfondita analisi, lasciando fuori le strumentalizzazioni politiche.
Tuttavia, in questo discorso si potrebbe forse anche includere la questione "Kosovo". Pur condividendo l’intervento Nato del 1999 in Kosovo, mi trovo oggi, a dieci anni di distanza, a domandarmi se non sia il caso, di fronte ad una situazione sociale e politica grosso modo normalizzata, di dimezzare il numero dei militari presenti lì. Si parla di crisi economica mondiale, di licenziamenti, di disoccupazione, di soldi che non ci sono, di riduzione del personale civile internazionale dispiegato in Kosovo (la cui utilità per la società e le istituzioni locali è senza dubbio preferibile a quella dei soldati, specie in contesti non pericolosi), di tagli per gli aiuti umanitari, si parla di tutto, ma dei circa 14.000 soldati della Nato (di cui 1.935 italiani, secondo la stessa fonte Nato-Kfor aggiornata al 3 giugno 2009) nessuno ci dice nulla. I soldati dispiegati in Kosovo che continuano a restare, negli anni, inalterati nel numero hanno certo un costo. Sono indispensabili tutti questi soldati nel Kosovo di oggi? Ci possiamo veramente permettere i costi di queste spese militari? Qual è il fine della loro forte presenza in questo piccolo paese uscito dalla guerra 10 anni fa? Sono domande legittime che dovremmo porre ai nostri politici, anche se temo che, semmai rispondessero, lo farebbero con il silenzio o le solite strumentalizzazioni.
E’ sotto gli occhi di tutti l’onestà e l’impegno che i nostri militari hanno prestato in Kosovo, uno dei primi contingenti ad arrivare sul posto e a difendere la popolazione serba ed i luoghi di culto ortodossi, a lavorare tra e per la società civile, con uno spirito che molti ci invidiavano e ci invidiano ancora. Non è in discussione il servizio prestato dai soldati italiani, quanto il fatto che, di fronte ad uno scenario completamente migliorato rispetto a dieci anni orsono, e ad una crisi che in Italia non si ricorda dagli anni ’40, sarebbero più che sufficienti la metà delle forze Nato oggi impegnate. Va ricordato, anche se i nostri parlamentari per compiacere le potenti lobby militari non ne parlano mai, che i circa 2.000 soldati italiani e tutto l'armamentario bellico al loro seguito, hanno dei costi di gran lunga maggiori rispetto alle mansioni che devono espletare in Kosovo.
Una cosa è lo scenario di guerra afghano, altra cosa i milioni di euro che si continuano a spendere per le operazioni militari, in tempo di pace, in Kosovo. Tra queste voci rientrano gli alti salari che i soldati percepiscono (circa 4.500 euro al mese), le spese per i continui voli aerei militari da e per l'Italia, le spese di mantenimento delle strutture e dei veicoli in loco e da ultimo i milioni di euro per costruire un intero campo base, Villaggio Italia, chiamato appropriatamente villaggio perché all’interno delle sue strutture permanenti ci sono indubbiamente più spazi di relax che altro. Se avete in mente le classiche caserme di provincia o la polvere e i container dell’Afghanistan, siete fuori strada. Dovete prendere come punto di riferimento grandi chalet di legno e cemento, di quelli che si trovano nei nostri paesaggi alpini, ed immaginarli sistemati a mo' di villaggio, con tanto di pizzerie, bar, sala intrattenimento, mensa-ma-che-mensa,ecc., per avvicinarsi alla realtà. Non è un’esagerazione se dico che la base militare è full optional, dotata di comodi divanetti, tavoli da biliardo, signorine del posto che servono bevande, rigorosamente made in Italy, e sigarette italiane senza monopolio, a prezzi da vero e proprio spaccio. Prosciutto, grana e bocconcini di mozzarelle non mancano mai. Si mangia solamente cibo italiano, per problemi legati all’uranio impoverito, dicono. Ah!! Però! L’uranio impoverito. Non si poteva pensare un posto più caldo e confortevole di quello che il buon gusto italiano ha creato nella base italiana di Peja/Pec. D’altra parte non potevamo certo correre il rischio che i nostri soldati si annoiassero durante i sei lunghi mesi di missione (passati quasi sempre in caserma, come fossero alla Cecchignola di Roma, ma con salari e costi immensamente più alti).
Questo scenario si presenta simile al Quartiere Generale della Kfor a Pristina. La stradina dove si trovano tutti i locali per la ricreazione (pub olandesi, pizzerie e birrerie e negozi, meglio conosciuti come PX, che vendono tutto a prezzi stracciati) sembra ricordare, quanto al paesaggio, un tipico posto turistico di montagna. Più che a Malè sembra di trovarsi a Camigliatello. Va riconosciuto però che quelli non sono direttamente soldi di noi italiani, ma della Nato (il cui contribuente è anche l’Italia, però!). Non se la passano per niente male neanche i nostri 415 carabinieri dell’M.S.U a Pristina (fonte: Arma dei Carabinieri).
Raccomando a tutti quelli che si trovano a passare in Kosovo di farsi ospitare per una cenetta nel loro ristorante, assaggiare un'ottima pizza cotta al forno a legna o riscoprire il profumo di Sorrento sorseggiando un buon limoncello. Non credo si possa presto avviare un serio dibattito politico in Parlamento per discutere dell’impegno dell’Italia nei teatri di guerra, di exit strategies in Afghanistan, di costo delle operazioni militari all’estero e della rivalutazione dell’impegno umanitario e di cooperazione. Spero, però, che gli italiani possano al più presto aprire gli occhi per vedere gli eccessi e veri sprechi delle operazioni militari all’estero che una ricca, e strapagata, classe politica non vuole farci vedere.
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