Il conflitto in Georgia
A quasi due anni dalla cessazione delle ostilità armate tra la Georgia e l'Abkhazia prima e le truppe della Federazione Russa poi, lo scenario politico e le relazioni tra le parti sono tuttora caratterizzate da assenza di scontri diretti, ma molti segnali lasciano intendere che la normalizzazione è ancora piuttosto lontana. Un delicato gioco di interessi economici e geopolitici lega le parti in conflitto, contribuendo a complicare ulteriormente il quadro e a minare la stabilità della regione caucasica: alle tensioni in Georgia si aggiungono i continui scontri tra le truppe russe in Cecenia, Inguscezia e Daghestan. L'intervento militare della Russia dell'inizio di agosto 2008 non è che l'epilogo di una situazione di tensione diffusa nel territorio georgiano ed è strettamente legato alle aspirazioni indipendentiste della regione dell'Abkazia e alla volontà della Federazione Russa di farsi protettrice di quest'ultima.
La complessità della situazione in campo richiedeva una seria valutazione delle priorità e delle azioni concertate tra tutti gli attori impegnati nel conflitto e si andavano sempre più intensificando gli sforzi diplomatici delle Stati e delle Nazioni Unite per garantire il dialogo tra le parti del conflitto; nel maggio 1994 la Georgia e le autorità abkhaze siglarono un ulteriore accordo di cessate il fuoco e di separazione delle forze a cui seguì la risoluzione del Consiglio di Sicurezza numero 937 del 27 luglio 1994 che stabilì l'espansione delle funzioni dell'UNOMIG. Gli osservatori militari dovevano affiancare le truppe della CIS durante i pattugliamenti delle aree di sicurezza, controllare il ritiro degli equipaggiamenti militari pesanti, il movimento di truppe all'interno delle rispettive aree di competenza e riportare eventuali violazioni da ambo le parti.
Dal punto di vista strategico la Georgia gioca un ruolo non trascurabile soprattutto se si considera il passaggio del petrolio del Mar Caspio e l'interessamento degli Stati Uniti allo scopo di difendere i propri investimenti per l'estrazione dell'oro nero nella regione, nonché la cooperazione sul fronte antiterrorismo. Le relazioni Usa-Georgia sono rinsaldate dalla partecipazione georgiana al conflitto in Iraq e l'uso dei porti in Georgia per il trasferimento di equipaggiamenti militari in Afghanistan. Dal canto suo anche la Federazione Russa ha interessi economici e strategici da tutelare, in particolare per ciò che riguarda il conflitto con i ribelli ceceni e il controllo del bacino petrolifero della regione.
Come è noto la situazione nei territori di competenza dell'UNOMIG ha conosciuto un drastico deterioramento a causa dello scoppio delle ostilità e attacchi militari portati a segno da ambo le parti dal 7 agosto 2008 . A partire da tale data si è assistito ad un progressivo allontanamento della Repubblica di Georgia e dell'autorità di fatto dell'Abkhazia da quelli che erano gli accordi conclusi nel corso dei passati 16 anni di conflitto, oltre ad una serie di cambiamenti non trascurabili nella composizione delle forze di pace e la conseguente difficoltà della missione di portare a termine il mandato conferitole. La Federazione Russa riconosce l'indipendenza dell'Abkhazia, ponendosi in netto contrasto con il governo di Tbilisi; la Georgia denuncia l'accordo di Mosca del maggio1994 che stabiliva l'impegno delle parti a rispettare il ritiro delle truppe e armamenti dalle zone di sicurezza e dalle aree indicate nell'accordo stesso. In aggiunta la Comunità degli Stati Indipendenti, che aveva garantito la sua presenza nella zona del conflitto dal 1994, si ritirò ufficialmente il 15 ottobre 2008. Le forze armate russe presero rapidamente il posto delle truppe CIS e dispiegarono uomini e mezzi nei territori controllati dall'Abkhazia mentre le truppe georgiane e abkhaze si affrettarono a rimilitarizzare le rispettive linee della zona di sicurezza lungo il confine. L'evolversi della situazione metteva l'intera area in uno stato di allerta suscettibile di condurre i contendenti alla guerra e compromettere l'operatività degli osservatori militari della missione. Si susseguirono una serie di consultazioni a livello europeo per arginare gli effetti di quello che sembrava sempre più un conflitto tra la Russia e la Georgia e che pertanto risultava estraneo al mandato conferito all'UNOMIG dal Consiglio di Sicurezza. Le tensioni non accennavano ad attenuarsi e gli osservatori dell'UNOMIG assistevano a continui movimenti di uomini e armi, tra cui artiglieria pesante e contraerei. Si verificarono vari casi di limitazione di libertà di movimento e di intimidazioni nei confronti degli osservatori nelle zone controllate dall'autorità abkhaza. Le forze armate abkhaze collocarono mine nella zona del cessate il fuoco mentre nella zona di Zugdidi si registrarono numerosi scontri a fuoco fra le forze di polizia georgiane e militari abkhazi, sia con armi leggere che con razzi e granate.
Quali scenari si profilano in seguito alla cessazione delle ostilità? I timori della Russia circa un probabile ulteriore avvicinamento georgiano alle potenze occidentali e alla NATO sono suscettibili di alimentare le tensioni anche a distanza di mesi dalla fine della guerra. Quella che seguirà sarà, come è stata definita da diversi osservatori, "una guerra di parole" più che un conflitto latente; la veridicità di tale affermazione è confermata dalle innumerevoli affermazioni di accuse reciproche seguite da altrettante smentite da ambo le parti.
A due mesi dalla fine dell'attacco russo ai danni della Georgia, il presidente Dmitry Medvedev ordinò il ritiro definitivo delle truppe dai territori della Georgia (dalla c.d. buffer zone) al confine con le regioni separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud. Tale soluzione era stata indicata nell'accordo di cessate il fuoco mediato dal governo francese per conto dell'Unione Europea, ma non prevedeva la demilitarizzazione di tutto il paese; il governo di Mosca aveva già pianificato il dispiegamento di 7.600 uomini nelle regioni di Abkhazia e Ossezia del Sud (delle quali aveva riconosciuto l'indipendenza dalla Georgia) allo scopo di prevenire futuri attacchi da parte della Georgia. I negoziati bilaterali e l'interessamento dei paesi dell'UE non erano stati sufficienti a sciogliere il nodo principale che si presentò alla fine della guerra durata cinque giorni, ovvero lo status politico delle regioni separatiste; formalmente l'Abkhazia e l'Ossezia del Sud continuavano ad essere parte del territorio e dello stato georgiano ma di fatto, dopo la proclamazione di indipendenza e grazie alla presenza militare delle forze armate russe, si erano affrancate dal controllo di Tbilisi. Nonostante tali importanti cambiamenti l'indipendenza delle due regioni non era stata riconosciuta dalla comunità internazionale e contribuì fortemente all'isolamento e all'alienazione del consenso di molti paesi a tutto vantaggio del governo di Tbilisi.
Sul fronte interno alla Georgia il governo di Michael Saakashvili si è trovato a fronteggiare un forte dissenso politico e aspre critiche che a più riprese hanno fatto vacillare il potere del presidente. Nel paese si facevano sempre più insistenti le accuse rivolte al presidente di essere stato l'artefice di un conflitto per il quale il paese non era preparato militarmente e che ha causato la sostanziale perdita di due regioni nel paese. Tale versione era stata confermata a dicembre 2008 nel rapporto conclusivo di un'inchiesta parlamentare in Georgia; in tale documento si approvava la decisione governativa di attaccare le due regioni separatiste a seguito di un lungo periodo di schermaglie, ma si esponevano le gravi mancanze nella pianificazione dell'intervento e soprattutto l'inadeguatezza delle forze a contrastare il conseguente intervento russo. La superiorità militare della Russia costrinse le truppe georgiane a ritirarsi nel giro di pochi giorni dai territori dell'Abkhazia e Ossezia del Sud spingendo l'esercito della Georgia ad appena 45 km dalla capitale Tbilisi.
Ad aprile 2009 il presidente Saakashvili accusò pubblicamente il governo di Mosca di alimentare l'ondata di proteste organizzata dai partiti di opposizione; per diversi giorni una folla di più di 50.000 persone aveva manifestato il proprio dissenso nella capitale e centinaia di oppositori si erano accampati in prossimità della residenza presidenziale invocando le dimissioni di Saakashvili. I motivi del dissenso erano strettamente legati all'esito della guerra ma anche a questioni di politica interna, ovvero alla mancata implementazione del programma elettorale del 2003, alla monopolizzazione del potere e alle forti pressioni sul potere giudiziario.
Per quanto riguarda le relazioni con la Russia, nel 2009 si è assistito all'esacerbarsi delle tensioni tra Mosca e Tbilisi soprattutto a causa delle dichiarazioni del presidente georgiano che confermavano l'intenzione del paese di entrare a far parte della NATO; tale scenario suscitava grande preoccupazione per la Russia, la quale temeva interferenze dei paesi occidentali in una regione storicamente inclusa nella sfera d'influenza di Mosca. La decisione di ospitare in territorio georgiano una importante esercitazione militare dei paesi membri della NATO contribuì ad innalzare il livello della tensione tra i due paesi; l'esercitazione, in programma dal 6 maggio al 13 giugno 2009, aveva visto la partecipazione di 1.000 soldati di una dozzina di paesi della NATO impegnati nella simulazione di un intervento di "crisis response". Secondo il governo di Tbilisi, Mosca aveva cercato di impedire lo svolgimento dell'evento orchestrano sapientemente il dissenso all'interno del paese con una serie di misure culminate con l'ammutinamento di un'intera base militare a pochi giorni dall'inizio dell'esercitazione. Il governo di Tbilisi ordinò l'invio di carri armati e veicoli blindati per circondare la base Mukhrovani (nella provincia di Gori) e in breve tempo vennero arrestati i comandanti ed i responsabili dell'accaduto. Il Ministro dell'Interno georgiano dichiarò poco prima di essere a conoscenza dell'esistenza di un complotto, orchestrato e finanziato da Mosca, finalizzato al rovesciamento del governo in Georgia. Il governo russo negò qualsiasi coinvolgimento nei fatti descritti e anzi accusò Tbilisi di voler usare strumentalmente la propria condizione interna allo scopo di ottenere aiuto ed appoggi internazionali. Il susseguirsi di tali eventi aveva reso altamente improbabile la ripresa del dialogo tra i due paesi e costituiva una potenziale minaccia alla stabilità del ‘intera regione.
Ad agosto de 2009, in occasione del primo anniversario della guerra, il governo russo indirizzò nuove accuse alla Georgia, colpevole, secondo Mosca, di aver intrapreso una politica di riarmo aggressivo; Tbilisi smentì prontamente affermando che le manovre militari in corso erano finalizzate unicamente all'adeguamento delle forze armate agli standard NATO in vista della prossima adesione. In Georgia, inoltre, era ancora pienamente operativa la missione di monitoraggio dell'UE attraverso 240 osservatori militari col compito di controllare eventuali movimenti di truppe in qualsiasi sito militare, anche in assenza di preventiva comunicazione.
Dal canto suo la Russia si adoperava per rafforzare la propria presenza militare nelle regioni separatiste, nonché la cooperazione economica e politica. In occasione di una visita del Primo Ministro russo Vladimir Putin in Abkhazia a metà agosto 2009, il governo di Mosca comunicò l'intenzione di destinare 500 milioni di dollari al potenziamento delle istallazioni militari nella regione e 336 milioni di dollari alla ricostruzione delle infrastrutture distrutte durante il conflitto.
La popolazione georgiana continua a considerare le tensioni con la Russia come potenziale causa della ripresa delle ostilità; tale apprensione si è manifestata a metà marzo 2010 a causa dell'annuncio, da parte di una nota emittente televisiva, di una nuova invasione russa e dell'uccisione del presidente georgiano. La notizia, poi dichiarata falsa dalla stessa emittente, ha gettato nel panico migliaia di cittadini precipitatisi nelle strade; i servizi d'emergenza sono stati presi d'assalto a causa delle migliaia di telefonate e molti cittadini sono stati colpiti da attacchi cardiaci.
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