Conflitti

La parola e l'orrore.

Armi chimiche contro i guerriglieri kurdi

Abbiamo avuto queste immagini da una Onlus italiana, che lo scorso agosto ha partecipato a una delegazione di osservatori nel Kurdistan turco e che le ha, a sua volta, ricevute da un’associazione curda per i diritti umani.
19 ottobre 2010
Fonte: Ufficio d'Informazione del Kurdistan in Italia
http://www.uikionlus.com

Una delle tante foto giunte in Italia

 

Galleria con tutte le foto:

http://www.autistici.org/turkishwarcrimes/

 

Di fronte alle immagini che accompagnano questo articolo, un primo impulso suggerisce di rimanere in silenzio. Tacere, non scrivere nulla, lasciare che sia l’orrore muto ed esplicito di queste fotografie a parlare al lettore.

Tuttavia, la parola deve farsi strada e tentare di dare un senso all’orrore. Quelle che vedete non sono foto di scena di un film di Dario Argento, né statue di cera di uno di quei macabri musei della tortura che si possono trovare in alcune città. Quei corpi martoriati sono esseri umani, erano esseri umani. Si chiamavano Sitki Tanriverdi, Nurettin Tas,Idris Sezgin.

Erano guerriglieri curdi: militanti del Pkk, il movimento indipendentista che, dagli anni Ottanta, combatte contro il Governo turco in quell’Anatolia sud-orientale che è proibito chiamare Kurdistan. Soldati irregolari di una guerra di cui si parla poco e che i media definiscono a bassa intensità. Ma le immagini di queste pagine ci ricordano che questa guerra esiste e produce vittime. Qualunque livello di intensità le si voglia attribuire.

Abbiamo avuto queste immagini da una Onlus italiana, che lo scorso agosto ha partecipato a una delegazione di osservatori nel Kurdistan turco e che le ha, a sua volta, ricevute da un’associazione curda per i diritti umani. Quest’ultima ha chiesto di rimanere anonima, quindi ci limiteremo a chiamarla l’associazione.

Una prima ricostruzione

La ricostruzione dei fatti data dall’associazione è scarna. Secondo la sua versione dei fatti, i tre guerriglieri sono stati uccisi ai primi di luglio, nel corso di una serie di combattimenti con l’esercito turco sulle montagne intorno a Semdinli, un piccolo centro urbano del Kurdistan turco.

Il 5 luglio i soldati hanno trovato o i corpi e li hanno consegnati all’obitorio dell’ospedale pubblico della città. A quel punto è intervenuta l’associazione. Le immagini ci mostrano quelli che ci vengono descritti come membri dell’associazione e dipendenti della municipalità mentre lavano i cadaveri in un fiume nei pressi di Hakkari. In altre immagini si vede come i corpi vengono avvolti nei lenzuoli e chiusi in semplici bare di legno. L’associazione spiega che saranno poi riportati all’obitorio e restituiti alle famiglie.

E fin qui non sarebbe nulla di nuovo. Ordinaria amministrazione di un conflitto che da troppi anni si ripete sempre uguale, con morti e feriti da entrambe le parti e atrocità che si sommano ad atrocità.

Ma sono le condizioni in cui sono ridotti i corpi che ci obbligano a porci delle domande.

Intanto non è chiaro perché il volto di uno dei tre sia così orrendamente deformato. E’ solo un avanzato stato di decomposizione?

E cosa sono le macchie che in più punti coprono il corpo di un altro cadavere, quello che i volontari dell’associazione espongono agli scatti del fotografo come in una cruda versione della Pietà? Per quanto le foto possono mostrare, sembra che la pelle sia stata portata via. O forse è cotta, ustionata?

L’associazione suggerisce che si tratti della prova dell’utilizzo di armi chimiche da parte dell’esercito turco. Non sono un esperto e non sono in grado di confermare una simile affermazione. Tuttavia, c’è la possibilità che non siano dichiarazioni avventate.

Armi chimiche contro il Pkk: il reportage di Der Spiegel

Lo scorso agosto, il settimanale tedesco Der Spiegel ha pubblicato un articolo in cui racconta di essere entrato in possesso di fotografie che raffigurano otto cadaveri di presunti combattenti del Pkk. Il settimanale ha deciso di non pubblicare le immagini, ma descrive corpi orrendamente ustionati e mutilati.

I giornalisti avevano ricevuto gli scatti da una delegazione di osservatori tedeschi per i diritti umani, che li aveva a sua volta avuti a marzo da un’associazione di attivisti turchi e curdi.

Le foto sono state giudicate autentiche da un esperto di falsificazioni fotografiche. Un rapporto forense dell’Ospedale dell’Università di Amburgo ha inoltre affermato che è molto probabile che gli otto curdi siano morti a causa dell’uso di sostanze chimiche.

L’articolo di Der Spiegel ha fatto scoppiare un vero e proprio caso in Germania, con esponenti politici, parlamentari ed esperti di diritti umani a chiedere un’inchiesta indipendente per investigare sull’eventuale utilizzo di armi chimiche nella lotta contro il Pkk.

Secondo quanto citato dal quotidiano berlinese Die Tageszeitung, il Ministero degli Esteri turco ha respinto le accuse. La Turchia, infatti, ha firmato la Convenzione sulle armi chimiche e le sue forze armate non possiedono ufficialmente armi chimiche o biologiche

Tuttavia, Der Spiegel riporta che i sospetti che Ankara utilizzi questo tipo di armi contro i guerriglieri curdi si sono intensificati negli ultimi anni. Tuttavia, è difficile ottenerne le prove perché spesso l’esercito turco restituisce i corpi dei guerriglieri uccisi troppo tardi per poter fare autopsie efficaci.

Le foto di cui siamo in possesso e quelle di cui parla il settimanale tedesco non sono le stesse. Diverso il periodo a cui si riferiscono e diverso il numero di guerriglieri morti. Ma le similitudini sono molte: dalle modalità di restituzione dei corpi al modo in cui un’associazione per i diritti umani riesce a fare avere gli scatti a delegazioni e giornalisti europei.

Rimane da appurare se anche le foto in nostro possesso raffigurano uomini uccisi da sostanze chimiche. L’unico modo per saperlo con certezza è sottoporle a una perizia analoga a quelle effettuate in Germania. Se il risultato dovesse essere positivo, l’utilizzo segreto di armi chimiche da parte dell’esercito turco smetterebbe di essere un semplice sospetto.

PARTE 2 - KURDISTAN TURCO E NORD IRAQ: UN’ESTATE DI GUERRA

L’estate 2010 è stata particolarmente calda nel Kurdistan turco. Il 1 giugno è scaduta la tregua tra Pkk ed esercito turco e le operazioni militari sono riprese in grande stile. In sole tre settimane a cavallo tra maggio e giugno, si sono susseguiti ripetuti attacchi dei guerriglieri che hanno causato almeno dodici morti tra i militari turchi. Se si considera anche il periodo precedente la fine della tregua, le autorità militari turche parlano di un bilancio di 55 militari uccisi dall’inizio di marzo. Le incursioni dei guerriglieri sono favorite dal fatto che da anni il Pkk ha installato proprie basi nel Nord dell’Iraq, territorio controllato stabilmente da curdi iracheni che ben tollerano la presenza dei propri “cugini”.

L’episodio che ha fatto perdere la pazienza ad Ankara è stato un attacco sferrato dai guerriglieri il 16 giugno contro una postazione militare lungo il confine con l’Iraq. Dopo uno scontro durato diverse ore, i militari hanno deciso di contrattaccare sconfinando in territorio iracheno. Le autorità militari hanno reso noto alle agenzie di stampa internazionali di aver inviato per circa due/tre chilometri oltre il confine tre divisioni di truppe d’assalto e una brigata delle forze speciali.

Successivamente, l’aviazione turca ha effettuato alcuni bombardamenti su presunte postazioni del Pkk in Nord Iraq. L’esercito ha annunciato di essere pronto a inviare altri uomini, ma il 17 giugno ha fatto retromarcia e ritirato tutte le truppe dal territorio iracheno. E’ stata un’operazione lampo, ancora più breve della massiccia invasione di terra del Nord Iraq che le truppe di Ankara avevano condotto nel 2008, sempre per stanare i guerriglieri del Pkk. E’ molto probabile che, come allora, la Turchia abbia subito pressioni da parte degli Stati Uniti per non compromettere la già fragile stabilità della regione.

In ogni caso, l’escalation del conflitto è evidente. I racconti degli osservatori internazionali che nel corso dell’estate sono stati nel Kurdistan turco confermano un crescente clima di tensione e guerra civile. L’esercito turco non ha rinunciato a dare la caccia ai guerriglieri pattugliando con mezzi più sofisticati i territori montuosi lungo il confine con il Nord Iraq e per farlo intende avvalersi della cooperazione con gli Stati Uniti e con altri Paesi esteri che possano fornire la tecnologia necessaria.

Droni israeliani ed elicotteri italiani

Il 21 giugno, il generale Ilker Basbug, un alto ufficiale dell’esercito turco, ha reso noto che a breve le sue truppe avrebbero iniziato a utilizzare droni “Heron” di fabbricazione israeliana per missioni di sorveglianza e intelligence nelle zone montuose di confine con il Nord Iraq. Mentre scriviamo questo articolo, i droni dovrebbero già trovarsi nello spazio aereo iracheno in coordinamento con le forze armate Usa per pattugliare le zone montuose di confine e raccogliere informazioni sulle postazioni del Pkk.

La notizia è stata riportata dalla Cnn e ha suscitato una certa sorpresa: non tanto per il contenuto delle dichiarazioni del generale, quanto per il fatto che erano passate appena tre settimane dall’assalto israeliano alla Freedom Flotilla, che aveva causato un’inedita rottura diplomatica tra Ankara e Tel Aviv.

Tutti avevano ancora nelle orecchie le parole del primo ministro turco Erdogan che accusava Israele di “terrorismo di stato” e affermava che “niente sarebbe stato più come prima” nelle relazioni tra i due Paesi.

Tuttavia, la frattura tra i due Paesi, da sempre in ottime relazioni, non doveva essere così grave. La ragion di Stato e la realpolitik hanno sempre la meglio sui megafoni della propaganda e, soprattutto, hanno il vantaggio di muoversi facendo meno rumore. A dispetto della recente propaganda, i legami della Turchia con l’industria bellica israeliana nel campo della tecnologia avanzata sono ancora molto forti.

Per vincere una “guerra asimmetrica” come quella con il Pkk, la Turchia ha bisogno mezzi adeguati quali droni, sistemi di sorveglianza, satelliti, ed elicotteri d’attacco: tutte cose che non produce o, nel caso degli elicotteri, ha iniziato a produrre da poco in partnership con l’industria bellica italiana.

Nel settembre 2007 l’italiana Agusta Westland e la turca TAI – Turkish Aviation Industries - hanno siglato un accordo che, nel 2013, porterà alla produzione in serie – direttamente in Turchia - del T129 Atak, un nuovo modello di elicottero basato sulla piattaforma dell’italiano A129, meglio conosciuto col nome di “Mangusta”.

L’accordo si inserisce all’interno del programma Atak, sviluppato per il Comando delle forze di terra turco. Il valore stimato dell’operazione supererebbe il miliardo di euro per un requisito di cinquantuno nuovi elicotteri.

La Agusta Westland aveva già venduto a varie riprese elicotteri alla Turchia nel corso degli anni ‘70, ‘80 e ‘90. Non si trattava, tuttavia, di elicotteri da combattimento. Il T129 Atak costituisce dunque un fenomeno nuovo e un precedente nella cooperazione tra le industrie belliche dei due Paesi.

Riportando le parole del comunicato stampa congiunto di Agusta Westland e TAI, “il programma T129 rappresenta un nuovo impegno tra AgustaWestland e la TAI con l’obiettivo di sviluppare in Turchia una moderna industria elicotteristica per soddisfare le future necessità delle forze armate turche e, nel contempo, accrescere le potenzialità tecnologiche dell’industria militare turca. Attraverso il programma T129 Agusta Westland sta trasferendo il proprio know how ai suoi partner industriali turchi per rendere il T129 l’elicottero più avanzato nella sua classe, sia per soddisfare le necessità delle Forze di Terra turche, sia per renderlo appetibile per il mercato internazionale, in cui l’industria turca giocherà un ruolo primario.”

APPUNTI SUL CONTRATTO DEL T 129 ATAK (ex A129 Mangusta): DA RIORGANIZZARE E INTEGRARE NEL PEZZO.

AgustaWestland was announced as the winning bidder at the March 30, 2007 meeting of the Defense Industry Executive Committee.

Il contratto è stato firmato nel settembre 2007. Il primo fornitore è la TAI mentre subappaltatori sono AW e Aselsan. Altre compagnie turche sono coinvolte nel progetto. L’assemblaggio finale verrà fatto in Turchia, la consegna e l’accettazione del velivolo.

ATAK Team

L’ultima scadenza è il 2015, anno in cui avverrà la consegna definitiva del nuovo elicottero.

28 settembre, Vergiate, primo volo del prototipo P1

The ATAK Helicopter Program started on July 2, 2008 with the aim of providing the Turkish Land Forces Command with Attack/Tactical Reconnaissance helicopters. Under the program, after being customized according to user needs, 50 firm and 41 optional Attack/Tactical Reconnaissance helicopters will be produced and delivered to the end users starting from the third quarter of 2013. The helicopters will also be provided with integrated logistics support for their whole life cycle.

In the ATAK Helicopter Program, TAI is the prime contractor with AgustaWestland and ASELSAN being TAI’s subcontractors.

Upon timely and successfully completion of the T129 P1 prototype helicopter’s maiden flight, conducted by TAI and AgustaWestland’s test pilots on 28 September 2009, the program is being continued in accordance with the planned schedule and budget scale.

The T129 P1 prototype helicopter’s maiden flight was successfully completed by AgustaWestland and TAI test pilots during an official ceremony held at AgustaWestland facilities in Vergiate, Italy.

The ATAK Programme was initiated with the aim to meet the 50 firm and 41 optional Attack/Tactical Reconnaissance Helicopter requirement of the Turkish Land Forces Command (TLF) by the integration of high-tech avionic equipment, hardware and software which will be developed locally.The programme, in which the Turkish aviation industry is fully involved in the design, development and production phases, is running on time and on budget.

High performance, excellent maneuvering capability, asymmetrical weapon loading, low visual, aural and radar signature, high level of crashworthiness and ballistic tolerance enables T129 helicopter multi-role, excellent operational capability in the most hostile of battlefield environments.

These operations consist of:

• Attack

• Armed Reconnaissance

• Armed Escort

• Deep Strike

• Fire Support

• Precision Strike

• Suppression of Enemy Air Defenses etc. many kinds of missions.


La Agusta Westland ha fornito parte del know how per sviluppare una piattaforma su cui verrà realizzato il nuovo elicottero.

“Legge 185 -1990” Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento – da citare nel pezzo

Art. 1 . comma 6:

L’esportazione e il transito di armamenti sono altresì vietati:

a) Verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere

POSSIBILE APPROFONDIMENTO- TURCHIA E CURDI: UNA COESISTENZA DIFFICILE

b) La questione curda è uno dei problemi centrali della Turchia contemporanea. Sul riconoscimento dei curdi come minoranza etnica autonoma e, soprattutto, sul rispetto dei diritti umani, si intrecciano numerosi temi vitali per Ankara: dall’adesione all’Unione europea ai rapporti con gli Stati confinanti, dai progetti di sviluppo industriale nel sud-est del Paese alla possibilità di superare le contraddizioni che impediscono alla Turchia di diventare una vera democrazia.

c) Ma chi sono i curdi? Divisi tra Turchia, Iran, Iraq, Siria e Armenia, i curdi non sono mai riusciti a costituire una propria entità statale, ma sono, in compenso, stati perseguitati pressoché ovunque. L’unico paese in cui hanno conquistato una reale autonomia – seppur formalmente soggetti al governo di Baghdad - è l’Iraq. Dopo i massacri ordinati da Saddam negli anni ’80 (con l’operazione Anfal e i bombardamenti al gas nervino sulle città di Halabja), i curdi iracheni hanno visto mutare la propria condizione dopo la Guerra del Golfo del 1991.
Protetti dalla no – fly zone imposta dagli americani dopo la fine del conflitto, i curdi del Nord Iraq sono quindi riusciti progressivamente a sviluppare una reale autonomia amministrativa in un territorio ricco di risorse petrolifere. Il supporto fornito alle truppe Usa durante l’invasione dell’Iraq del 2003, non ne ha definitivamente rafforzato la posizione di forza all’interno del nuovo assetto di potere uscito dal conflitto.

Ovviamente questo non poteva piacere alla Turchia. Ankara, infatti, non ha mai riconosciuto né tollerato le rivendicazioni della minoranza curda (e delle minoranze in genere) al proprio interno. Comprensibile che, dopo una guerra “a bassa intensità” con gli autonomisti del Pkk che dura dai primi anni ’80 (e ha causato circa 30.000 morti, perlopiù tra i curdi), la Turchia abbia mal digerito la nascita di enclave curde autonome sui propri confini sud-orientali. Il timore è che il Nord Iraq possa costituire l’embrione di un vero e proprio stato curdo, che potrebbe innescare un processo di disgregazione nel sud-est Paese.

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