Conflitti

Il popolo ha detto la sua

In Egitto è iniziato un processo di cambiamento che è ancora lontano dalla sua conclusione
24 febbraio 2011
Michail Sergeevič Gorbačëv
Tradotto da Antonella Serio per PeaceLink
Fonte: Rossijskaja Gazeta - 14 febbraio 2011

E’ già chiaro che indietro non si torna e i fatti così come si stanno svolgendo avranno conseguenze di ampio respiro per questo stesso paese, per il Medio Oriente, per il mondo musulmano. Questo è un momento di portata storico-universale.

Michael Sergeevich Gorbachev, ex presidente URSS e premio Nobel per la Pace

Nei numerosi commenti, che i politici e i media di tutto il mondo esprimono, ci sono parecchie note allarmanti. Forse, argomento principale sono anche diventati i timori che il movimento popolare porti al caos e poi alla reazione fondamentalista e allo scontro tra il mondo islamico e le nazioni di tutto il mondo. Alla base di questi timori c’è la diffidenza verso il popolo egiziano e anche nei confronti delle popolazioni degli altri paesi arabi.

Ma il popolo ha detto la sua. All’inizio in Tunisia, e ora in Egitto le persone hanno manifestato che non vogliono più vivere sotto un governo autoritario e che non li soddisfano più i regimi che conservano il potere per alcuni decenni. E in ultima analisi, la voce del popolo sarà decisiva. Sia l’élite araba, sia i paesi vicini, sia le potenze mondiali devono capirlo e tenerne conto nei propri intenti politici.

Troppo a lungo è stata offerta al mondo arabo e alla politica mondiale una finta dicotomia: o regimi autoritari o fondamentalismo, estremismo, terrorismo. E gli stessi leader di questi regimi, evidentemente, credevano totalmente nel loro ruolo di garanti della stabilità, dietro la cui facciata si accumulavano pungenti problemi socio-economici. La stagnazione economica, la corruzione imperante, la differenza abissale tra i ricchi e i poveri, la mancanza di prospettive per milioni di giovani – tutto ciò è diventato materiale infiammabile per un’esplosione sociale.

L’Egitto è il paese più vicino al Medio Oriente e al mondo arabo. Lo sviluppo stabile di questo paese è nell’interesse di tutti. Ma la stabilità può essere equivalente alla conservazione in un paese in cui lo stato d’emergenza dura da 28 anni, “sospendendo” tutti i diritti e le libertà e dando al potere esecutivo diritti illimitati, vale a dire di fatto licenza di arbitrio?

Le persone che arrivano in piazza Tahrir, in centro al Cairo, e che escono sulle strade delle altre città egiziane vogliono svincolarsi da questo circolo vizioso. Sono convinto che per la maggior parte di loro sono ugualmente inaccettabili sia l’autoritarismo che l’estremismo - sia questo un religioso o qualsiasi altra persona.

Rendendo nota la sua decisione di non candidarsi a presidente alle elezioni di settembre, Hosni Mubarak ha annunciato l’inizio di un periodo di transizione, riconoscendo in sostanza, che con i limiti del sistema precedente non è possibile risolvere i problemi del paese. Anche in questo caso significa, che in questa parte del pianeta, con la sua storia complicata, con la sua originale cultura, con i numerosi pericoli e rischi, occorre cercare un cammino verso la democrazia, intendendo con questo, che non sarà un cammino facile e che la democrazia non si ottiene con la bacchetta magica.

In questo difficile processo di transizione il presidente Mubarak poteva interpretare il suo ruolo. Ma questo non è successo.

Hosni Mubarak ha indiscutibili meriti nella ricerca di una risoluzione pacifica del conflitto in Medio Oriente e in Egitto ha dei sostenitori. Io l’ho frequentato e so che è una persona forte e risoluta. Ma la maggioranza degli egiziani hanno percepito il processo di transizione da lui annunciato come un tentativo per tirarla per le lunghe. Converrà prendere in considerazione il consiglio supremo militare, che ha assunto il potere nel paese dopo le dimissioni del presidente.

Nella “equazione” che si giungerà a risolvere in Egitto e negli altri paesi dell’Oriente arabo c’è ancora molto di sconosciuto. La cosa più difficile di tutte è pronosticare il ruolo del fattore islamico. Che posto occupa nel movimento popolare? In che modo si presenta l‘islam per quanto riguarda l’andamento degli avvenimenti successivi? In Egitto i rappresentanti dei movimenti islamici si comportano per ora abbastanza freddamente. Ma ecco che fuori dei confini del paese si percepiscono dichiarazioni irresponsabili, provocatorie. Tuttavia, sono sicuro che sarebbe un errore vedere nell’Islam una forza distruttiva.

Nella storia della cultura islamica ci sono interi periodi in cui essa è stata in testa nello sviluppo della civiltà mondiale. Il suo contributo alla scienza, alla propagazione della cultura, alla letteratura è incontestabile. Nell’islam è depositato un forte potenziale di aspirazione alla giustizia sociale e alla pace. L’islam, difendendo soprattutto questi valori, può avere una grande prospettiva. I processi democratici e i progressi socio-economici in paesi come la Turchia, l’Indonesia, la Malesia, sono diventati una realtà già oggi e questi esempi danno motivo di ottimismo.

Adesso ci si aspetta da tutti quelli che hanno a che fare con questi avvenimenti un alto grado di responsabilità e ponderazione nei giudizi e nelle azioni. Tutti dovrebbero trarre una conclusione dai fatti che stanno accadendo. E queste conclusioni non riguarderanno soltanto il mondo arabo.

Regimi analoghi a quello egiziano esistono dappertutto. Hanno età diverse e si formano in diverse condizioni. Alcuni sono diventati l’esito della ritirata di un’ondata democratica dopo una rivoluzione popolare. Altri si sono consolidati nel risultato di una favorevole congiuntura economica con l’estero, di prezzi alti per le risorse. Molti hanno considerato di primaria importanza l’obiettivo dello sviluppo economico accelerato e non di rado hanno risolto questo compito con successo. In una determinata fase molti si sono fatti l’impressione che tra questi regimi e le popolazioni di questi paesi era nato un “contratto”: crescita economica in cambio della libertà e dei diritti umani.

Ma tutti questi regimi hanno un importante difetto – il distacco del potere dalla società, la violazione delle opposizioni, senza le quali il potere prima o poi diventa incontrollabile.

Ora i leader di tali regimi hanno ricevuto un segnale di allarme. Forse, continuano a convincersi che da loro non è poi così male e che “tengono sotto controllo la situazione”. Ma non possono non chiedersi: quanto stabile è questo “controllo”? Penso che nel profondo dell’animo loro capiscono che il controllo non è eterno e che si trasformi sempre più in formalismo. E da ciò sorge una domanda: come agire più avanti? Muoversi per inerzia? Rinforzare ulteriormente strutture e meccanismi, che per lo meno imitino la democrazia e diano ai gruppi dominanti un immancabile 80-90 per cento di voti alle elezioni? O cercare percorsi di trasformazione verso una vera democrazia?

Il secondo percorso è difficile e anche doloroso. Ma questo significa che è necessario provvedere affinché nel paese ci sia un’opposizione. E un’autentica opposizione prima o poi arriva al potere. Verranno alla luce gli abusi, cesseranno le principali corruzioni agli alti livelli, qualcuno dovrà rispondere di tutto ciò. E’ necessaria al regime autoritario una tale prospettiva?

E tuttavia è necessario prendere coraggio ed incamminarsi verso un vero cambiamento. Perché governare in modo incontrollato all’infinito non riesce ugualmente. Centinaia di migliaia di cittadini egiziani, le persone che oggi i canali televisivi mostrano, hanno manifestato a piena voce proprio questo.

Guardando questi volti, si ha voglia di credere che l’Egitto dia esempio di un degno passaggio alla democrazia. Questo esempio è necessario al mondo.

Mikhail Gorbachev

Tradotto da Antonella Serio per PeaceLink. Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte (PeaceLink) e l'autore della traduzione.
N.d.T.: Titolo originale "В Египте начался процесс перемен, который далек от своего завершения"

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