Jihadisti in Libia? Per loro garantisce Sarkozy
Nicolas Sarkozy è sempre più spregiudicato nel sostenere le ragioni della guerra libica al fianco degli insorti al punto da scendere in campo per difendere la reputazione di un combattente jihadista catturato dalla Cia per i suoi legami con Al Qaeda ora “riabilitatosi”agli occhi di Parigi (e dell’Occidente) espugnando il bunker di Gheddafi a Bab Al Azizya con l’aiuto delle bombe della Nato.
Abdel Hakim Belhaj, noto anche con il nome di Abu Abdullah al-Sadek, ha guidato un migliaio di miliziani dalle montagne occidentali fino a Tripoli ma in passato fu tra i fondatori del Gruppo islamico di combattimento libico (Lifg), organizzazione islamista nata affiliata ad Al Qaeda con l’obiettivo di rovesciare il regime di Muammar Gheddafi e portare la sharia a Tripoli. Il movimento venne messo al bando come organizzazione terrorista dalle Nazioni Unite e inserito nella lista nera del Dipartimento di Stato statunitense.
Bellhaj fu arrestato nel 2004 in Malaysia e poi trasferito in Thailandia in un carcere segreto di Bangkok dove, secondo quanto riporta Human Rights Watch, fu torturato dalla Cia. Poco dopo, gli agenti segreti americani lo consegnarono alle autorità libiche che lo rinchiusero per sei anni nel carcere di Abu Salim, a Tripoli. Nel 2008 il regime libico avviò un processo di riconciliazione con il Lifg. Belhaj fu liberato nel 2010 in seguito all’amnistia concessa dal colonnello a patto che rinunciasse pubblicamente al jihad contro il governo di Tripoli.
Quando a febbraio si è scatenata la rivolta contro Gheddafi, Belhaj si è subito unito agli insorti con le sue milizie di veterani dello Lifg molti dei quali hanno combattuto in Iraq e Afghanistan contro le truppe alleate. In un’intervista pubblicata dal Washington Post, Belhaj, oggi esponente della leadership militare del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), ha sottolineato di non avere alcun rapporto con i movimenti estremisti e Al Qaeda e di sostenere la transizione verso una Libia democratica. Anche a Bengasi si minimizza il problema.
“Non escludo la presenza tra i nostri combattenti di qualche estremista” ha ammesso il generale Sliman Mahmoud, numero due del Consiglio Militare insurrezionale, “ma non si può certo parlare di gruppi sul tipo di Al Qaeda, come quelli operanti in Afghanistan o nello Yemen”.
Ma la presa di posizione più importante a difesa di Bellhaj è giunta dalla presidenza francese che, tramite fonti ufficiose dell’Eliseo, ha escluso infiltrazioni islamiste tra i ribelli libici assicurando che né Sarkozy né i suoi più stretti collaboratori nutrono perplessità nei confronti di Bellhaj e che lo stesso consigliere militare del presidente, il generale Benoit Puga, lo ha “incontrato molto di recente”. Garantisce Sarkozy. Che, forse, nella foga di mettere le mani su parte delle riserve petrolifere libiche, dimentica la cautela.
Domenica, il comandante di 3 mila miliziani integralisti, Ismail al-Salabi, ha chiesto le dimissioni dell’intero direttivo del Cnt. ”Il ruolo del comitato esecutivo non è più richiesto perché sono tutti esponenti del vecchio regime. Dovrebbero tutti dimettersi, dal vertice della piramide alla base”. Al-Salabi, compagno d’armi di Belhahj, ha combattuto anche lui in Afghanistan e nega ogni legame con Al Qaeda.
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Gianandrea Gaiani, ha seguito tutte le missioni italiane degli ultimi 20 anni. Dirige Analisi Difesa, collabora con i quotidiani Il Sole 24 Ore, Il Foglio e Libero ed è opinionista del Giornale Radio RAI e Radio Capital. Ha scritto Iraq Afghanistan: guerre di pace italiane
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