La conta dei morti. Invece di numeri in libertà occorrerebbe chiedersi: chi muore? Chi uccide?
Nel dibattito internazionale sulla Siria tutto verte, ben più che intorno alle idee degli opposti schieramenti, intorno alla conta dei morti e dunque alle relative liste e cifre: fino ai 7.500 dell’ultimo lancio (non rapporto) dell’Onu. E i media danno sempre a intendere che si tratti di “vittime civili della repressione del regime”. Ma Sharmine Narwani sul sito in inglese di al-akhbar.com si pone delle domande dà anche risposte (in “Questioning the Syrian “Casualty List”, su http://english.al-akhbar.com/content/questioning-syrian-%E2%80%9Ccasualty-list%E2%80%9D). Per concludere che in omaggio alle vittime sarebbe ora di smettere il conteggio per chiedersi chi erano quelle persone e chi le ha uccise e in quali circostanze.
Premettendo che il governo stesso ha ammesso errori e violenze nei primi mesi della protesta, Narwani si sofferma sulle listedelle vittime; diverse e in competizione. E poi: come fanno i vari osservatori dell’opposizione (che sono fonti per l’Onu e i media) a verificare ogni giorno i morti, in mezzo al conflitto? Un team libanese che ha indagato sull’uccisione per mano israeliana di manifestanti palestinesi alla frontiera con il Libano ha detto alla giornalista che ci sono volute tre settimane per accertare che i morti effettivi erano sei e non undici; e là la
E i morti, sono tutti civili? E sono civili anti o pro regime? E nelle liste sono compresi i quasi duemila morti delle forze dell’ordine? Poiché nella conta quotidiana ultimamente appaiono due categorie: civili, e forze dell’ordine, dove sono gli uccisi fra gli armati? Vengono forse assimilati ai civili? E’ probabile. Soprattutto nel caso di Homs. Visto oltretutto che le fonti citate (gli “attivisti”) appartengono tutti all’opposizione. Il reporter Usa Nir Rosen che ha passato mesi in Siria nel 2011 ha dichiarato che la maggior parte dei morti inclusi nelle liste quotidiane degli “attivisti” sono in realtà oppositori armati; ma le circostanze della loro morte vengono nascoste, per farli credere manifestanti disarmati.
Dopo che l’Ufficio dell’Alto commissario Onu per i diritti umani le ha detto di non poter fare il controllo dei nomi che vengono forniti dalle “fonti”, la reporter ha trovato che in una lista nominativa di “vittime della repressione” ci sono i nomi dei palestinesi uccisi da Israele sulle alture del Golan il 15 maggio 2011. E anche di noti esponenti pro-regime.
Un ‘altra fonte dell’Onu e dei media sono i Comitati di coordinamento locale, che nutrono con le loro cifre il Centro di documentazione sulle violazioni (Vdc). La statistica del Vdc entrata nell’ultimo rapporto dell’Onu, di pochi giorni fa, parla di “6.399 civili e 1.680 disertori uccisi” fra il 15 marzo 2011 e il 15 febbraio 2012. Insomma: tutti i membri delle forze di sicurezza uccisi erano disertori? Nessun soldato, per il Vdc, è stato ucciso, tranne quelli passati contro il regime, che sarebbero stati uccisi dai commilitoni? Questo si scontra con il rapporto (occultato) degli osservatori della Lega Araba che hanno testimoniato di atti di violenza da parte dell’opposizione armata contro civili e militari. Inoltre l’esercito non avrebbe potuto mantenersi così coeso se avesse passato per le armi tanti suoi membri. Il governo dà ampia pubblicità ai nomi e all’origine dei soldati uccisi e ne trasmette i funerali. L’opposizione invece non fornisce i nomi dei presunti disertori che elenca fra le vittime. Fra le prime vittime militari, nove soldati su un bus attaccato già il 10 aprile 2011 verso Tartous. Presunti “testimoni” citati dai media li indicavano come disertori uccisi per aver rifiutato di sparare sui dimostranti. Ma uno dei sopravvissuti del bus ha negato che si trattasse di disertori, e lo stesso ha fatto la ricostruzione fornita dal sito di ricercatori Usa Syria Comment. Negli ultimi tempi la realtà armata degli oppositori è diventata così evidente che non si nega più la morte di soldati in servizio (non disertori).
Traduzione e adattamento di Marinella Correggia.
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