Conflitti

Ritratto di artisti siriani in tempo di rivolta

Artisti che scappano dal proprio paese dopo essere stati sottoposti alla “tortura” dalle forze di sicurezza, ma che sono ancora intenzionati a portare avanti il loro
lavoro.
7 settembre 2012
Jane Ferguson
Fonte: www.aljazeera.com - 25 agosto 2012

Syria flag Amman, Giordania – Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche
scrisse una volta “Abbiamo l'arte per non dover morire di verita'”.
Gli artisti siriani potrebbero non essere d’accordo.
Molti di loro sono stati detenuti, picchiati e fatti scomparire dal governo per aver messo
a fuoco il proprio talento sopra le più brutte verità di stato.
In tempi di guerra, pittori, registi e fotografi spesso rispecchiano quest’orrore.
Guardiamo ai grandi lavori come Guernica di Pablo Picasso e Per chi suona la campana di Ernest Hemingway con nostalgia, pulita a fondo del terrore che li ispirò.
Passata velocemente una generazione, i lavori nati dalla rivoluzione siriana faranno parte del mondo dell’arte contemporanea. Ma per prima cosa gli artisti siriani devono
sopravvivere e fare quello per cui sono scappati via dal paese.

 

Artisti “torturati”
Il regista Firas Fayyad ha provato a prendere un volo dall’aeroporto di Damasco lo scorso novembre.
“Sapevo che stava succedendo qualcosa, normalmente quando vado all’aeroporto mi prendono e mi conducono in disparte chiedendomi dove vado e perche'”, riferisce
il ventinovenne ad Amman, Giordania. “Ma questa volta dai loro sguardi era chiaro che volevano qualcosa. Mi chiesero di fare qualche passo con loro per un po’”.
Dopo gli hanno messo una sacca sopra la testa, lo hanno gettato in un’auto e lo hanno condotto al primo di una serie di centri di detenzione sotterranei dove ha detto di essere stato picchiato e interrogato ripetutamente per quattro mesi.
Fayyad – diplomato alla prestigiosa Ecole Institut di Parigi – ha girato un film a Praga con toni profondamente anti-Assad e stava prendendo il volo per il Festival del Film di Dubai dove avrebbe proiettato la pellicola.
Solo un piccolo e fidato gruppo di amici intimi era a conoscenza del progetto. Era stato tradito.
Gli uomini che lo hanno interrogato hanno raccontato in dettaglio cio’ che solo quel piccolo gruppo poteva sapere, cosi’ come la natura simbolica di ciascuna scena.
Un tizio che lo interrogava – ha detto – provava della simpatia per lui lottando contro la sua posizione. L’ha chiamato in disparte per dire a Fayyad privatamente chi lo aveva informato.
“Mi ha dato dei nomi e mi ha detto di non dirlo a nessuno”, ha riferito abbassando lo sguardo.

Dopo il rilascio a marzo Fayyad ha saputo di essere sottocontrollo e che poteva essere arrestato di nuovo in qualsiasi momento. Ha lasciato il paese a piedi.
“Sono scappato via con un gruppo massiccio di 80 o 90 persone”, ha riferito, “Abbiamo attraversato la frontiera con gente ferita, bambini, donne, coi volti carichi di esaurimento, e gli occhi gialli che guardavano fisso …”.
Adesso sta lavorando per sfidare il governo di Assad in qualità di attivista esiliato anche se l’allora ribellione pacifista si è trasformata in una sempre più violenta guerra
civile.
“La rivoluzione crea sempre uno spazio di espressione, non importa quale esso sia, se guerra civile o meno”, ha risposto quando gli ho chiesto se c’era un piccolo rifugio per la creatività in mezzo all’attuale distruzione dovuta dal conflitto in Siria.

Speranza di pace
Attraverso la città l’artista Muna Al Aakad discute tale teoria in modo intenso.
A piedi nudi, avanti nei mesi di gravidanza, seduta sul pavimento di una stanza convertita in uno studio artistico, lamenta la perdita di una rivoluzione pacifista.
“E’ come una battaglia pacifista”, ha riferito la pittrice trentenne. “C’era un punto di vista
artistico in essa – al contrario di cio’ che e’ successo piu’ tardi con la gente che abbracciava i fucili e le armi”.
A differenza di Fayyad non vede l’Esercito Siriano Libero come combattenti sullo stile di Che
Guevara. L’odio per la violenza da entrambi i lati e’ chiaro nei suoi dipinti – due dozzine o circa che giacciono contro la parete.
Uno ha un graffio di matita di un soldato che attacca con una baionetta una donna nuda e incinta. Come attivista e’ stata parte della rivoluzione e di proteste organizzate; ma come artista comunica le esperienze individuali.
“Questa e’ la lingua che parlo al mondo in cui vivo”, ha riferito. “Esprimo le cose di cui ho esperienza”.
Al Aakad è personalmente consapevole di quanto complicata sia la violenza in Siria. Un fratello stava facendo il servizio militare quando e’ scoppiata la rivoluzione e un altro e’ stato arrestato per aver preso parte a delle proteste. Di nessuno di loro si hanno notizie da mesi.

Lei dipinge furiosamente per finire il lavoro in tempo per un’esposizione in una galleria di Beyruth il prossimo mese.
Mentre il conflitto in Siria scuote la terra del Libano e argina ricadute al confine, gli artisti come Al Aakad esporranno le loro rappresentazioni della tragedia nella capitale.
Anche Fayyad spera di completare presto il suo film. La versione completa e’ nelle mani degli ufficiali di stato che lo hanno acciuffato all’aeroporto, ma aveva fatto delle copie in back up nascondendole da qualche parte e sta ri-editando il film in un piccolo studio ad Amman.
Rimane risoluto sul fatto che la rivoluzione siriana sia ancora qualcosa di provocatorio e
idealistico, centrato sulla libertà e sulla democrazia. Sarebbe facile cambiare opinione, come qualcuno che se ne sta lontano dalle crudeli esecuzioni che hanno luogo presso entrambe le parti in guerra – ma questo non vuol dire che non conosca la brutalità. E se si accenna
alle varie etnie come causa di preoccupazione, questo regista confuta ogni cosa.
Gli ho chiesto “Sei sunnita o sciita?”.
Sorridendo ha
risposto “Sono umano”.

Tradotto da Valentina Di Bennardo per PeaceLink. Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte (PeaceLink) e l'autore della traduzione.
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