Washington rafforza la sua egemonia sull'area Asia-Pacifico
Un anno fa il Segretario di Stato Hillary Clinton segnó una importante trasformazione nella politica estera statunitense in un articolo intitolato “America’s Pacific Century”, che ha annunciato il “pivot” degli U.S.A. nei confronti dell’Asia, del Pacifico e dell’Oceano Indiano, considerato di rilevante importanza strategica. “Uno dei compiti più importanti della politica americana nel prossimo decennio”, ha scritto, sarà quello di impiegare un maggiore investimento – diplomatico, economico, strategico e di altra natura – nella regione dell’Asia e del Pacifico.” Il maggiore impegno, ha scritto, sarà sottoscritto in parte “creando una larga presenza militare.”
Poco dopo il Pentagono ha pubblicato un nuovo articolo sulla “guida strategica”, che, puntando ad uno spostamento dall’Iraq e dall’Asia Centrale, ha indicato la regione Asia-Pacifico e il Golfo Persico come le due priorità geostrategiche della nazione. Per sottolienare i nuovi impegni, Clinton, il Segretario della Difesa Robert Gates e il Presidente Barack Obama sono andati in visita ufficiale dalle nazioni alleate in Asia e nel Pacifico. I repubblicani, nel libro bianco sulla politica estera di Mitt Romney, hanno alzato la posta, insistendo sul fatto che gli Stati Uniti debbano “espandere la loro presenza navale nel Pacifico occidentale” e fare pressione sugli alleati affinchè “mantengano risorse militari adeguate”.
La caccia continua all’egemonia sull’ Asia e sul Pacifico.
Il pivot è meglio compreso come la continuazione di un secolo e mezzo di politiche estere e militari statunitensi. Negli anni 1850 il Segretario di Stato William Seward sostenne che per sostituire la Gran Bretagna come potenza mondiale dominante, gli Stati Uniti prima avrebbero dovuto controllare l’Asia – ragion per cui fu acquistata l’Alaska, che forniva un accesso settentrionale verso l’Asia. Fino agli anni 1890 Washington finalmente mise insieme la flotta navale necessaria per sfidare la supremazia britannica dei mari. Intanto, tra la depressione economica e la conseguente agitazione interna, i politici videro l’accesso al mercato cinese come un modo per dare lavoro ai disoccupati e allo stesso tempo aumentare i profitti delle società, e affermare gli Stati Uniti come potenza globale. L’affondamento della nave USS Maine nel porto di Havana a cavallo del secolo fornì una scusa agli Stati Uniti per dichiarare guerra alla Spagna, impossessarsi delle Filippine e di Guam (insieme a Puerto Rico e a Cuba) e annettere le Hawaii, per assicurarsi le stazioni di rifornimento necessarie per raggiungere la Cina. Dopo la sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale, il Pacifico divenne un “lago americano”. Centinaia di basi militari statunitensi vennero stabilite in Giappone, Corea, Australia, le isole Marshall e altre nazioni nel Pacifico, per rafforzare quelle già esistenti nelle Filippine, a Guam e alle Hawaii, le quali vennero largamente ingrandite. Tutte insieme queste basi “tennero a bada” Pechino e Mosca durante tutto il periodo della Guerra Fredda, furono usate come postazioni di lancio per le guerre in Corea e nel Vietnam, e furono usate per interventi militari e di rovesciamento politico dalle Filippine e dall’Indonesia al Golfo Persico.
Alla fine degli anni ’90, quando la Cina fu vista per la prima volta come un concorrente strategico per l’egemonia dell’area Asia-Pacifico, l’amministrazione Clinton adottó una doppia politica di collaborazione e di contenimento. Deng Xiaoping venne accolto a Disneyland, il presidente Clinton venne accolto a Pechino e alla Cina fu dato il via libera ad aderire alla Organizzazione Mondiale del Commercio. Intanto l’alleanza militare tra USA e Giappone, che aveva per lungo tempo avuto la funzione di un corrispettivo della NATO nell’Asia orientale, fu consolidata. L’amministrazione Clinton mandò portaerei con capacità nucleare attraverso lo stretto di Taiwan e accelerò lo spiegamento di missili di difesa progettati per neutralizzare le potenzialità missilistiche cinesi. Prima di essere sviati dalla “Guerra al Terrore” il Presidente George W Bush e la sua amministrazione promisero di “diversificare” le basi militari USA nell’area dell’Asia e del Pacifico, riducendone la concentrazione nell’Asia nord orientale, allo scopo di distribuirle in maniera più estesa lungo i confini della Cina.
Nonostante l’amministrazione Bush avesse esteso la “Guerra al Terrore” all’Indonesia, le Filippine e la Tailandia del sud, ignorò totalmente l’Asia e il Pacifico. Questo aprì la strada alla crescita dell’influenza cinese, rafforzando l’integrazione delle nazioni ASEAN nella crescente orbita economica cinese. Col pivot l’amministrazione Obama ha segnato la sua determinazione, secondo Simon Tidal, del The Guardian, “a respingere ogni sforzo cinese di conquistare egemonia nell’area Asia-Pacifico”, anche al prezzo di una nuova guerra fredda. Il Generale Martin Dempsey, presidente del Jount Chiefs of Staff, ha detto, “l’esercito USA potrebbe essere obbligato a confrontarsi apertamente con la Cina, cosi come si è imposto sull’Unione Sovietica”.
La nuova Guerra Fredda e la sua impronta
Joseph Nye, il Vice segretario della difesa di Bill Clinton, e principale ideatore della politica USA sull’area Asia-Pacifico, presentò in anteprima le basi intellettuali da cui nasceva il pivot in un articolo del New York Times. Egli mise in guardia sul potenziale rischio di rivalità tra potenze emergenti e potenze in declino. Durante il ventesimo secolo Nye notó che in due occasioni gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non riuscirono a integrare la Germania e il Giappone nell’assetto mondiale, col risultato di due guerre mondiali catastrofiche. Per evitare un’apocalittica ripetizione della storia egli spronò gli USA ad impegnarsi con la Cina e allo stesso tempo a tenerla a bada. Mesi prima che il “pivot” fosse avviato, usando parole che ricordavano gli anni 1890, Nye scrisse che “l’ Asia ritornerá al suo stato storico, con piú della metá della popolazione mondiale e metá del rendimento economico mondiale. L’America deve essere presente. I mercati e il potere economico si basano su programmi politici, e il potere militare americano fornisce quel programma” (aggiunta enfasi).
Adesso, anche se l’amministrazione Obama ripete che “una Cina fiorente è un vantaggio per l’America”, e persegue il suo impegno con essa attraverso diversi canali diplomatici, sta tenendo il piede in due staffe.
Si sta dando nuova vita alle alleanze militari col Giappone, Corea del Sud, Australia, Filippine e Tailandia, che servono da “fulcro per la nostra strategica svolta verso l’area Asia-Pacifico”. Avendo adottato una dottrina di battaglia aria-mare, il Pentagono si è impegnato a dispiegare il 60% della sua flotta con armamenti nucleari e high-tech verso l’area Asia-Pacifico. Secondo il New York Times questo include “sei portaerei e la maggior parte dei cruisers, destroyers, delle navi da combattimento da litorale e sottomarini della marina, [e] una maggiore frequenza di esercitazioni navali e approdi nel Pacifico.”
Riconoscendo che affidarsi soltanto al potere militare non è una strategia vincente, specialmente data la potenza economica di eguale influenza, l’amministrazione Obama ha anche sollecitato una campagna diplomatica per negoziare una “partnership trans-pacifica.” L’obiettivo è creare la piú grande e impegnativa area free-trade secondo modalitá che consolidino l’integrazione tra USA e i suoi alleati dell’Asia-Pacifico, e nello stesso tempo ridurre la dipendenza economica dalla Cina.
L’espasione ha avuto un costo per la gente di quell’area.
In Giappone questo significa riaffermare l’alleanza nucleare, nonostante l’apparente impegno del presidente Obama per creare un mondo libero da armi nucleari. Significa inoltre sforzi maggiori per placare la resistenza di Okinawa a decenni di colonizzazione militare USA, la continua e pericolosa permanenza della portaerei a capacitá nucleare USS George Washington nella baia di Tokyo, lo schieramento dell aereo Osprey, coinvolto in numerosi incidenti, nella base urbana di Futenma a Okinawa, piú rapidi schieramenti di missili di difesa e un maggiorn numero di operazioni di collaborazione dei servizi segreti rivolte verso la Cina e la Corea del Nord.
In Corea del Sud, dove le forze militari USA continuano ad avere autoritá su tutte le operazioni di guerra della difesa sudcoreana, le esercitazioni militari congiunte sono aumentate – comprese quelle nel Mar Giallo, dove, nonostante gli avvertimenti cinesi, gli Stati Uniti hanno recentemente schierato la George Washington. Per portare la sfida navale piú vicina alla costa cinese si sta realizzando una enorme base navale coreana in un sito dichiarato patrimonio dell’umanitá nel villaggio di Gangjeon, nell’isola di Jeju, che, secondo il Yonhap News, dará spazio a sottomarini e fino a 20 navi da guerra, compresi i destroyers con sistema Aegis e i loro sistemi di difesa missilistica.” Questo ha provocato una intensa, disciplinata resistenza non violenta in Corea.
Nell’Asia sud orientale, l’amministrazione Obama ha alzato la posta militare, rispondendo alle crescenti rivendicazioni militari cinesi su quasi tutto il Mare Cinese Meridionale, ricco di minerale – attraverso il quale passa il 40% del commercio mondiale – dichiarando che la libera navigazione dei mari (vigilata dagli USA) è una prioritá strategica degli USA.
Avvalorando le rivendicazioni delle Filippine sul “Mare Filippino Occidentale” il Pentagono ha aumentato la vendita di armi alle Filippine, ha accelerato le esercitazioni militari congiunte e ha esaminato un possible re-insediamento di basi militari. Il pivot inoltre comporta il rafforzamento delle relazioni militari degli USA con Indonesia, Singapore, Malaysia, Brunei e Vietnam, impiegandosi in esercitazioni militari congiunte con quest’ultimo e, secondo la linea politica del suo “amici con tutte le nazioni”, richiedendo che il Vietnam provveda ad un accesso per le marine degli USA e degli alleati nella baia di Cam Rahn. I rinnovati legami e contatti militari di Washington con Burma, che sarebbe in grado di limitare l’accesso della Cina nell’Oceano Indiano, ha anche destato preoccupazioni a Pechino.
Per completare l’accerchiamento della Cina, l’amministrazione Obama ha stabilito una nuova base nell’Oceano Indiano, a Darwin, Australia, ha perseguito una tacita alleanza con l’India e sta allargando la sua “partnership” con la Nuova Zelanda e la Mongolia. In Aprile gli Stati Uniti ottennero persino un accordo per piazzare un numero ancora da definire di forze USA in Afganistan entro il 2024. Piú vicine a casa, le Hawaii dovranno accogliere quasi 3000 nuovi marines, aerei da guerra Osprey e ulteriori espansioni delle basi gia esistenti.
Intanto le popolazioni Chamorro di Guam stanno sopportando il peso del pivot, poichè la posizione strategica della loro piccola isola-nazione la rende un posto ideale per la ritirata quando le truppe USA verranno alla fine espulse dal Giappone. Anche se le basi USA giá occupano il 28% delle 500 miglia quadrate dell’isola, 3000 nuovi marines con le loro famiglie saranno riposizionati a Guam da Okinawa, e ci sono progetti per l’espansione di basi giá esistenti.
In un discorso in Giappone nell’Agosto 2012, Cara-Flores-Mays di Guam spiegó cosa significherá il pivot per il suo nonno Chamorro: “Non sa cosa sia la libertá” ha detto, “ed è probabile che non lo sappia mai.” Lo stesso vale per le popolazioni di altre nazioni asiatiche del Pacifico, che sono state largamente messe da parte nel calcolo politico dei governanti USA per il controllo totale della regione.
Il Pivot del Movimento Pacifista
Gli Stati Uniti e la Cina, ai quali si sono aggiunte altre nazioni Asiatiche e del Pacifico, sono ora impegnate in una pericolosa e costosa corsa agli armamenti che ricorda la Guerra Fredda.
Quando grandi poteri sono in competizione, le popolazioni e gli interessi di nazioni minori sono spesso sacrificate. Schiacciate tra la crescente influenza cinese e il pivot Americano, le popolazioni delle nazioni “ospitanti” stanno pagando il prezzo piú grande. Piú di due secoli fa, gli autori della Dichiarazione di Indipendenza Americana identificarono la presenza in tempo di pace delle truppe britanniche nelle loro comunitá come fonte di “abusi e usurpazioni” a cui era necessaria una ribellione. Ora sono le genti del Pacifico e dell’Asia che stanno soffrendo e stanno sempre piú resistendo agli effetti del pivot, che siano le confische di terra, le molestie dei soldati americani, le spaventose esercitazioni in volo a bassa quota, gli attacchi all’ambiente, i bilanci nazionali distorti, o i pericoli crescenti di una guerra catastrofica.
Per prevenire eventuali guerre catastrofiche e dedicare le limitate risorse nazionali per assicurare una vera sicurezza economica e ambientale, il movimento di pace Americano deve cominciare ad opporsi al pivot e alle sue conseguenze. Ci sono giá dei segnali che il movimento abbia iniziato il proprio pivot”. Tra i segnali piú incoraggianti ci sono le azioni di solidarietá verso le forze anti-basi a Okinawa e Corea e la creazione di un gruppo di lavoro per la pace e la demilitarizzazione in Asia. Okinawa è stata una colonia militare americana dalla sua conquista nel 1945, con enormi basi della marina, dell’aviazione e dell’asercito statunitensi che occupavano continuamente piú di un quarto delle sue terre. Sin da quando, nel 1995, il rapimento e la violenza su una ragazzina di 12 anni da parte di tre soldati americani destó un movimento di massa che scosse profondamente l’alleanza USA-Giappone, il cuore della campagna di Washington e Tokyo per placare la resistenza di Okinawa è stato l’accordo per cui la pericolosa base aerea di Futenma, situata vicino a scuole e abitazioni, sarebbe stata ricollocata dal centro della cittá di Ginowan a Henoko, una piccola comunitá in una parte remota dell’isola. Occupazioni da parte di ottuagenari del sito di costruzione proposto per impedire la corruzione della loro comunitá e la distruzione di una scogliera vitale e della vita marina che supporta, hanno stimolato un movimento che ha mutato le politiche di Okinawa. Invece di adattarsi alla chiusura di Futenma, alle spese dalla gente di Henoko, i cittadini di Okinawa hanno protestato, sono ricorsi in tribunale, hanno mandato delegazioni in giro per il mondo e hanno eletto leader politici che si rifiutavano di sacrificare sia Ginowan che Henoko, e hanno ottenuto il ritiro di 16ooo marines basati ad Okinawa (benchè spostati in Australia, Guam e Hawaii).
Una battaglia simile condotta da agricoltori e ambientalisti, è stata intrapresa sull’isola di Jeju in Corea. Li, in un sito dichiarato patrimonio dell’umanitá dall’ UNESCO, a 300 miglia dalla costa cinese, il governo sud coreano, supportato dagli USA, ha cominciato a costruire una presunta base navale coreana che ospiterá destroyers americani con sistema Aegis e missili di difesa. I lavori stanno distruggendo una formazione rocciosa sacra e delle scogliere, e stanno impedendo ai pescatori di guadagnarsi da vivere. La sistemazione dei militari che seguirá travolgerá agricoltori e abitanti. Negli ultimi cinque anni gli attivisti hanno opposto resistenza con una campagna non violenta disciplinata, combattiva e fantasiosa, che ha reso la lotta di Jeju una questione nazionale e internazionale. Ci sono stati arresti quasi ogni giorno di cittadini e altri oppositori che bloccavano i veicoli di costruzione, occupavano le terre confiscate per costruire la base e si introducevano tagliando le barriere di filo spinato. Gli agricoltori e i leader religiosi hanno conquistato cuori e menti con digiuni, con una dolorosa campagna di mille inchini al giorno, e con una intensa forma di protesta coreana in cui i manifestanti si rasarono la testa pubblicamente.
Sebbene il movimento di pace statunitense si sia allontanato dall’Asia orientale in conseguenza alla guerra nel Vietnam, diverse organizzazioni pacifiste USA e un gruppo di attivisti dedicati hanno agito in solidarietá con i movimenti per la pace e giustizia in Asia e nel Pacifico. Ma con il pivot dell’amministrazione Obama, che procede a pieno ritmo, il movimento nella sua interezza dovrá affrontare una pericolosa e fortemente militarizzata campagna di Washington volta a rafforzare la sua egemonia nella regione. Anche se si sta impegnando a prevenire una guerra in Iran, a riportare a casa tutte le truppe in Afganistan, e a dirottare fondi dal Pentagono verso bisogni umani e creazione di posti di lavoro, il movimento per la pace statunitense ha la responsabilitá di distogliere la politica USA dal suo corso militare e indirizzarla verso una sicurezza comune per la pace dell’umanitá.
Un network promettente e l’appena formato Gruppo di lavoro per la pace e la demilitarizzazione dell’Asia e del Pacifico. Sviluppatosi da una serie di conferenze e scambi iniziati dall’American Friends Service Committee, il gruppo di lavoro raggruppa personaggi del movimento tradizionale per la pace, attivisti asiatico-americani, comunitá religiose e studiosi. Ha iniziato a fornire fondamenti analitici per un movimento piú ampio. Ha ottenuto l’appoggio di organizzazioni associate attraverso l’Asia e il Pacifico per usare la struttura del 2013 come “L’anno della pace e della demilitarizzazione della regione Asia-Pacifico” per creare i nostri movimenti.
Il pivot e la risultante nuova Guerra Fredda stanno compromettendo i bisogni reali degli americani cosi come degli asiatici. Ma un mondo diverso è possibile.
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