Conflitti

Renzi riporta l'Italia in Africa per (ri)colonizzare la Libia

E' guerra! Ecco i retroscena. Con delle proposte per reagire.

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Stiamo per entrare in guerra. Silenziosamente, con il dibattito parlamentare ridotto a zero. Il nostro compito più urgente: suonare l'allarme. Per farlo è prevista una giornata di manifestazioni contro la guerra il 12 marzo.
4 marzo 2016
Patrick Boylan

- - Cliccare qui per avere il manifesto da stampare - -
12 marzo 2016 - Giornata di mobilitazione nazionale contro la guerra

Ieri il Giornale ha svelato che lo scorso 10 febbraio il Consiglio dei Ministri ha varato, segretamente, l'autorizzazione all'utilizzo di forze speciali italiane in Libia, al di fuori di qualsiasi autorizzazione dell'ONU e senza l'invito del governo libico, ancora in formazione (ma i cui principali esponenti hanno già fatto capire che considererebbero qualsiasi invasione europea come un atto di aggressione). Trattandosi dell'invio di forze speciali per una “operazione di emergenza” e non (ancora) dell'invio delle truppe regolari, si è potuto evitare il vaglio parlamentare.

L'ordine di invasione sarebbe imminente e attende solo la firma del Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Si tratta, concretamente, d'inviare per ora “solo” una testa di ponte il cui scopo dichiarato sarebbe quello di proteggere alcuni impianti petroliferi che interessano l'ENI; in seguito il governo conta di inviare diverse migliaia di truppe ma spera di annacquare il relativo dibattito parlamentare includendo l'invasione della Libia tra le “missioni di pace all'estero” da approvare in un pacchetto complessivo.

Ma quale sarebbe l'emergenza attuale in Libia che giustificherebbe l'invio immediato delle forze speciali italiane? Si tratta forse di proteggere certi impianti petroliferi, adocchiati dall'ENI, dalla minaccia del cosiddetto “Stato Islamico” (o “ISIS” o “Daesh”)? Niente affatto, l'ISIS non sta alle porte. Verosimilmente, in mancanza di altre spiegazioni, si tratta di proteggere questi impianti dai... francesi, le cui forze speciali hanno già invaso la Libia illegalmente giorni fa. A rivelarlo il 24 febbraio è stato il giornale parigino Le Monde, suscitando il furore del ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, che aveva imposto la segretezza.

(I redattori del giornale ora rischiano tre anni di carcere e una multa da 45.000 euro. Ma l'11 gennaio dell'anno scorso, dopo l'attentato alla rivista Charlie Hebdo, non era proprio il ministro Le Drian in testa all'immenso corteo parigino “a difesa della libertà d'espressione e della stampa”?)

Per quanto incredibile e inquietante, dunque, sembra proprio così: stiamo assistendo ad una corsa frenetica tra forze speciali dell'Occidente – francesi e italiani, ma anche statunitensi e britannici – per accaparrarsi per primi, al di fuori di qualsiasi legittimazione internazionale, le risorse petroliferi della Libia, paese per ora inerme, diviso e quindi di facile preda.

Ma il pretesto ufficiale, più volte ventilato, per l'attacco alla Libia, non era andare a combattere il cosiddetto Stato Islamico?

Invece no – e bisogna arrendersi all'evidenza. L'Occidente non ha nessuna intenzione di eliminare l'ISIS, che è servito e serve ancora come pretesto per rimandare le proprie truppe, dapprima in Iraq (dopo essere state cacciate dalla guerriglia di quel paese cinque anni fa) ed ora in Libia e domani forse in Siria, per suddividere questi tre paesi in satrapie. Una fetta sottomessa alle forze armate di ExxonMobil e di BP, un'altra fetta sotto il controllo delle forze armate di Total, un'altra fetta ancora dominato dalle forze armate dell'ENI (anche se, formalmente, si tratta delle forze armate dei rispettivi paesi, quelle pagate dai contribuenti).

E il resto di questi territori martoriati – la parte centrale dell'Iraq, l'est della Siria e il centro sud della Libia (meno le zone nel Fezzan volute dai francesi per proteggere il loro feudo in Mali) – sarà lasciato in mano all'ISIS, la cui presenza continuerà ad essere invocata per giustificare le occupazioni militari. Non è a caso che, sin dall'inizio della loro finta mobilitazione anti-ISIS, gli Stati Uniti hanno parlato di una guerra “almeno trentennale”.  La farannno durare fin quando dura il greggio da estrarre.

Infatti, come questa testata suggeriva due anni fa, quando i giornali mainstream parlavano appena dell'ISIS, i miliziani tagliagole sono stati creati dall'Occidente e gestiti attraverso l'Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia, proprio per questa finalità: fornire la scusa all'Occidente per riprendersi l'Iraq e la Siria (ed ora la Libia), smembrando questi paesi.

Ciò non significa che i miliziani jihadisti vengono controllati direttamente dall'Occidente: vengono gestiti indirettamente tramite i bombardamenti mirati che, senza eliminarli, fanno loro capire dove possono avanzare: in Iraq centrale sì, verso Baghdad solo quanto basta per far cadere il governo di al Maliki, verso il Kurdistan no perché i Kurdi hanno già cominciato a spedire il loro petrolio in Occidente, verso Damasco sì – almeno, prima dell'intervento russo per respingere l'assalto e obbligare l'Occidente ad intavolare trattative per il futuro di quel paese.

Questa orribile messa in scena chiamata “ascesa incontrollata dei miliziani dell'ISIS”, allora, è solo un mostruoso gioco delle parti?

Sì.

La creazione dell'ISIS nel 2012, come la creazione di al Qaeda nel 1989 oppure la creazione dei Contras nel 1979, rappresenta il “modello alternativo” usato dagli Stati Uniti ed i loro alleati per colonizzare i paesi del terzo mondo. Invece di mandare le proprie truppe (i propri “stivaloni sul terreno”) in Iraq per impossessarsi del paese, come fece Bush Jr, suscitando la protesta dei pacifisti nel mondo intero, l'amministrazione Obama ha scelto, quattro anni fa, di agire dietro le quinte, creando il mostro di Frankenstein che chiamiamo ora ISIS o Daesh. E creando sul terreno, nel contempo, ancora più morti, più devastazioni, più crudeltà inaudite, più fughe di rifugiati di quanto non fecero le truppe statunitensi di prima. Ma questa volta facendo morire gli altri, i dannati della terra, e soltanto loro – non più i “nostri ragazzi.” E stemperando così le proteste pacifiste in casa.

Contro quest'orrore, di una immoralità che supera ogni immaginazione, bisogna reagire. Bisogna unirsi per dire NO. Bisogna denunciare queste invasioni di paesi sovrani terzi come crimini di guerra e crimini contro l'umanità.

I francesi hanno mandato le loro forze speciali illegalmente in Libia per impossessarsi di certe zone? Ebbene la risposta non deve essere: “Allora commettiamo l'illegalità anche noi” bensì “Minacciamo di portare la Francia davanti al Consiglio di Sicurezza e, se non si ottiene giustizia, davanti alla Corte dell'Aia, per esigere il suo rientro dalla Libia. E per lasciare che sia il governo libico a decidere a chi assegnare lo sfruttamento dei suoi impianti e giacimenti.” Idem per gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

Naturalmente, da solo l'Italia non ce la farebbe a portare avanti un'iniziativa diplomatica del genere; ma unita ai paesi Brics e a ciò che rimane dei paesi Alba, avrebbe sicuramente un peso negoziale sufficiente per fermare l'assalto alla Libia. Rimarrebbe naturalmente il problema di eliminare l'ISIS sul serio: ma anche questo si può ottenere molto più efficacemente attraverso la diplomazia, come viene spiegato nell'ultima parte di questo editoriale e nella seconda metà di quest'altro editoriale.

Ma bisogna mobilitarsi subito!

In previsione di tutto ciò, il Coordinamento contro la guerra, le leggi di guerra, la Nato ha già indetto, per il 12 marzo, una giornata di micro-manifestazioni decentrate in tutta la penisola.

Ora ha preparato un manifesto che le realtà locali possono utilizzare, indicando nello spazio in fondo l'evento che intendono organizzare quel giorno: basta incollare nel riquadro un foglietto fotocopiato con tutte le indicazioni.

Il Coordinamento chiede alle realtà locali di segnalare sin d'ora la loro intenzione di organizzare un evento per il 12 marzo, scrivendo a 12marzocontrolaguerra@gmail.com e, in copia, a eurostop.it@gmail.com.

Inoltre, bisogna scattare una foto dell'evento e inviarla ai due indirizzi email, con una breve nota sullo svolgimento: verrà esposta sul sito bit.ly/12marzo-sito . Alcuni suggerimenti di eventi da organizzare vengono dati nell'articolo già linkato, ossia qui.

Per esempio, un comitato di attivisti a Roma ha chiamato tutti i romani a confluire il 12 marzo alle ore 16 vicino alla base del Comando Operativo Interforze (COI) a Cinecittà. Il COI coordina l’intervento militare italiano in Libia.  CORREZIONE: per motivi di ordine pubblico, la Questura ha spostato l'appuntamento  a Piazza dei Consoli a Cinecittà (non più in via Scribonio Curione).  La stazione della metro A è Lucio Sestio.  Dopo il comizio, i partecipanti sfileranno per le strade del quartiere.

In mattinata, sempre a Roma, diversi altri gruppi di attivisti hanno in cantiere eventi di sensibilizzazione nei propri quartieri – per esempio un comizio a Monteverde, lenzuoli nei balconi a San Lorenzo, una biciclettata con striscione sulla Tuscolana. Per ragguagli: comitato@gmx.it.

Altrove in Italia sono previste manifestazione davanti al cantiere TAV della Val Clarea (Chiomonte), davanti alla base militare di Ghedi, davanti alla caserma Ederle a Vicenza, davanti a Camp Derby a Pisa e davanti alla base NATO di lago Patria (Napoli). Inoltre sono previste manifestazioni a Bologna (corteo regionale), a Novara (contro gli F35) e in Sicilia (contro l’uso della base di Sigonella per le aggressioni militari). Staremo a vedere quanto i mass media mainstream diano notizie di questi eventi.

Ma manifestare, il 12 marzo. la propria protesta contro la nuova guerra coloniale di Renzi è solo l'inizio. Il Coordinamento chiede ai pacifisti d'Italia di tenersi pronti per una seconda iniziativa che si terrà il 4 aprile e che è ancora in via di definizione.

Impedire la guerra si deve e si può.

 

 

 

Ieri il Giornale ha svelato che lo scorso 10 febbraio il Consiglio dei Ministri ha varato, segretamente, l'autorizzazione all'utilizzo di forze speciali italiane in Libia, al di fuori di qualsiasi autorizzazione dell'ONU e senza l'invito del governo libico, ancora in formazione (ma i cui principali esponenti hanno già fatto capire che considererebbero qualsiasi invasione europea come un atto di aggressione). Trattandosi dell'invio di forze speciali per una “operazione di emergenza” e non (ancora) dell'invio delle truppe regolari, si è potuto evitare il vaglio parlamentare.

 

L'ordine di invasione sarebbe imminente e attende solo la firma del Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

 

Si tratta, concretamente, d'inviare per ora “solo” una testa di ponte il cui scopo dichiarato sarebbe quello di proteggere alcuni impianti petroliferi che interessano l'ENI; in seguito il governo conta di inviare diverse migliaia di truppe ma spera di annacquare il relativo dibattito parlamentare includendo l'invasione della Libia tra le “missioni di pace all'estero” da approvare in un pacchetto complessivo.

 

Ma quale sarebbe l'emergenza attuale in Libia che giustificherebbe l'invio immediato delle forze speciali italiane? Si tratta forse di proteggere certi impianti petroliferi, adocchiati dall'ENI, dalla minaccia del cosiddetto “Stato Islamico” (o “ISIS” o “Daesh”)? Niente affatto, l'ISIS non sta alle porte. Verosimilmente, in mancanza di altre spiegazioni, si tratta di proteggere questi impianti dai... francesi, le cui forze speciali hanno già invaso la Libia illegalmente giorni fa. A rivelarlo il 24 febbraio è stato il giornale parigino Le Monde, suscitando il furore del ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, che aveva imposto la segretezza.

 

(I redattori del giornale ora rischiano tre anni di carcere e una multa da 45.000 euro. Ma l'11 gennaio dell'anno scorso, dopo l'attentato alla rivista Charlie Hebdo, non era proprio il ministro Le Drian in testa all'immenso corteo parigino “a difesa della libertà d'espressione e della stampa”?)

 

Per quanto incredibile e inquietante, dunque, sembra proprio così: stiamo assistendo ad una corsa frenetica tra forze speciali dell'Occidente – francesi e italiani, ma anche statunitensi e britannici – per accaparrarsi per primi, al di fuori di qualsiasi legittimazione internazionale, le risorse petroliferi della Libia, paese per ora inerme, diviso e quindi una facile preda.

 

Ma il pretesto ufficiale, più volte ventilato, per l'attacco alla Libia, non era andare a combattere il cosiddetto Stato Islamico?

 

Invece no – e bisogna arrendersi all'evidenza. L'Occidente non ha nessuna intenzione di eliminare l'ISIS, che è servito e serve ancora come pretesto per rimandare le proprie truppe, dapprima in Iraq (dopo essere state cacciate dalla guerriglia di quel paese cinque anni fa) ed ora in Libia e domani forse in Siria, per suddividere questi tre paesi in satrapie. Una fetta sottomessa alle forze armate di ExxonMobil e di BP, un'altra fetta sotto il controllo delle forze armate di Total, un'altra fetta ancora dominato dalle forze armate dell'ENI (anche se, formalmente, si tratta delle forze armate dei rispettivi paesi, quelle pagate dai contribuenti).

 

E il resto di questi territori martoriati – la parte centrale dell'Iraq, l'est della Siria e il centro sud della Libia (meno le zone nel Fezzan volute dai francesi per proteggere il loro feudo in Mali) – sarà lasciato in mano all'ISIS, la cui presenza continuerà ad essere invocata per giustificare le occupazioni militari. Non è a caso che, sin dall'inizio della loro finta mobilitazione anti-ISIS, gli Stati Uniti hanno parlato di una guerra “almeno trentennale”.

 

Infatti, come questa testata suggeriva due anni fa, quando i giornali mainstream parlavano appena dell'ISIS, i miliziani tagliagole sono stati creati dall'Occidente e gestiti attraverso l'Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia, proprio per questa finalità: fornire la scusa all'Occidente per riprendersi l'Iraq e la Siria (ed ora la Libia), smembrando questi paesi.

 

Ciò non significa che i miliziani jihadisti vengono controllati direttamente dall'Occidente: vengono gestiti indirettamente tramite i bombardamenti mirati che, senza eliminarli, li fanno capire dove possono avanzare: in Iraq centrale sì, verso Baghdad solo quanto basta per far cadere il governo di al Maliki, verso il Kurdistan no perché i Kurdi hanno già cominciato a spedire il loro petrolio in Occidente, verso Damasco sì – almeno, prima dell'intervento russo per respingere l'assalto e obbligare l'Occidente ad intavolare trattative per il futuro di quel paese.

 

Questa orribile messa in scena chiamata “ascesa incontrollata dei miliziani dell'ISIS”, allora, è solo un mostruoso gioco delle parti?

 

Sì.

 

La creazione dell'ISIS nel 2012, come la creazione di al Qaeda nel 1989 oppure la creazione dei Contras nel 1979, rappresenta il “modello alternativo” usato dagli Stati Uniti ed i loro alleati per colonizzare i paesi del terzo mondo. Invece di mandare le proprie truppe (i propri “stivaloni sul terreno”) in Iraq per impossessarsi del paese, come fece Bush Jr, suscitando la protesta dei pacifisti nel mondo intero, l'amministrazione Obama ha scelto, quattro anni fa, di agire dietro le quinte, creando il mostro di Frankenstein che chiamiamo ora ISIS o Daesh. E creando sul terreno, nel contempo, ancora più morti, più devastazioni, più crudeltà inaudite, più fughe di rifugiati di quanto non fecero le truppe statunitensi di prima. Ma questa volta facendo morire gli altri, i dannati della terra, e soltanto loro – non più i “nostri ragazzi.” E stemperando così le proteste pacifiste in casa.

 

Contro quest'orrore, di una immoralità che supera ogni immaginazione, bisogna reagire. Bisogna unirsi per dire NO. Bisogna denunciare queste invasioni di paesi sovrani terzi come crimini di guerra e crimini contro l'umanità.

 

I francesi hanno mandato le loro forze speciali illegalmente in Libia per impossessarsi di certe zone? Ebbene la risposta non deve essere: “Allora commettiamo l'illegalità anche noi” bensì “Minacciamo di portare la Francia davanti al Consiglio di Sicurezza e, se non si ottiene giustizia, davanti alla Corte dell'Aia, per esigere il suo rientro dalla Libia. E per lasciare che sia il governo libico a decidere a chi assegnare lo sfruttamento dei suoi impianti e giacimenti.” Idem per gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

 

Naturalmente, da solo l'Italia non ce la farebbe a portare avanti un'iniziativa diplomatica del genere; ma unita ai paesi Brics e a ciò che rimane dei paesi Alba, avrebbe sicuramente un peso negoziale sufficiente per far fare marcia indietro in Libia. Rimarrebbe naturalmente il problema di eliminare l'ISIS sul serio: ma anche questo si può ottenere molto più efficacemente attraverso la diplomazia, come viene spiegato nell'ultima parte di questo editoriale e nella seconda metà di quest'altro editoriale.

 

Ma bisogna mobilitarsi subito!

 

In previsione di tutto ciò, il Coordinamento contro la guerra, le leggi di guerra, la Nato ha già indetto, per il 12 marzo, una giornata di micro-manifestazioni decentrate in tutta la penisola.

 

Ora ha preparato un manifesto che le realtà locali possono utilizzare, indicando nello spazio in fondo l'evento che intendono organizzare quel giorno: basta incollare nel riquadro un foglietto fotocopiato con tutte le indicazioni.

 

Il Coordinamento chiede alle realtà locali di segnalare sin d'ora la loro intenzione di organizzare un evento per il 12 marzo, scrivendo a 12marzocontrolaguerra@gmail.com e, in copia, a eurostop.it@gmail.com.

 

Inoltre, bisogna scattare una foto dell'evento e inviarla ai due indirizzi email, con una breve nota sullo svolgimento: verrà esposta sul sito bit.ly/12marzo-sito . Alcuni suggerimenti di eventi da organizzare vengono dati nell'articolo già linkato, ossia qui.

 

Per esempio, un comitato di attivisti a Roma ha chiamato tutti i romani a confluire il 12 marzo alle ore 16 davanti alla base del Comando Operativo Interforze (COI) a Cinecittà. Il COI coordina l’intervento militare italiano in Libia e si trova in via Scribonio Curione (metro A Numidio Quadrato); dopo un comizio, i partecipanti sfileranno per le strade del quartiere.

 

In mattinata, sempre a Roma, diversi altri gruppi di attivisti hanno in cantiere eventi di sensibilizzazione nei propri quartieri – per esempio un comizio a Monteverde, lenzuola alle finestre a San Lorenzo, una biciclettata con striscione sulla Tuscolana. Per ragguagli: comitato@gmx.it.

 

Altrove in Italia sono previste manifestazione davanti al cantiere TAV della Val Clarea (Chiomonte), davanti alla base militare di Ghedi, davanti alla caserma Ederle a Vicenza, davanti a Camp Derby a Pisa e davanti alla base NATO di lago Patria (Napoli). Inoltre sono previste manifestazioni a Bologna (corteo regionale), a Novara (contro gli F35) e in Sicilia (contro l’uso della base di Sigonella per le aggressioni militari). Staremo a vedere quanto i mass media mainstream diano notizie di questi eventi.

 

Ma manifestare, il 12 marzo. la propria protesta contro la nuova guerra coloniale di Renzi è solo l'inizio. Il Coordinamento chiede ai pacifisti d'Italia di tenersi pronti per una seconda iniziativa che si terrà il 4 aprile e che è ancora in via di definizione.

 

Combattere la guerra si deve e si può.

 

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