Conflitti

Sotto il tiro di cecchini americani

A Falluja oltre mille i morti in una settimana. Secondo testimonianze, sono state usate anche cluster bomb. Ammutinamento dell'esercito iracheno: non ci siamo arruolati per combattere gli iracheni. Disertano i poliziotti.
13 aprile 2004
Il Manifesto

Un bilancio realistico delle vittime degli ultimi giorni sanguinosi vissuti da Falluja è impossibile. Un gruppo di cinque ong aveva fornito venerdì la cifra di 470 vittime dal 1 aprile, 1.200 i feriti, tra i quali oltre 200 bambini e altrettante donne. Per gli ospedali i morti sono saliti a 600, mentre per il generale americano Mark Kimmit, vice comandante delle operazioni, gli iracheni - secondo lui tutti insorti - rimasti uccisi sono 700 e 70 i soldati della coalizione. Ma potrebbero essere molte di più, «mille o anche più di mille, non si possono contare perché molti non vengono portati negli ospedali e vengono seppelliti nel cortile di casa», ci conferma al telefono Fabio Alberti, presidente dell'ong Ponte per Baghdad, impegnata in Iraq fin dai tempi dell'embargo, e che nei giorni scorsi è riuscita a far arrivare aiuti sanitari a Falluja. «Non servono altri medicinali, aggiunge Fabio Alberti, il vero problema è che i feriti non riescono a raggiungere le strutture per curarsi perché vengono colpiti dai cecchini americani appostati sui tetti. In città, l'ospedale più grande è al di là dell'Eufrate, nella zona controllata dagli americani, quindi praticamente chiuso, nella parte controllata dagli iracheni ce n'è solo uno con sala operatoria, più un centro sanitario in una moschea e una clinica privata. Non si possono nemmeno trasferire i feriti che hanno bisogno di un intervento perché rischiano di essere uccisi, i cecchini non risparmiano nemmeno le autoambulanze. Ci sono almeno due testimonianze accertate di autoambulanze colpite. Alcuni testimoni parlano anche dell'uso di cluster bomb». Nemmeno i feriti che nei giorni scorsi erano riusciti a farsi ricoverare a Baghdad sono al sicuro perché, sempre secondo le testimonianze raccolte da Fabio Alberti, «i militari americani sono entrati negli ospedali e hanno portato via tutti i pazienti di Falluja». E'sempre più difficile fuggire sotto il tiro dei cecchini, quelli che hanno potuto (la Croce rossa parla di 5.000 persone) nei giorni scorsi hanno raggiunto i parenti nella capitale, altri si arrangiano sotto le palme alla periferia di Falluja, ma presto potrebbe sorgere emergenze, soprattutto dell'acqua. Per questo, il Ponte per Baghdad che sta evacuando temporaneamente il proprio personale straniero ad Amman, come stanno facendo quasi tutte le ong internazionali, sta preparando un piano per la fornitura di acqua.

La città simbolo della resistenza - qui si era manifestata la prima opposizione dura all'esercito americano che aveva occupato una scuola alla fine di aprile 2003 - è diventata, non a caso, il luogo più martoriato dalle truppe Usa e negli ultimi giorni si è trasformata in una città morta, con corpi abbandonati per strada. Alle porte di Baghdad, a una cinquantina di chilometri dalla capitale, sulla strada per Amman, è l'inferno. Dopo una settimana di assedio, seguito al linciaggio di quattro guardie americane, i marine hanno tentato di riaprire la strada per la Giordania, una importante via di rifornimento. Una tregua in vigore da venerdì non è mai stata veramente osservata e ieri i leader della rivolta sunnita hanno dato un ultimatum: se entro le 14 (ora italiana di ieri) i cecchini non saranno smobilitati, sarà lanciata una nuova offensiva a tutto campo. A poche ore dalla scadenza dell'ultimatum era arrivata una delegazione di mediatori «per aiutare la trattativa». Ieri sera le forze Usa si sarebbero parzialmente ritirate, «un gesto di buona volontà», ha detto un mediatore. Contraddetto dal gen. Mark Kimmit che ieri aveva detto: andremo avanti fino alla «completa distruzione» delle forze nemiche di Falluja. Preoccupati della situazione provocata dall'atteggiamento degli americani anche i membri del Consiglio governativo filo-Usa, due ministri e un membro del Consiglio si sono già dimessi. Nonostante il generale Usa Abizaid sostenga che i marine sono stati «molto precisi» nel proteggere i civili, tra le vittime ci sono centinaia di donne e bambini. Gli Usa hanno dovuto far fronte anche all'ammutinamento di un battaglione dell'esercito iracheno - 620 uomini - che aveva terminato l'addestramento il 6 gennaio. Per la prima volta le forze Usa avevano deciso di coinvolgere i soldati iracheni in una operazione di combattimento, proprio a Falluja, ma loro hanno risposto di non essersi arruolati per combattere gli iracheni. Il generale Paul Eaton ha ammesso che «le linee si stanno offuscando per molti iracheni ora, e abbiamo problemi con molte funzioni di sicurezza». Tanto è vero che molti poliziotti hanno disertato e alcuni a favore delle forze di Muqtada al Sadr.

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