Le «credibili» menzogne americane
Domenica scorsa, il senatore Richard Lugar ha chiesto all'amministrazione Bush di aumentare le truppe in Iraq per far fronte all'insurrezione; ne va, ha detto, della «credibilità» degli Stati Uniti. Lugar, un repubblicano che è in politica dal 1968 e che fu eletto senatore per la prima volta nel 1976, dovrebbe ricordare che questa parola fa apparire nella notte americana spettri ben più terrificanti di quelli che popolano le tragedie di Shakeaspeare. Credibilità è infatti il tema dei 47 volumi dei Pentagon Papers, la collezione di documenti su come era iniziata e proseguita la guerra nel Vietnam pubblicata nel giugno 1971 dal New York Times dopo una memorabile battaglia legale contro l'amministrazione Nixon. Dai documenti emergeva che le menzogne, le fantasie, gli errori della guerra ruotavano tutti attorno allo stesso problema: mantenere intatta la «credibilità» degli Stati Uniti come superpotenza.
Nel 1972 Hannah Arendt pubblicò sulla New York Review of Books un saggio a commento dei Pentagon Papers; il titolo era «Lying in Politics», la menzogna in politica. E' un saggio tutt'ora insuperato perché analizza con spietatezza i meccanismi dell'autoinganno tipici di gruppi dirigenti prigionieri della propria ideologia. Il primo elemento analizzato è il fatto che «gli scopi» (della guerra) dovevano costantemente cambiare. Così lo scopo della presenza in Indocina fu inizialmente preservare la democrazia in Sud-Vietnam, poi salvare il Vietnam dal comunismo, poi frustrare le mire espansioniste dell'Urss e della Cina e, infine, mantenere intatta «l'immagine degli Stati Uniti» di fronte agli alleati.
Si noterà che l'invasione dell'Iraq, inizialmente giustificata con la presenza di armi di distruzione di massa a Baghdad, è poi stata motivata con l'alleanza fra Saddam Hussein e il terrorismo islamico, mentre veniva anche invocata la necessità di «esportare la democrazia» in Medio oriente. Di fronte all'inconsistenza di questi pretesti oggi si invoca la «credibilità» degli Stati Uniti e dei loro alleati: sarebbe una vittoria «per il terrorismo internazionale» se le forze di occupazione se ne andassero scrive Tony Blair.
Ma se le ragioni della guerra cambiano ogni tre mesi, questo significa che nessuna di esse resiste alla prova dei fatti e, quando le cose iniziano ad andare male, si fanno le commissioni d'inchiesta. In sedicesimo, la commissione sull'11 settembre che in questi giorni interroga i responsabili dell'amministrazione Bush, sta compilando la versione irachena dei documenti del Pentagono. Lo scaricabarile fra politici, alti funzionari e dirigenti dei servizi segreti ha già dimostrato che le informazioni c'erano ma furono ignorate. La ragione? Gli alti funzionari «non avevano bisogno di fatti, né di informazioni; avevano una "teoria" e tutti i dati che non si adeguavano ad essa venivano negati o ignorati», come scriveva Hannah Arendt nel 1972.
Il vicepresidente Cheney dichiarò, alla vigilia dell'invasione, che gli iracheni «ci accoglieranno come liberatori». Poi, Bush diede la colpa degli attacchi contro le forze americane ai figli di Saddam Hussein, allo stesso Saddam, ai terroristi stranieri e ora, all'imam al Sadr. Il ciclo della menzogna e dell'autoinganno continua. Va sottolineato, a questo proposito, che esiste non soltanto un problema morale (mentire al Senato è una ragione di impeachment nella Costituzione americana) ma anche un problema politico che riguarda Stati Uniti ed Europa. I dirigenti Usa «perdono contatto con il mondo reale, che li riacchiapperà perché (il bugiardo ndr) può rimuovere la sua mente ma non il suo corpo dal mondo» come scriveva ancora la Arendt. La verità può essere nascosta, come le bare dei soldati americani che tornano dall'Iraq possono essere censurate dalle televisioni, ma i corpi, nella loro materialità, non possono essere eliminati ed è questa insopprimibile realtà che nessuna retorica e nessuna propaganda possono cancellare.
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