Iraq: Appello agli altri occupanti: «Fate come loro. Sì all’Onu, ma con truppe che non ci hanno aggredito»
Baghdad. Il capo radicale sciita Moqtada Sadr, che si trova nella città santa sciita di Najaf, ha lanciato un appello ai suoi seguaci affinchè cessino gli attacchi alle truppe spagnole. L’iniziativa, secondo un suo stretto collaboratore, è legata alla decisione annunciata dal premier spagnolo Luis Rodriguez Zapatero di ritirare «nel più breve tempo possibile» le truppe spagnole dall’Iraq. «Chiediamo di garantire la sicurezza delle truppe spagnole fino alla loro partenza, fin tanto che queste forze non commettano atti di aggressione contro il popolo iracheno», ha detto Al Khazaali, personaggio molto vicino a Sadr affermando di riferire il pensiero del leader radicale sciita. Sempre, indirettamente, da Moqtada Al Sadr è giunto l’«invito a seguire l’esempio della Spagna» rivolto agli altri Paesi che hanno inviato truppe in seno alla coalizione in Iraq. «È bene che lo facciano - è stato chiarito - per proteggere la vita dei loro soldati».
Il giovane leader radicale sciita ha inoltre reso noto di essere favorevole alla presenza di una forza di pace dell’Onu in Iraq, ma solo a certe condizioni. In particolare chiede che sia composta da truppe di Paesi islamici o almeno di Paesi che non hanno partecipato alla guerra e all’occupazione dell’Iraq, come Russia, Francia o Germania. La forza dell’Onu dovrebbe anche «lasciare che il popolo iracheno assicuri la propria protezione assegnando alle sue forze di sicurezza, in particolare alla polizia, la missione di mantenere l’ordine».
Sul terreno si registra la decisione dell’esercito americano di ridurre l’entità delle forze che circondano la città santa sciita di Najaf e di attendere prima di muovere contro il leader sciita ribelle Moqtada Sadr che si trova nella regione. Il colonnello Dana Pittard, comandante della Terza brigata che attualmente si trova fuori da Najaf con 2.500 uomini, ha detto che i suoi uomini saranno ritirati nel giro dei prossimi giorni e sostituiti con circa 2.000 soldati della prima divisione corazzata. Nella zona si sono verificati ieri mattina scontri di una certa entità cui avrebbero partecipato più reparti delle milizie sciite e di dice gruppi armati inviati da alcune tribù. Il negoziato per risolvere la crisi di Najaf assediata non sembra al momento registrare alcun progresso.
La situazione resta abbastanza complessa. Secondo il generale Mark Kimmitt, capo aggiunto delle operazioni Usa in Iraq, la guerriglia irachena potrebbe tentare di sferrare un attacco «spettacolare» entro le due prossime settimane per piegare la volontà delle forze americane. Secondo il generale, diversi gruppuscoli stanno tentando di seminare il terrore nei ranghi della Coalizione con i sequestri di stranieri e attentati con autobombe. «Quello che stanno cercando di fare è creare un clima generale di intimidazione e di ottenere, con la paura, ciò che non sono riusciti ad ottenere con la forza delle armi», ha aggiunto Kimmitt.
La tensione alta continua a provocare vittime. Ieri un corrispondente della catena televisiva satellitare irachena e il conducente della sua automobile sono stati uccisi dalle forze Usa a Samarra, città a nord di Baghdad, sul fiume Tigri. Le circostanze della loro morte, avvenuta probabilmente ad un posto di blocco, non sono state ancora chiarite. Un bilancio stilato dal Pentagono indica, intanto, che i militari americani deceduti in Iraq hanno superato i 700: sono 708, mentre i caduti in combattimento per fuoco nemico hanno superato i 500 e sono 511. I dati del Pentagono indicano che nel fine settimana sono stati uccisi 21 soldati americani e confermano che si avvicina ormai il momento in cui la guerra all'Iraq avrà inflitto alle forze armate degli Stati Uniti il doppio delle perdite della Guerra del Golfo del 1991 (382).
Aprile ha già visto la morte di 110 americani: è il mese di gran lunga più letale della campagna Libertà per l’Iraq, ben peggio dell’aprile di guerra del 2003, quando vi furono 73 caduti, e del novembre del Ramadan, con 82 caduti. Per ritrovare cifre simili bisogna risalire all’inizio dei combattimenti nel marzo 2003, quando, tra il 19 e il 31, ci furono 65 morti. La Casa Bianca, però, continua a sostenere che non si può parlare di recrudescenza dei «maggiori combattimenti», che il presidente George W. Bush dichiarò conclusi il primo maggio dell’anno scorso.
Gli alleati degli Usa in Iraq hanno invece perso, complessivamente, un centinaio di soldati: 58 britannici, 17 italiani, nove spagnoli, cinque bulgari, quattro ucraini, due polacchi, due thailandesi, un danese, un estone e un salvadoregno.
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