Conflitti

ERO UNO SCUDO UMANO

Racconto di Billie Moskon-Lerman giornalista israeliana.
19 maggio 2003
Rosarita Catani

Ho visitato l'inferno e sono ritornata indietro intera. E' successo la
notte tra il 20 ed il 21 marzo 2003, quando ho accompagnato Joe e Laura,
due ventenni, attivisti dell'organizzazione per i diritti umani, i quali
dovevano rivestire la funzione di scudi umani. Quando mi hanno chiesto se
potevo unirmi a loro, ho risposto di si'. Non ho subito realizzato dove
stavo buttando me stessa.

Era la mia prima esperienza sotto il "fuoco": cosi' vicina alla morte,
cosi' anonima, la mia vita cosi' facile, abbandonata nelle loro mani. Non
mi sono mai sentita cosi' indifesa, cosi' debole. Ho detto "sto venendo" e
siamo usciti.

Erano le 19.30, camminavamo per la strada principale di Rafah, una citta'
che e', di fatto, un enorme campo profughi. Camminavamo nell'oscurita',
pioveva, buche e pozzanghere, pezzettini di nylon e plastica sparsi qua e
la', filo spinato e pile d'immondizie. Qui e li' alcuni negozi aperti.
Gruppi di giovani ragazzi ci camminano intorno gridando: "Sa'lam Aleikum,
Sa'lam Aleikum " (E' il saluto arabo che tradotto letteralmente significa
la pace sia con te).

Improvvisamente, uno di loro prende una pietra e la lancia verso di noi. La
pietra vola nell'aria e cade ai nostri piedi. Joe e Laura non sembrano
essere disturbati. "noi rappresentiamo per loro la cultura Americana"
dichiara Laura. Distrattamente, capii che stavamo camminando in direzione
del confine con l'Egitto. Camminavamo verso la casa di Mohammad Jamil Kushta.

Ad un certo punto, dopo dieci minuti di cammino veloce, andammo in un lungo
e stretto viale alla cui fine potevo distinguere un grosso pilastro. Quando
arrivammo vicino vidi che era un'alta torre di guardia. Quando arrivammo
alla torre, Joe e Laura alzarono le loro mani in alto e mi dissero di fare
lo stesso. Feci come mi chiesero e camminavo in direzione della torre di
guardia con le mie ma alzate sulla testa, camminando veloce - ma non troppo
veloce.

I nostri abiti erano arancione fosforescenti, con una striscia argento. Joe
strinse un grosso megafono in una mano e nell'altra una grossa maglietta
fosforescente. Venti metri dalla Torre si poteva vedere, nel buio della
notte, che vi era la facciata di un'altra fortezza - un forte punto
Israeliano esattamente sul confine tra Rafah e l'Egitto.

A pochi passi dalla torre Laura, inaspettatamente, mi spinge in una
piccola, entrata buia e bisbiglia: "Presto, stai qui". Ero in piedi
sull'arco della porta, con un piede sulla strada, i miei occhi gradualmente
si stavano abituando al buio del corridoio. Cinque minuti, e le mie
sopracciglia ebbero un concreto blocco.

Passando sotto l'arco, sono salita su dieci gradini alla cui fine vi era
una porta. Un piccolo suono e la porta si apri', rilevando la faccia
sorridente di Mohammad Kushta. In piedi sulla porta, sorrisi anch'io. Non
ho compreso che lui mi stava aspettando nel mezzo della notte. Non ne avevo
la minima idea.

Muhammad Jamil Kushta, la cui casa siamo venuti a difendere, apri' la porta
a due giovani attivisti per i diritti umani che passarono la notte nella
sua casa le scorse settimane, oltre ad una donna che si e' introdotta come
"Giornalista Francese". La giornalista francese ero io, al momento nessuno
sapeva che io ero un'Israeliana proveniente da Tel Aviv.

"Tfatdal, Tfatdal" (Accomodatevi) lui dice aprendo la porta, seguito dalla
sua giovane moglie Nora che ha in braccio la piccola Nancy. Erano le 20.15
quando il primo sibilo e' partito. Un rumore che ha chiuso le mie orecchie.
Un rumore assordante. Era la prima volta che mi trovavo in una casa che
veniva colpita. Era la prima volta che mi trovavo sotto il fuoco. Ed era la
prima volta che non volevo essere li'. Mi stavo agitando. Il mio corpo era
in fribillazione. Il rumore stava risuonando nelle mie orecchie come
gigantesche palle di fuoco. Lanci, Lanci. Lanci. Adesso capisco cosa
significa quando qualcuno sostiene che ha visto la morte in faccia.

Con il primo scoppio Jamil muove il suo bicchiere da the lentamente. Su e
giu', su e giu'. Nora stringe Nancy e Joe e Laura vanno dal piccolo Ibasan
che dorme in un angolo e da suo fratello Jamil e li coprono. E' passata
un'ora e mezza e per un'ora e mezza il mio corpo era in agitazione.
Guardavo Jamil senza una parola e lui dice: "Vengono e fanno questo ogni
notte. Per due anni e mezzo".

Perche' lanciano questi missili chiedo

Per farci paura. Risponde lui semplicemente.

"Perche' non prendi I tuoi bambini e vai via di qui?" Gli chiedo
controllando la mia tonalita' di voce.

"Perche' non ho soldi" mi risponde. "Non ho soldi per un'altra casa, ogni
centesimo l'ho investito per queste mura, ed ho anche dei debiti".

Un gioco pericoloso

Le scorse settimane Laura e Joe hanno dormito nella casa di Jamil. La casa
si trova proprio vicino al confine con l'Egitto. Venti metri piu' avanti da
questa casa, sono state fatte alte fortificazioni, distrutte tutte le case
a destra ed a sinistra, sostano tank e mortai. Ecco perche' Laura e Joe
dormono nella casa di Jamil. Questa e' la prossima casa che dovra' essere
demolita. Non vi e' altra strada per Jamil e gli attivisti quando le truppe
verranno in questa casa con i loro D-9 bulldozers, e sara' il lavoro di
Laura e Joe cercare di non fare abbattere la casa.

Laura e Joe sono membri dell'ISM.

Ho passato con il gruppo 24 ore, pazze ore, molto frenetiche, ore di fuoco
ed apprensione nelle quali i miei nervi erano a dura prova, il cuore che
batteva all'impazzata sotto i vestiti. Ho capito cosa significa vivere con
la morte per 24 ore. Una cattiva morte. Con armi, tanks e bulldozers
puntati sulla tua casa, la tua stanza da letto, la tua cucina, il tuo
balcone, la tua stanza da pranzo. Nessuna strada per difendersi, nessuna
strada per correre via.

Nel mezzo della notte, guardando i tank e pensando con apprensione quello
che potra' succedere nei prossimi momenti, decido di scoprire le mie carte.
Ho avuto precise istruzioni di non esporre me stessa ad alcun pericolo
perche' i militanti di Hamas avrebbero potuto uccidermi se sapevano di
questa notizia.

Con un filo di voce e prendendo fiato dico: "Signore e Signori, devo
annunciarvi che sono una giornalista di Tel Aviv".

Vi e' un momento di silenzio, poi Jamil parte parlando in ebraico:
"Benvenuta, Benvenuta", Poi in Arabo "

Ahalan Wa'sahalan " Continua il discorso alternando parole in ebraico ed
in arabo. "Ho vissuto per Quattro anni in Herzlia in via Sokolov " lui
continua "Ero il cuoco della shawarma del ristorante Mifgash Ha'Sharon. Ho
lavorato anche in Abba Eban Street a Netanya ed all'Hotel Pituach. Quello
che mi piaceva di piu' erano i gelati alla ciliegia al Ristorante Tel Aviv.
E' ancora aperto?".

Pioggia di munizioni, continuano a cadere in quella sola notte. Una sola
notte per me. La sparatoria continua dall'1.30 fino alle 4.15. Solo dopo si
e' calmata.

Ventiquattro ore ho vissuto sotto la pioggia dei bombardamenti nella citta'
di Rafah, nel campo di Rafah, con i suoi abitanti ed i suoi attivisti
internazionali. La maggior parte delle persone che ho incontrato non
sapevano che ero un'israeliana.

E' molto importante notare questo, perche' le parole che ascoltavo e le
conversazioni non conducevano ad un ping pong israelo-palestinese.

Nessuno mi ha accusata, nessuno ha cercato di convincermi a capire qualcosa
che prima non capivo. Io ero una giornalista europea. Durante queste
ventiquattro ore poteva accadermi qualcosa di terribile, un'irresponsabile
rischio per una persona della mia eta'.

In ogni modo, ora non sono la stessa persona che ero prima di entrare a
Rafah. Una persona che e' diventata piu' vecchia in 24 ore. Adesso capisco
il fascino della guerra per gli uomini.

La storia

Il cielo era grigio quando attraversai il confine per Erez, dopo aver
parlato e fatto vedere I documenti ai soldati i quali dicevano che dovevo
firmare un documento nel quale mi dovevo assumere ogni responsabilita' se
volevo attraversare il confine assolvendo loro da qualsiasi responsabilita'
in caso mi dovesse capitare un'incidente Ho attraversato il filo spinato
con la mia scorta palestinese Talal Abu Rhma.

Abu Rahma prende la foto che simboleggia l'Intifada, la morte del bambino
Mohammad Al Dura ucciso dai soldati israeliani.

Abu Rahma e' un uomo molto impegnato che vive a Gaza e lavora per un
giornale straniero. Lui e' la mia guida ufficiale e mi dice: "Da questo
momento non sei un'ebrea in questo mondo. Il fotografo non deve sapere che
tu sei un'Israeliana. Da questo momento sei una giornalista francese."

Con queste parole in mente entrai nella macchina che ci conduce al Campo di
Rafah, un'ora e mezza di guida da Gaza. Costeggiamo le strade rotte di
Gaza, in direzione di Khan Yuneis e Rafah. "Vedi questi alberghi e questi
ristoranti?" Prima erano pieni di vita. Ora non c'e' piu' niente, rotti ed
abbandonati".

Al checkpoint d'Abu Huly vicino l'insediamento ebraico di Gush Katif, ci
fermiamo. Aspettiamo dai soldati il permesso di procedere. Abu Rahame e'
una persona sensibile, e' nervoso. Fuma una sigaretta dopo l'altra. Il
checkpoint non puo' essere attraversato da una macchina che trasporta piu'
di tre persone all'interno. Sul lato della strada vi sono dei bambini che
stanno aspettando................

Noi aspettiamo. "Qualchevolta si puo' attendere per tre giorni. Dipende
dalla situazione". Ma, adesso, abbiamo ottenuto il permesso dopo un'ora e
mezza. Andiamo, la strada e' bellissima con antichi alberi d'eucalipto
allineati sul bordo.

..............e poi arriviamo al Campo di Rafah. Puoi, audacemente,
chiamare questo posto, con 140.000 persone, una citta'. I palestinesi sono
unanimi nel dire che questo e': "Il piu' povero, piu' miserabile, piu'
pericoloso posto di tutti i 250 abitanti uccisi durante l'Intifada, piu' di
400 case distrutte. La meta' delle persone uccise sono bambini".

Quando sono entrata nell'appartamento usato dagli "internazionali", ho
pensato che qui, specialmente, non dovro' essere identificata come
israeliana. Israeliano, per questi giovani persone, rappresenta il diavolo,
d'Israele loro conoscono: demolizioni di case, uccisioni brutali,
bulldozers, missili, tank, umiliazione, angherie e poverta'.

Le giovani persone che sono nella stanza sono tranquille, pensando
d'incontrare e di comunicare con una giornalista francese. Sono stanchi dei
media, che non riporta completamente la morte dei loro amici, non sono
particolarmente ansiosi di rispondere a delle domande ed a loro non
interessa particolarmente che ho solo due ore. Guardo il piede nervoso
della mia scorta.

"Ritorni domani" gli chiedo. Dopo un piccolo scambio di parole, nel quale
prometto di prendere tutte le precauzioni necessarie, lui mi saluta con un
punto di disapprovazione stampato sulla sua faccia. Joe Smith, l'unico
membro del gruppo che parla realmente con me, mi chiede di andare insieme
all'internet cafe' e qui mi chiede di unirmi all'ISM.

Smith ha ventuno anni e viene dal Kansas City. A scuola ha letto libri che
riguardavano il lavoro dei pacifisti ed e' rimasto entusiasta dell'idea.
Svolge un corso di scienze politiche con il Prof. Steve Naber, legge Marx
ed ha realizzato che il suo status come maschio bianco, con privilegi e' al
top della piramide. Veniva dalla Slovacchia, dove si e' unito a gruppi
anti-global ed ha deciso quello che vuole fare della sua vita, dedicarsi a
questo lavoro nel quale non ci sono piu' i privilegi che lui ha avuto fino
ad ora. In particolar modo, vuole cancellare la forte dittatura del suo
nuovo Governo.

Mentre parlavano all'Internet cafe' nel centro della citta', che ho
incontrato Mohammad, il quale non voleva rilevare la propria identita'
completa ad una giornalista francese "perche' vi sono molte spie qui
intorno", ma che insiste che io veda e legga il suo diario online e guardi
le foto che ha messo sul sito www.rafah.vze.com.

Mohammad ha diciotto anni e studia la lingua inglese all'universita'. Ho
deciso che potrebbe farmi da interprete e da scorta a Rafah. Lascio Joe al
computer e cammino con Mohammad per Salah A Dn Stret.

"Dovresti comprarti una Keffiya e coprirti i capelli. Queste strade non
sono molto sicure. Immediatamente seguo il suo consiglio. Ci fermiamo al
primo negozio e compro una Keffiya, fermiamo un taxi che si prende 50
shekels per un giro di un'ora e mezza intorno la citta'".

Immediatamente mi chiede se sono una giornalista straniera che e' venuta a
visitare la citta' per sapere quello che stava succedendo qui. Il tassista
mi dice che e' stato lui a prendere Rachel Corrie quando e' morta quella
mattina.

Il primo posto che Mohammad mi fa visitare e' a Block G. a nord della
citta', dove 400 case sono state distrutte. Avvicinandoci, vediamo che gli
abitanti vivono in tende. Veniamo chiusi dai tank con i loro cannoni
diretti su di noi.

!Quando vedono qualcosa muoversi sparano", una donna su un somari grida a
Mohammad. Il resto della strada lo percorriamo a piedi sotto la pioggia. I
tank sono a 200 metri, i loro cannoni sono pronti.

E' importante che Mohammed mi abbia mostrato il luogo della massa di case
demolite. Lui ha fotografato casa dopo casa e le ha inserite nel suo sito
internet, che viene visitato da 900 persone da tutto il mondo.

"Possono sparare in qualsiasi momento, ad ogni movimento sospetto".
Finalmente, quando siamo abbastanza vicini al tank e la pioggia inizia a
cadere fortemente, dico: "E' abbastanza". Ci dirigiamo verso il taxi ed
andiamo.

La prossima destinazione e' al-Ubur Airfield che e' stata distrutta dagli
F-16, poi la casa dove e' stata uccisa Rachel Corrie ed il piccolo ospedale
con due autoambulanze che corrono costantemente. Tutte le cose le vediamo
ad una distanza di 100 metri perche' possono sparare in qualsiasi momento.

Dopo due e mezzo entriamo in un piccolo ristorante ed ordiniamo un panino
con hommos ed una coccola, tutto per quattro shekels e mezzo (meno di un
dollaro, meno della meta' di quello che si paga a Tel Aviv).

"Dove vivi" gli chiedo. "Mi muovo con i miei genitori in case differenti.
Due mesi fa hanno distrutto la nostra casa. Io tornavo dall'Universita' e
non ho trovato piu' nulla. Il computer, i libri, gli appunti, il mio
materiale di studio. Non c'era piu' nulla. Vengono e distruggono ogni cosa
senza avvisare, non danno neanche la possibilita' di portare qualcosa
fuori. Adesso siamo per la strada. Io, mio padre, mia madre, tre fratelli,
mio nono. E guardandomi dichiara alla "giornalista francese"."Non hanno
nessun motivo. Noi siamo una famiglia normale, non abbiamo mai fatto nulla.
Hanno distrutto la nostra vita in un'ora".

Guardo Mohammad parlare. Solo ora, dopo aver visto 400 case distrutte,
realmente, capisco il suo dolore. Mohammad mi riporta all'internationals. I
ragazzi vanno a portare le loro condoglianze alla famiglia di una persona
uccisa nello stesso giorno di Rachel. Non mi chiedono di unirmi a loro.

Nelle case delle famiglie dove sono stata, dove mi sono seduta ed ho bevuto
un caffe' nero ed ho mangiato, non ho mai ascoltato la parola israeliano.
La parola "soldati" veniva raramente usata. I palestinesi usualmente e
semplicemente dicono "essi". Durante le 30 ore che ho vissuto li' non ho
mai visto un solo goccio di sangue dei soldati israeliani.

............................................Sono le 19.30 quando con Laura
e Joe andiamo alla casa di Mohammad Jamil Kushta. Nella sua casa, sotto il
fuoco dei missili, nel cuore della notte che io rilevo di essere una
giornalista israeliana. Poi dico che potrebbe essere mio figlio uno dei
soldati che ci sta bombardando, non sapendo che io sono li' in quella casa,
oppure uno degli amici di mio figlio, uno che e' ha visitato casa mia.

Tre bambini, due americani, un palestinese ed una donna israeliana intorno
ad una grande ciotola di salatini, con le pallottole che volavano
nell'aria, siamo scoppiati a ridere.

Una risata di disperazione, di apprensione di calore umano. Pensavo ancora
di scappare via, ma Jamil e Nora non sono fuggiti, vivono in quella
situazione sotto i bombardamenti con i loro tre bambini.

.......e poi Laura apre la sua bocca e rileva di essere ebrea, anch'essa un
ebrea osservante.........e dichiara che la fiera Alice, del gruppo di
Giovanna d'Arco, e' un'ebrea anch'essa.

"Ed I soldati" afferma Jamil, vi sono ragazzi di vent'anni, bambini che
sono stati buttati li' fuori, nel buio"

Siamo tutti d'accordo: la vita e' breve e gli essere umani sono delle
stupide creature.

Note: Rosarita Catani e' una reporter indipendente che invia i suoi resoconti da Amman, Giordania, raccontando da un punto di osservazione privilegiato cosa accade in Iraq e in medio oriente. I suoi report - pubblicati regolarmente sul sito www.peacelink.it - sono utilizzabili liberamente previa citazione della fonte e dell'autrice
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