Conflitti

Le “bombe intelligenti” di fabbricazione israeliana sono state impiegate dall’aviazione indiana

L’importante ruolo di Israele nell’escalation del conflitto tra India e Pakistan

Da mesi Israele è assiduamente impegnata in un allineamento con il governo nazionalista indiano
18 marzo 2019
Robert Fisk
Tradotto da Stefano Gubian per PeaceLink
Fonte: counterpunch.org - 05 marzo 2019

Photograph Source International Borders La prima volta che ho sentito il notiziario, ho pensato che si trattasse di un raid aereo di Israele su Gaza, o sulla Siria. Le prime parole facevano riferimento ad attacchi aerei su un “campo di terroristi”, a un “centro di comando e controllo” distrutto e all’uccisione di molti terroristi. Stando al racconto si trattava di una rappresaglia dei militari in seguito a un “attacco terrorista” contro le loro truppe.

Una base di “jihadisti” islamici era stata eliminata. Poi ho sentito il nome di Balakot, e mi sono reso conto che si non trattava né di Gaza né della Siria, e nemmeno del Libano: stavano parlando del Pakistan. Che strano. Come si possono confondere Israele e l’India?
Meglio non lasciar svanire l’idea e riflettere. Quattromila chilometri separano il ministero della difesa di Israele di Tel Aviv da quello indiano di New Delhi, ma c’è un motivo per cui le note d’agenzia, già di per sé tendenti generalmente al cliché, suonano in modo tanto simile.

Da mesi Israele è assiduamente impegnata in un allineamento con il governo nazionalista indiano guidato dal partito BJP verso una tacita, e politicamente pericolosa, coalizione “anti-islamista”, un’alleanza non ufficiale e non riconosciuta, mentre l’India stessa è ormai divenuta il mercato più importante per il commercio delle armi israeliane.
Non è un caso quindi che la stampa indiana abbia appena sbandierato il fatto che le “bombe intelligenti” Rafael Spice-2000 di fabbricazione israeliana siano state impiegate dall’aviazione indiana nel suo attacco contro i “terroristi” di Jaish-e-Mohammed (JeM) all’interno del Pakistan.

Come molti degli attacchi verso obiettivi analoghi di cui Israele è solita vantarsi, le motivazioni dell’avventura indiana in Pakistan potrebbero essere più una questione di immagine che di successo militare. Alla fine si potrebbe persino scoprire che i “300-400 terroristi” presumibilmente eliminati dalle bombe a guida satellitare prodotte e fornite da Israele erano per la maggior parte rocce e alberi.

La selvaggia imboscata del 14 febbraio ai danni dell’esercito indiano nel Kashmir, rivendicata da JeM e costata la vita a 40 soldati indiani, è invece stata tutt’altro che irreale. Lo stesso dicasi per l’abbattimento di almeno un jet indiano questa settimana.
Nel 2017 l’India è stata la principale acquirente di armi da Israele, con un investimento di 530 milioni di sterline in difesa aerea, sistemi radar e munizioni di fabbricazione israeliana, compresi i missili aria-terra, la maggior parte dei quali testati durante le offensive militari israeliane contro i palestinesi e diversi obiettivi in Siria.

Israele stessa sta cercando di trovare una giustificazione per la sua continua vendita di carri armati, armi e navi alla dittatura militare del Myanmar, mentre le nazioni occidentali impongono sanzioni al governo che ha tentato di eliminare la minoranza Rohingya, in gran parte musulmana. Ma il commercio di armamenti di Israele con l’India è legale, alla luce del sole e molto propagandato da entrambe le parti.

Gli israeliani hanno filmato le esercitazioni congiunte delle loro unità “commando speciale” e di quelle inviate dall’India per essere addestrate nel deserto del Negev, occasione in cui è emersa ancora una volta tutta l’esperienza probabilmente acquisita da Israele a Gaza e su altri fronti caratterizzati dalla presenza di una gran numero di civili.

Almeno 16 commando indiani “Garud”, appartenenti a una delegazione militare indiana forte di 45 unità, per un certo periodo sono stati di stanza presso le basi aeree di Nevatim e Palmachim in Israele. In occasione della sua prima visita in India dello scorso anno, preceduta da un viaggio in Israele del primo ministro nazionalista indiano Narendra Modi, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ricordato gli attacchi di matrice islamica del 2008 a Mumbai in cui furono uccisi quasi 170 civili. “Indiani e israeliani conoscono fin troppo bene il dolore degli attacchi terroristici”, ha detto a Modi. “Ci ricordiamo dell’orrenda barbarie di Mumbai. Stringiamo i denti, rispondiamo, non arrendiamoci mai”. Su questi toni è stato anche il discorso del BJP.

Diversi commentatori indiani, tuttavia, hanno avvertito che il sionismo di destra e il nazionalismo di destra del governo Modi non dovrebbero diventare il principale fondamento della relazione tra i due paesi, che hanno entrambi combattuto l’impero britannico, anche se in modi diversi.

La ricercatrice di Bruxelles Shairee Malhotra, il cui lavoro è stato pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz, ha messo in luce che l’India è al terzo posto a livello mondiale, dopo Indonesia e Pakistan, come presenza di popolazione musulmana, con oltre 180 milioni di persone. “La relazione tra India e Israele inoltre viene comunemente inquadrata nei termini di una naturale convergenza di idee tra i rispettivi partiti al governo, BJP e Likud”, ha scritto lo scorso anno.

I nazionalisti indù avevano costruito una “narrazione degli indù come storicamente vittime dei musulmani”, un’idea attraente per quegli indù che si richiamano alla divisione e alle relazioni perennemente turbolente con il Pakistan.

Infatti, come sottolineato da Malhotra in Haaretz, “i principali sostenitori di Israele in India sembrano essere gli ‘indù di Internet’, che principalmente amano Israele per il modo in cui tratta la Palestina e combatte i musulmani”.

Malhotra ha condannato il professore della Carleton University Vivek Dehejia per la sua richiesta di un’alleanza “tripartita” tra India, Israele e Stati Uniti giustificata dalla comune sofferenza “per il flagello del terrorismo islamico”.

In realtà, alla fine del 2016 erano solo 23 gli uomini che avevano lasciato l’India per combattere a fianco dell’Isis nel mondo arabo, mentre il Belgio, con una popolazione di solo mezzo milione di musulmani, aveva prodotto quasi 500 combattenti.

La tesi di Malhotra è che la relazione tra India e Israele dovrebbe essere pragmatica più che ideologica.

È però difficile capire come il nazionalismo sionista possa non filtrare nel nazionalismo indù quando Israele continua a fornire così tante armi all’India, e quando proprio la stessa India, che gode di relazioni diplomatiche con Israele dal 1992, utilizza queste armi contro gli islamici in Pakistan, come avvenuto con le ultime forniture.

L’adesione alla “guerra al terrore”, in particolare il “terrore di matrice islamica”, potrebbe sembrare una scelta naturale per due stati costruiti sulla divisione coloniale e la cui sicurezza è minacciata dai vicini islamici.

In entrambi i casi, la loro lotta è per il diritto di possedere o occupare un territorio. Israele, India e Pakistan sono tutti in possesso di armi nucleari. Un altro valido motivo per impedire che Palestina e Kashmir intreccino relazioni. E per lasciare soli i 180 milioni di musulmani indiani.

Note: Robert Fisk scrive per The Independent, testata in cui questo articolo è apparso originariamente.
Tradotto da Stefano Gubian per PeaceLink. Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte (PeaceLink) e l'autore della traduzione.

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