Trump messo sotto scacco da 20 pacifisti
assediano l'edificio, cercando di impedire la consegna di viveri e di medicine. Ma il Collettivo degli occupanti tiene duro.
I retroscena: il 5 febbraio 2019, per dare maggiore credibilità alle pretese di Juan Guaidò, un politico quasi sconosciuto che si era autoproclamato capo di stato del Venezuela pochi giorni prima (il 23 gennaio), il presidente Trump e il Segretario di Stato Pompeo hanno accolto a Washington, con pompa magna, un suo "sostituto ambasciatore" (chargé d'affaires). Contestualmente, hanno radiato dall'albo degli ambasciatori quello nominato ufficialmente nel 2014 da Nicolas Maduro, eletto presidente del Venezuela nel 2013 e riconfermato l'anno scorso.
Il “sostituto ambasciatore” si chiama Carlos Vecchio. Partecipò al golpe fallito contro l'allora presidente venezuelano Hugo Chavez nel 2002 ed è poi fuggito dal Venezuela negli Stati Uniti dopo aver partecipato ad un golpe contro il suo successore Maduro, fallito anch'esso, in febbraio del 2014.
Ma Vecchio non ha potuto prendere possesso dell'ambasciata a Washington perché il governo Maduro, rimasto legalmente il proprietario dell'edificio, ha rifiutato di consegnarne le chiavi e, in virtù della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche (1961), Trump non può entrare con la forza nelle ambasciate dislocate sul territorio statunitense.
Non solo, ma il governo Maduro ha consegnato le chiavi dell'ambasciata agli attivisti di quattro note associazioni antimperialiste negli Stati Uniti: CodePink, Answer, Popular Resistance e Black Alliance for Peace.
Il 10 aprile, una ventina di loro, d'intesa con il governo Maduro, ha cominciato un "live-in" nell'ambasciata. Vale a dire, gli attivisti vivono (live) nella sede diplomatica, giorno e notte. Questa presenza, peraltro, non essendo stata contestata giuridicamente per un mese intero, dà agli occupanti "tenancy rights" (diritto di permanenza) secondo le leggi di Washington DC. In altre parole, non possono essere rimossi dalle forze dell'ordine fin quando non verrà celebrato un processo che dimostri l'illegalità della loro occupazione. Una illegalità difficile da dimostrare, dal momento che il titolare legale dell'edificio approva la loro permanenza.
Naturalmente, Trump potrebbe chiedere ad un tribunale di riconoscere il "sostituto ambasciatore" come il vero titolare dell'edificio e poi, se egli lo chiede, di dichiarare sfrattati gli occupanti; ma per fare ciò ci vorrebbero due processi civili distinti che durerebbero molti mesi.
Nel frattempo, il Collettivo degli occupanti non se ne è stato con le mani in mano: anzi, è passato all'attacco. Attraverso una avvocata del "Soccorso Rosso" statunitense, ha diffidato la polizia e gli agenti federali da qualsiasi tentativo di sgombero di propria iniziativa, minacciando, in caso contrario, una azione legale contro i funzionari federali ai sensi della legge 42 USC 1983/Bivens.
Trump e Pompeo pensavano di poter entrare in possesso dell'ambasciata con un blitz rapido e senza testimoni. Invece ora, per farlo, dovranno aspettare due sentenze oppure ordinare ai loro agenti di sfondare comunque la porta dell'ambasciata venezuelana e di trascinare fuori gli attivisti davanti alle telecamere, pronte a documentare una palese violazione delle leggi statunitensi e internazionali. Che brutta figura, per un paese che pretende di dare lezioni di democrazia al Venezuela!
Per cui, le forze dell'ordine – almeno per ora – sono ferme.
Scacco.
La contromossa di Trump e Pompeo non si è fatta aspettare. Il 30 aprile sono apparsi all'improvviso bande di squadristi venezuelani pro-Guaidò che, da allora, tentano continuamente di sfondare le porte e di intimidire gli attivisti, anche picchiandoli, mentre la polizia guarda dall'altra parte. Alcuni hanno montato delle tende sul marciapiede dove si riparano la sera per poter fare incursioni durante la notte. Ma senza successo: le donne e gli uomini dentro l'Ambasciata evidentemente si sono preparati bene; dieci giorni sono passati e ogni attacco continua ad essere puntualmente respinto. Anzi, ora sono gli squadristi ad essere sfiancati e a diradarsi.
Un nuovo scacco.
La successiva contromossa di Trump e Pompeo, quella tuttora in corso, è simile a ciò che i due fanno da tempo contro l'intera popolazione del Venezuela: bloccare l'arrivo di viveri e di medicine nella speranza che la gente si arrenda per fame o per sfinimento. "Chi esce dall'ambasciata per rifornimenti, non potrà più tornare dentro" ha tuonato il comandante della polizia municipale con il suo megafono. Inoltre, il 9 maggio, per impedire ogni comunicazione tramite cellulare o pc, le autorità hanno tolto la corrente all'edificio. Potrebbero anche interrompere l'acqua: qualcuno ha avvistato operai al lavoro nei tombini lungo la 30esima strada NW, dove ha sede l'ambasciata.
Il Collettivo degli occupanti dice di aver previsto la mancanza di corrente e d'acqua e di avere già pronte le contromisure. Per i viveri e le medicine, le CodePink di riserva, rimaste fuori, insieme ai loro numerosi sostenitori, lanciano ogni giorno dal marciapiede, attraverso le finestre aperte, sacchi di provviste. In un primo tempo, esasperato, il comandante della polizia ha fatto arrestare una delle coordinatrici delle CodePink, Ariel Gold, mentre lanciava una pagnotta attraverso una finestra aperta. L'imputazione: "lancio di missili". (In inglese, un "missile" può essere qualsiasi oggetto aerodinamico lanciato in aria e Ariel ha effettivamente lanciato delle forme di pane allungate, tipo baguette francese). L'avvocata di "Soccorso Rosso" ha potuto far annullare sia l'arresto che l'imputazione in giornata, tanto erano ridicoli.
Scacco matto.
Questa compilation dei video girati dagli attivisti fa vedere i diversi momenti.
Che dire? I tentativi di sgombero dell'ambasciata messi in atto da Trump e da Pompeo si sono sgretolati, uno dopo l'altro, come i loro tentativi, in Venezuela, di rovesciare il governo Maduro con il cavallo di Troia degli aiuti umanitari o con le manifestazioni davanti alle caserme per coinvolgere i militari: un nulla di fatto, ogni volta. Anzi, le iniziali reazioni scomposte dei poliziotti intorno all'ambasciata, oltre a quel verbale con l'imputazione di "lancio di missili", dimostrano che l'intera vicenda ha ormai assunto una piega grottesca, farsesca e (per Trump e Pompeo) tragica.
Come succede al crepuscolo di ogni impero.
Vi terremo aggiornati.
Immaginate, ad esempio, se alcuni attivisti curdi avessero occupato l'ambasciata turca a Washington, per impedire l'insediamento di un ambasciatore la cui nomina viene ritenuta pretestuosa. O se alcuni gilet gialli avessero occupato l'ambasciata francese. I mass media non parlerebbero d'altro!
E perché non in questo caso?
Quali dubbi non si vuole che vi vengano, riguardo la narrazione dominante sul Venezuela?
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