Arcobaleni a San Pietro
Il corteo è ancora là, in fondo a via della Conciliazione, le bandiere arcobaleno si scorgono da lontano. Dentro piazza San Pietro attendono il vescovo di Bari Francesco Cacucci, quello di Prato Gastone Simoni e il vicario della diocesi di Cesena, Silvano Ridolfi. Squillano i telefonini. Ecco l'ordine di aprire le transenne. Diventa ormai inutile il palco allestito all'esterno, tutti potranno entrare nell'arena del Papa, dietro i familiari degli ostaggi, anche quel lenzuolone della pace che poco più di un anno fa, alla vigilia della guerra, aveva dovuto fermarsi fuori. I colori pacifisti, in questi mesi, si sono visti spesso sotto le finestre di Giovanni Paolo II, sulle spalle dai fedeli. Ma è senza precedenti la decisione di spalancare piazza San Pietro ad una manifestazione composita per fede e cultura, con esponenti di sinistra presenti ed altri di destra assenti. Aveva detto il cardinale Martino che quando si tratta di salvare vite umane «bisogna evitare alchimie e ripicche politiche». D'altra parte, è nuovo anche lo spettacolo di questo corteo che avanza. Gente commossa che manifesta per la prima volta a fianco di pacifisti laici e cattolici che hanno invece chilometri nelle gambe. Manifestanti senza insegne di partito o movimento e capaci di un silenzio impressionante quando è il momento; molti non credenti che assistono con rispetto alla recitazione di un'intera posta del Rosario. Se non ci fosse stato il movimento contro la guerra e se il Papa, malgrado le cautele e gli arretramenti della gerarchia, non fosse entrato in sintonia con questo sentimento profondo che anima il mondo, una giornata come oggi sarebbe stata inimmaginabile. E contano pure i delicati rapporti della Chiesa con i paesi arabi e musulmani: si è opposta alla guerra, è impegnata nei tentativi di mediazione umanitaria, che certo non possono riuscire ad un governo complice di Bush, e soprattutto non perde occasione per un dialogo con l'Islam. In prima fila c'è monsignor Hilarion Capucci, il vescovo melkita palestinese. «Siamo qui - afferma - per la liberazione degli ostaggi ma anche per la fine della guerra in Iraq e pure in Palestina».
Per il Vaticano quella di oggi è una scelta ponderata e lungimirante. La folla viene accolta fino a metà piazza dove, a leggere il messaggio di Giovanni Paolo II, è il suo "ministro degli esteri" Giovanni Lajolo. Segno preciso: sono mobilitati i vertici. Manca il cardinale Ruini, è vero, ma la Conferenza episcopale italiana non lascia soli i vescovi delle città dei tre rapiti. Ecco infatti il segretario della Cei, Giuseppe Betori, tra i prelati che vanno incontro al corteo per abbracciare i familiari. Scatto fotografico d'eccezione quello che immortala i presuli a fianco di don Luigi Ciotti, Flavio Lotti coordinatore della Tavola della pace e Mario Marazziti della Comunità Sant'Egidio. Ne seguono altri a non finire. Vicino al Colonnato Bertinotti è attorniato di folla. Sotto l'alta stele che ammonisce in latino «Ecco la croce, fuggite parti avverse», c'è chi prega e chi resta silenzioso. Vittorio Agnoletto segue la lettura del testo papale. Non è per niente stupito di quanto sta accadendo. «Il Papa - ci dice - è stato parte integrante della volontà di pace. Qui l'impegno umanitario si mescola a quello pacifista, che non sono separabili. Semmai questa manifestazione ha un valore in più».
E' in nome delle vite da salvare che il Papa lancia un messaggio più ampio per la pacificazione e per la stessa indipendenza dell'Iraq. Le prime parole puntano dritte ai rapitori. «In nome dell'unico Dio che tutti ci giudicherà», Giovanni Paolo II rinnova «la sua pressante supplica di voler ridare prontamente le persone rapite alle famiglie». Il Papa, oltre ad esprimere vicinanza ai parenti «in questo momento di apprensione e di angoscia», desidera che «giunga agli ostaggi l'espressione dei suoi sentimenti» affinché siano incoraggiati nella «loro dura prova». «Non dubito - continua il pontefice - che si faccia tutto il possibile e non si lasci nulla di intentato» per la loro liberazione. Le tv al-Arabiya e Al Jazira trametteranno queste parole del Papa e quelle che seguono, sottolineate da un applauso. Wojtyla ringrazia «quanti operano per ristabilire in Iraq un clima di riconciliazione e di dialogo in vista del recupero della piena sovranità e indipendenza del Paese in condizioni di sicurezza per la popolazione» ed esorta i cattolici e i cristiani iracheni «a continuare ad operare perché sia ristabilita un'atmosfera di concordia tra tutte le componenti religiose e sociali per il bene comune».
Era atteso un gesto del Papa dopo l'appello dei familiari per questa manifestazione. Giovanni Paolo II non si affaccia al balcone ma fa sapere che ha celebrato la messa all'alba. Adesso sta pregando «per gli ostaggi detenuti e - come precisa Lajolo - per tutti quelli che soffrono in quel Paese»: è un inciso che allarga lo sguardo oltre gli occhi lucidi dei familiari e parla anche delle vittime della guerra.
Qualcuno grida «Il Papa vada in Iraq». Risponde un grande coro «Pace, pace». I parenti dei tre italiani lasciano la piazza diretti a Palazzo Chigi. Là non troveranno arcobaleni.
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