Conflitti

Il 5 marzo 2014, sul Washington Post, Henry Kissinger scriveva questo profetico articolo

Henry Kissinger: "L'Ucraina non dovrebbe aderire alla NATO"

L'ex segretario di Stato americano proponeva la neutralità sul modello Finlandia e concludeva così: "Se non si raggiunge una soluzione basata su questi o altri elementi comparabili, la deriva verso lo scontro è destinata a precipitare".
9 maggio 2022
Redazione PeaceLink
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: WASHINGTON POST 5 marzo 2014

Kissinger

Questo profetico articolo, ancor oggi illuminante, fu scritto da Kissinger ai primi di marzo del 2014, pochi giorni dopo la caduta del presidente filorusso Yanukovich, e durante il processo di occupazione russa della Crimea che portò di lì a poco al referendum che ne sancì l'annessione alla Russia.

 

WASHINGTON POST

5 marzo, 2014

 

Henry Kissinger: per risolvere la crisi dell'Ucraina, partire dalla fine.

di Henry A. Kissinger

 

Henry A. Kissinger è stato ministro degli Esteri degli Stati Uniti dal 1973 al 1977.


            La discussione pubblica sull'Ucraina è tutta imperniata sulla contrapposizione [con la Russia]. Ma sappiamo dove stiamo andando? Nella mia vita ho visto iniziare quattro guerre con grande entusiasmo e sostegno pubblico, tutte guerre che non sapevamo come finire e da tre delle quali ci siamo ritirati unilateralmente. Il test della politica è come finisce, non come inizia.
            Troppo spesso la questione ucraina viene presentata come una resa dei conti: se l'Ucraina si unisce all'Est o all'Ovest. Ma se l'Ucraina vuole sopravvivere e prosperare, non deve essere l'avamposto di nessuna delle due parti contro l'altra: dovrebbe fungere da ponte tra di loro.
La Russia deve riconoscere che tentare di costringere l'Ucraina a diventare un satellite, e quindi spostare di nuovo i confini della Russia, condannerebbe Mosca a ripetere la sua storia di pressioni reciproche in rapporto ad Europa e Stati Uniti, che si avvitano in cicli capaci di autoriprodursi senza fine.
            L'Occidente deve capire che, per la Russia, l'Ucraina non può mai essere un semplice paese straniero. La storia russa iniziò in quella che fu chiamata Rus di Kiev. Da lì si diffuse la religione russa. L'Ucraina è stata parte della Russia per secoli e le loro storie si sono intrecciate ancor prima di allora. Alcune delle battaglie più importanti per la libertà russa, a cominciare dalla battaglia di Poltava nel 1709, furono combattute sul suolo ucraino. La flotta del Mar Nero, lo strumento della Russia per proiettare potere nel Mediterraneo, ha sede a Sebastopoli, in Crimea, con un contratto di affitto a lungo termine. Anche famosi dissidenti come Aleksandr Solzhenitsyn e Joseph Brodsky hanno insistito sul fatto che l'Ucraina fosse parte integrante della storia russa e, in effetti, della Russia.
            L'Unione europea deve riconoscere che la sua dilatorietà burocratica e la subordinazione dell'elemento strategico alla politica interna nel negoziare le relazioni dell'Ucraina con l'Europa hanno contribuito a trasformare un negoziato in una crisi. La politica estera è l'arte di stabilire le priorità.
            Gli ucraini sono l'elemento decisivo. Vivono in un paese con una storia complessa e una composizione poliglotta. La parte occidentale fu incorporata nell'Unione Sovietica nel 1939, quando Stalin e Hitler si divisero il bottino. La Crimea, la cui popolazione è per il 60 per cento russa, divenne parte dell'Ucraina solo nel 1954, quando Nikita Khrushchev, ucraino di nascita, gliela assegnò come parte delle celebrazioni del 300° anno di un accordo russo con i cosacchi. L'ovest è in gran parte cattolico; l'est in gran parte russo-ortodosso. L'occidente parla ucraino; l'est parla principalmente russo. Qualsiasi tentativo da parte di un'ala dell'Ucraina di dominare l'altra - come è stato finora - porterebbe alla fine alla guerra civile o alla divisione del paese. Trattare l'Ucraina come parte di un confronto est-ovest farebbe affondare per decenni qualsiasi prospettiva di portare la Russia e l'Occidente, e in particolare Russia ed Europa, in un sistema internazionale cooperativo.
            L'Ucraina è indipendente da soli 23 anni; in precedenza era stata sotto varie forme di dominio straniero sin dal XIV secolo. Non sorprende che i suoi leader non abbiano imparato l'arte del compromesso, tanto meno della prospettiva storica. La politica dell'Ucraina post-indipendenza dimostra chiaramente che la radice del problema risiede nei tentativi dei politici ucraini di imporre la loro volontà alle parti recalcitranti del paese, prima da parte di una fazione, poi dell'altra. Questa è l'essenza del conflitto tra Viktor Yanukovich e la sua principale rivale politica, Yulia Tymoshenko.
Rappresentano le due ali dell'Ucraina e non sono stati disposti a condividere il potere. Una saggia politica degli Stati Uniti nei confronti dell'Ucraina cercherebbe di fare in modo che le due parti del paese cooperino tra loro. Dovremmo cercare la riconciliazione, non il dominio di una fazione.
            La Russia e l'Occidente, e meno di tutte le varie fazioni in Ucraina, non hanno agito secondo questo principio. Ognuno ha peggiorato la situazione. La Russia non sarebbe in grado di imporre una soluzione militare senza isolarsi in un momento in cui molti dei suoi confini sono già precari. Per l'Occidente, la demonizzazione di Vladimir Putin non è una politica; è un alibi per l'assenza di una politica.
            Putin dovrebbe rendersi conto che, quali che siano i torti che lamenta, una politica di imposizioni militari produrrebbe un'altra Guerra Fredda. Da parte loro, gli Stati Uniti devono evitare di trattare la Russia come un soggetto aberrante a cui insegnare pazientemente le regole di condotta stabilite da Washington. Putin è uno stratega serio, nei termini della storia russa. Comprendere i valori e la psicologia degli Stati Uniti non è il suo forte. Né la comprensione della storia e della psicologia russe è stata un punto di forza dei politici statunitensi.
            I leader di tutte le parti dovrebbero tornare a esaminare i risultati possibili, non prendere atteggiamenti competitivi. Questa è la mia idea di un risultato compatibile con i valori e gli interessi di sicurezza di tutte le parti:
            1. L'Ucraina dovrebbe avere il diritto di scegliere liberamente le sue associazioni economiche e politiche, anche con l'Europa.
            2. L'Ucraina non dovrebbe aderire alla NATO, una posizione che ho preso sette anni fa, l'ultima volta che si pose la questione.
            3. L'Ucraina dovrebbe essere libera di creare qualsiasi governo compatibile con la volontà espressa dal suo popolo. Fossero saggi, i leader ucraini opterebbero quindi per una politica di riconciliazione tra le varie parti del loro paese. A livello internazionale, dovrebbero perseguire un atteggiamento paragonabile a quello della Finlandia. Quella nazione non lascia dubbi sulla sua fiera indipendenza e coopera con l'Occidente nella maggior parte dei campi, ma evita accuratamente l'ostilità istituzionale nei confronti della Russia.
            4. L'annessione della Crimea da parte della Russia è incompatibile con le regole dell'ordine mondiale esistente. Ma dovrebbe essere possibile porre le relazioni della Crimea con l'Ucraina su basi meno problematiche. A tal fine, la Russia riconoscerebbe la sovranità dell'Ucraina sulla Crimea. L'Ucraina dovrebbe rafforzare l'autonomia della Crimea nelle elezioni che si terranno alla presenza di osservatori internazionali. Il processo includerebbe la rimozione di qualsiasi ambiguità sullo stato della flotta del Mar Nero a Sebastopoli.
            Questi sono principi, non prescrizioni. Le persone che hanno familiarità con la regione sapranno che non tutti saranno appetibili a tutte le parti. L'obiettivo non può essere la soddisfazione assoluta, ma una equilibrata insoddisfazione. Se non si raggiunge una soluzione basata su questi o altri elementi comparabili, la deriva verso lo scontro è destinata a precipitare. Il momento arriverà abbastanza presto.

 

Traduzione (e neretto) di Alberto Cacopardo

 

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WASHINGTON POST

 

Henry Kissinger: To settle the Ukraine crisis, start at the end

 

By Henry A. Kissinger

March 5, 2014

Henry A. Kissinger was secretary of state from 1973 to 1977.

 

Public discussion on Ukraine is all about confrontation. But do we know where we are going? In my life, I have seen four wars begun with great enthusiasm and public support, all of which we did not know how to end and from three of which we withdrew unilaterally. The test of policy is how it ends, not how it begins.

Far too often the Ukrainian issue is posed as a showdown: whether Ukraine joins the East or the West. But if Ukraine is to survive and thrive, it must not be either side’s outpost against the other — it should function as a bridge between them.

Russia must accept that to try to force Ukraine into a satellite status, and thereby move Russia’s borders again, would doom Moscow to repeat its history of self-fulfilling cycles of reciprocal pressures with Europe and the United States.

The West must understand that, to Russia, Ukraine can never be just a foreign country. Russian history began in what was called Kievan-Rus. The Russian religion spread from there. Ukraine has been part of Russia for centuries, and their histories were intertwined before then. Some of the most important battles for Russian freedom, starting with the Battle of Poltava in 1709 , were fought on Ukrainian soil. The Black Sea Fleet — Russia’s means of projecting power in the Mediterranean — is based by long-term lease in Sevastopol, in Crimea. Even such famed dissidents as Aleksandr Solzhenitsyn and Joseph Brodsky insisted that Ukraine was an integral part of Russian history and, indeed, of Russia.

The European Union must recognize that its bureaucratic dilatoriness and subordination of the strategic element to domestic politics in negotiating Ukraine’s relationship to Europe contributed to turning a negotiation into a crisis. Foreign policy is the art of establishing priorities.

The Ukrainians are the decisive element. They live in a country with a complex history and a polyglot composition. The Western part was incorporated into the Soviet Union in 1939 , when Stalin and Hitler divided up the spoils. Crimea, 60 percent of whose population is Russian , became part of Ukraine only in 1954 , when Nikita Khrushchev, a Ukrainian by birth, awarded it as part of the 300th-year celebration of a Russian agreement with the Cossacks. The west is largely Catholic; the east largely Russian Orthodox. The west speaks Ukrainian; the east speaks mostly Russian. Any attempt by one wing of Ukraine to dominate the other — as has been the pattern — would lead eventually to civil war or break up. To treat Ukraine as part of an East-West confrontation would scuttle for decades any prospect to bring Russia and the West — especially Russia and Europe — into a cooperative international system.

Ukraine has been independent for only 23 years; it had previously been under some kind of foreign rule since the 14th century. Not surprisingly, its leaders have not learned the art of compromise, even less of historical perspective. The politics of post-independence Ukraine clearly demonstrates that the root of the problem lies in efforts by Ukrainian politicians to impose their will on recalcitrant parts of the country, first by one faction, then by the other. That is the essence of the conflict between Viktor Yanukovych and his principal political rival, Yulia Tymoshenko.

They represent the two wings of Ukraine and have not been willing to share power. A wise U.S. policy toward Ukraine would seek a way for the two parts of the country to cooperate with each other. We should seek reconciliation, not the domination of a faction.

 

Russia and the West, and least of all the various factions in Ukraine, have not acted on this principle. Each has made the situation worse. Russia would not be able to impose a military solution without isolating itself at a time when many of its borders are already precarious. For the West, the demonization of Vladimir Putin is not a policy; it is an alibi for the absence of one.

Putin should come to realize that, whatever his grievances, a policy of military impositions would produce another Cold War. For its part, the United States needs to avoid treating Russia as an aberrant to be patiently taught rules of conduct established by Washington. Putin is a serious strategist — on the premises of Russian history. Understanding U.S. values and psychology are not his strong suits. Nor has understanding Russian history and psychology been a strong point of U.S. policymakers.

Leaders of all sides should return to examining outcomes, not compete in posturing. Here is my notion of an outcome compatible with the values and security interests of all sides:

  1. Ukraine should have the right to choose freely its economic and political associations, including with Europe.
  2. Ukraine should not join NATO, a position I took seven years ago, when it last came up.
  3. Ukraine should be free to create any government compatible with the expressed will of its people. Wise Ukrainian leaders would then opt for a policy of reconciliation between the various parts of their country. Internationally, they should pursue a posture comparable to that of Finland. That nation leaves no doubt about its fierce independence and cooperates with the West in most fields but carefully avoids institutional hostility toward Russia.
  4. It is incompatible with the rules of the existing world order for Russia to annex Crimea. But it should be possible to put Crimea’s relationship to Ukraine on a less fraught basis. To that end, Russia would recognize Ukraine’s sovereignty over Crimea. Ukraine should reinforce Crimea’s autonomy in elections held in the presence of international observers. The process would include removing any ambiguities about the status of the Black Sea Fleet at Sevastopol.

These are principles, not prescriptions. People familiar with the region will know that not all of them will be palatable to all parties. The test is not absolute satisfaction but balanced dissatisfaction. If some solution based on these or comparable elements is not achieved, the drift toward confrontation will accelerate. The time for that will come soon enough.

 

Note: Traduzione (e neretto) di Alberto Cacopardo

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