Nell'economia politica dei disastri le vite umane non contano, conta solo il profitto
Si sta organizzando la ricostruzione dell'Ucraina.
In puro spirito neoliberista, che pone il mercato e il capitale privato a fondamento della pace e dello sviluppo, "solidarietà e sostegno" stanno portando il debito nazionale a crescere rapidamente, spingendo il Paese verso un lungo futuro di austerità e difficoltà economiche.
Eppure questa non è l'unica via percorribile. Quelli che dicono di tenere alle vite degli ucraini dovrebbero fermare la mercificazione del dolore e l'uso della guerra come fonte di guadagno, dovrebbero concentrarsi su come portare la pace in Ucraina e nel resto del mondo.
mercificazione: nella letteratura filosofica e sociologica contemporanea termine con cui è indicata la trasformazione in merci di cose che per loro natura non sarebbero oggetto di commercio (qualità umane, relazioni sociali, tradizioni culturali, valori ideali o estetici, ecc.). Termine vicino ai marxiani di reificazione e feticismo delle merci.
(dal vocabolario Treccani online)
L'esperienza della guerra è onnicomprensiva, è un'esperienza che cambia Paesi, comunità e individui.
Quasi sempre, tuttavia, le persone sopravvissute si aggrappano alla speranza che una volta cessata la violenza le cose torneranno a una sorta di normalità. Ma questo non accade quasi mai, perché la guerra scatena una violenza strutturale e interpersonale che cambia tutto radicalmente, raramente in meglio.
La Bosnia e Erzegovina (BiH), il Paese da cui provengo, per esempio, è cambiata in peggio.
Dopo 30 anni è più violenta, più reazionaria; drenata politicamente, socialmente ed economicamente da risorse e idee progressiste, ma come svuotata di storia. Le élites nazionali e internazionali hanno imposto l'integrazione del Paese nel mercato capitalista globale, invece di servire gli interessi del popolo hanno fatto soldi con la nostra sofferenza, nell'indifferenza delle Nazioni Unite e delle sue agenzie.
Tra gli attori che hanno usato la BiH come laboratorio delle idee neoliberali su come dovesse avvenire la ripresa, non c'erano molti interessati a isolare e abolire le cause profonde della violenza e della guerra.
Gli sforzi per la ripresa postbellica non hanno prodotto un miglioramento delle condizioni ma un aumento della povertà, depoliticizzazione, impotenza, disillusione e ansia per la maggior parte delle persone. Il recupero è diventato un concetto elusivo e ne hanno beneficiato solo quelli che sono riusciti a sfruttare sia la distruzione che la ricostruzione.
Gorana Mlinarević, una collega femminista, e io abbiamo scritto ampiamente sull'esperienza della BiH in una serie di saggi pubblicati da WILPF nel 2021. Riflessioni che mi sembrano utili a comprendere la "ricostruzione" dell'Ucraina già in corso.
Nonostante le differenze temporali e contestuali tra queste due guerre, le strutture in atto sono simili. Per l'Ucraina si sta preparando un disastro pari a quello della Bosnia e Erzegovina.
La guerra è un affare redditizio per certe corporations, persone e istituzioni.
Non siamo ancora riusciti a convincere i governi di tutto il mondo che investire in infrastrutture sociali, assistenza e sostenibilità ambientale è ciò che deve essere fatto affinché questo pianeta sopravviva, essi spendono soldi freneticamente solo per guerre e distruzione.
Secondo il Deutche Welle, dall'annessione russa di Donetsk, Lugansk, Zaporozhye e Kherson, i profitti dell'industria petrolifera sono aumentati di uno sbalorditivo 350% e quelli dell'industria degli armamenti del 150%! Più durerà la guerra, più soldi faranno, attraverso la vendita di armi all'Ucraina ma anche attraverso tutti gli altri Paesi desiderosi di militarizzarsi.
Gli Stati membri dell'UE hanno annunciato aumenti di spesa militare di quasi 200 miliardi di euro aggiuntivi nei prossimi anni, e allo stesso tempo che non ci sono soldi per le infrastrutture sociali e i servizi pubblici.
Per le corporations e le élites di molti Paesi occidentali la guerra in Ucraina è una opportunità economica oggi e lo sarà ulteriormente quando inizierà (e si espanderà) la ricostruzione. Nelle analisi geopolitiche più faziose rappresenta una buona occasione di regolamento di conti con la Russia. Molti dichiarano di essere vicini all'Ucraina ma tale sostegno merita un esame minuzioso e una riflessione critica.
Nel 2007 l'autrice canadese Naomi Klein pubblicò The Shock Doctrine: the Rise of Disaster Capitalism (in italiano Shock Economy), nel quale descrive lo sfruttamento ad opera del sistema capitalista sulle popolazioni e sui Paesi di tutto il mondo colpiti da disastri naturali o da guerre. Dall'Iraq a New Orleans ella mostra come il neoliberismo agisce e si rinforza a spese delle popolazioni traumatizzate, attraverso legislazioni e politiche che minano fatalmente i diritti dei lavoratori, comportano grandi tagli alla spesa sociale, esauriscono le risorse pubbliche ed esternalizzano i servizi nelle mani di attori economici privati. Klein afferma che il disastro capitalista ha in pochi anni raggiunto il suo ultimo obiettivo introducendo il modello pro-profit nelle funzioni di governo, in altre parole privatizzando gli Stati.
Sono passati 15 anni dalla pubblicazione di questo libro, il capitalismo dei disastri è stato ulteriormente approfondito da accademici e attivisti e molte sono state le proteste in tutto il mondo.
La devastazione economica e sociale si è fatta ancora più evidente durante la pandemia di COVID-19. Il liberismo impoverisce la nostra qualità di vita eppure gli organismi multilaterali e gli esperti lo sostengono, così come viene implementato in maniera diligente dai nostri governi che sembrano più al servizio delle corporations che della gente.
Un anno dopo l'aggressione della Russia e l'annessione illegale di parti dell'Ucraina, poche cose sorprendono quelli di noi che hanno sperimentato la guerra e lavorano per abolirla.
Abbiamo famigliarità con il trauma individuale e sociale, che è enorme; è concreto l'esaurimento degli attivisti e degli organizzatori nel cercare di rispondere a tutti i bisogni umanitari; è spaventoso il numero di ucraini forzati all'abbandono delle proprie abitazioni. La distruzione è massiccia, le prospettive per il futuro terribili. In altre parole, esistono tutte le condizioni affinché il capitalismo dei disastri si possa abbattare sul Paese.
L'Ucraina non è estranea alle politiche neoliberiste, ma è solo ora che gli interventi più estremi possono essere portati avanti. I potenziali oppositori di queste politiche sono impegnati a sopravvivere o a tenere insieme le loro comunità. Dalle donne ucraine dipende quel lavoro necessario e salvavita, non riconosciuto né contabilizzato nei luoghi in cui la ripresa viene discussa. Come ha detto Olha Georgiev dal panel Transnational Feminist Solidarity in Support of Ukraine: "La ricostruzione dell'Ucraina rifletterà gli interessi dei lavoratori ucraini, in particolare delle donne, solo se esse saranno ascoltate e riconosciute come parte attiva nel dibattito".
I piani di ricostruzione in Ucraina dovrebbero essere incentrati sulle realtà quotidiane di coloro che stanno soffrendo e sul perseguimento di una pace sostenibile, non sulla massimizzazione del profitto come invece le istituzioni finanziarie internazionali (IFI), i fondi di investimento e altri attori privati stanno disponendo.
Mentre i negoziati di pace sono affidati a uomini in uniforme "importanti" accompagnati da diplomatici, gli interventi economici già in corso vengono presentati da esperti apparentemente privi di interessi finanziari e ideologici.
La gente comune non avrà modo di influenzare il processo di transizione verso la pace
Non c'è spazio per la gente comune realmente colpita dalla guerra, che non avrà modo di influenzare il processo di transizione verso la pace. Non c'è spazio per loro nell'economia politica ufficiale nonostante stiano tenendo in piedi, in questo momento, intere comunità in tutta l'Ucraina. Nel bel mezzo della guerra, poi, qualsiasi opposizione viene attaccata come antipatriottica.
Vediamo chiaramente in Bosnia e Erzegovina, dopo 30 anni, le conseguenze di operazioni simili a quelle iniziate in Ucraina. Non possiamo aspettarci un risultato diverso nella continua produzione di crisi da parte delle élites nazionali e internazionali come tattica per mantenere le risorse e la ricchezza, e quindi il potere. Consentendo alle IFI, ai fondi di investimento, agli attori privati e ad altri organismi multilaterali di stabilire l'agenda per la ripresa – e quindi per la pace – l'Ucraina, come in passato molti altri Paesi in situazioni simili, perderà la facoltà di decidere le sue politiche interne.
L'Ucraina è al collasso sociale ed economico. Si stima che le esigenze di finanziamento non militare dell'Ucraina siano ben oltre i 3 miliardi di dollari al mese. La Banca Mondiale stima in quasi 350 miliardi di dollari i costi della ricostruzione, mentre il governo ucraino ha affermato che il conto totale potrà arrivare anche a 750 miliardi. Stime che probabilmente non tengono conto dei morti o dei traumatizzati, delle opportunità perse in termini di scolarizzazione, degli effetti a lungo termine sulla salute del popolo ucraino.
Tanti attori si oppongono attivamente ai tentativi di negoziato, e che gran parte del denaro che circola sotto le spoglie della solidarietà sia in realtà in prestito chiude l'Ucraina in un quadro terribile. La cosiddetta solidarietà sta lentamente e inesorabilmente diventando una trappola del debito.
Dei 19,7 miliardi di euro mobilitati dall'Unione Europea nel 2022 solo una piccola parte va alla società civile: 31 milioni di euro per l'esattezza.
Una banca dati recentemente istituita dal Kiel Institute for World Economy è riuscita a tracciare 84,2 miliardi di euro impegnati governement-to-government nel periodo gennaio-agosto 2022 (accessi a gennaio 2023).
Quello che sorprende abbastanza è che le belle parole non si sono mai occupate della riduzione del debito.
Se guardiamo ai numeri dei primi tre sostenitori dell'Ucraina – Stati Uniti, Regno Unito e Canada - il sostegno militare è di gran lunga superiore al sostegno umanitario.
Rispettivamente, gli Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina 15,053 miliardi di euro in aiuti finanziari e 9,906 miliardi in aiuti umanitari; lo stesso, il Regno Unito 2,555 miliardi di euro e 0,398 miliardi; il Canada 2,139 miliardi di euro e 0,288 miliardi.
Dei 19,7 miliardi di euro mobilitati dall'Unione Europea nel 2022, 16,7 miliardi di euro sono in realtà nuovi prestiti e sovvenzioni. 7,2 miliardi di euro di questi fondi sono erogati sotto forma di assistenza microfinanziaria, un tipo speciale di sostegno dell'UE e del FMI condizionato dal raggiungimento di risultati soddisfacenti nell'attuazione di riforme nel Paese, formula applicata in Ucraina già prima dell'invasione della Russia e che ha fatto registrare effetti negativi sulla vita della popolazione, specialmente femminile.
Dei 19,7 miliardi di euro, 3,1 miliardi si presentano sotto forma di sostegno militare fornito dal Fondo Europeo per la Pace (tradendo la sua denominazione). Questo denaro non va direttamente all'Ucraina ma è utilizzato per rimborsare gli Stati membri dell'UE per il loro sostegno militare. Solo una piccola parte dei 19,7 miliardi di euro va al tanto necessario sostegno della società civile: 31 milioni di euro per l'esattezza.
Per il 2023, la Commissione Europea ha previsto di distribuire 18 miliardi di euro nel corso dell'anno sotto forma di prestiti agevolati da rimborsare nel corso di un massimo di 35 anni, a partire dal 2033. La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) ha impegnato 2,2 miliardi di euro di prestiti, mentre la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) 2 miliardi di euro per sostenere Ucraina e Paesi colpiti. Il Gruppo della Banca Mondiale (BM), a gennaio 2023 ha distribuito 16 dei 18 miliardi di dollari mobilitati in finanziamenti di emergenza.
IFI, FMI e Banca mondiale coordinano l'intero intervento finanziario.
Tutta questa moneta a debito è solo la punta dell'iceberg.
Si aggiunge al debito nazionale già esistente dell'Ucraina, che nel 2021 ammontava a 71,71 miliardi di dollari e possiamo aspettarci che aumenti nei prossimi anni. Già nel 2015, l'economista ucraino Oleksandr Kravchuk aveva messo in guardia dal rischio che l'Ucraina venisse spinta verso uno "scenario greco" in cui "gli aiuti finanziari sono forniti in cambio di rigide misure che non solo conducono il Paese in uno stato di crisi socio-economica ma anche a un portfolio di debiti multimiliardari".
Troviamo altri esempi nei Paesi dell'Europa orientale e nella loro transizione verso l'economia di mercato.
Per pura disperazione o per un'effettiva convinzione ideologica e politica (probabilmente entrambe le cose), il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha seguito diligentemente la ricetta neoliberista, si è rivolto ad attori privati per ottenere sostegno. Alla Borsa di New York ha rivolto l'invito di considerare il processo di ricostruzione in Ucraina come una opportunità per le imprese di "investire in progetti di centinaia di miliardi di dollari in caso di vittoria".
Per rafforzare la sua dichiarazione, con il sostegno di WPP, una delle principali società di comunicazione del mondo, ha avviato una piattaforma online chiamata Advantage Ukraine che invita gli imprenditori a investire (industria militare, risorse naturali, energia, agroalimentare, logistica e infrastrutture) promettendo facilitazioni finanziarie e deregolamentazioni.
Il Ministero dell'Economia ucraino ha firmato, nel novembre 2022, un memorandum d'intesa con BlackRock il più grande fondo d'investimento al mondo. BlackRock gestisce 8,5 trilioni di dollari di assets e tra l'altro possiede il 7,7% di WPP.
L'anno scorso BlackRock è stato al centro di un dibattito nel mondo femminista tale che UN Women ha interrotto la loro partnership, è stato inserito ne la Corporate Accountability's Corporate Hall of Shame, CODEPINK ha organizzato una campagna contro i suoi investimenti nella produzione di armi.
Non conosciamo l'entità dei potenziali profitti di BlackRock dalla guerra in Ucraina ma siamo di fronte a un piano di risanamento completamente privatizzato e a un Paese esternalizzato.
L'Ucraina ha intrapreso la strada del neoliberismo molto prima dell'invasione russa del febbraio 2022.
La sofferta storia dell'Ucraina con il FMI inizia nel 1994, il primo prestito condizionato del FMI ha comportato la riduzione dei sussidi alla popolazione, deregolamentazione e privatizzazione delle imprese del settore pubblico.
Sulla scia di una riduzione progressiva dei diritti sindacali, l'Ucraina ha di recente adottato la legge 5371, un intervento draconiano che riguarda le piccole e medie imprese (meno di 250 dipendenti). Oltre il 70% della forza lavoro ucraina sarà ora costretto in un sistema in cui i contratti – diritti e doveri solitamente negoziati collettivamente – saranno a negoziazione individuale tra il datore di lavoro e il lavoratore.
Interventi come questo sono tipici del neoliberismo 101, portano alla precarietà ampie fasce di lavoratori e compromettono i diritti fondamentali al punto da doverli riconquistare. Sappiamo cosa significherà questo per le donne e le altre categorie sociali che hanno pochissima forza negoziale.
In altri contesti non colpiti dalla guerra l'assalto neoliberista ha portato alla crescita del lavoro flessibile e informale, ad aumento del part-time involontario e dei licenziamenti, a salari più bassi, a nessuna protezione contro le molestie sessuali e di altro tipo, a una richiesta maggiore di cura famigliare.
Lo scopo principale di queste misure non è mettere fine alla guerra il prima possibile.
I think tank, i cosiddetti esperti indipendenti, le banche private, le istituzioni finanziarie internazionali, i centri di ricerca sono pieni di "buoni consigli" orientati dal mercato. Per l'ideologia neoliberista il fondamento indiscutibile per la pace e lo sviluppo, sia interno che tra gli Stati, sta nel mercato, nel capitale e nella massimizzazione del profitto.
Anche i bisogni reali delle popolazioni colpite diventano merce.
Abbiamo bisogno di un cambio di paradigma, il capitalismo dei disastri non metterà mai fine alla guerra.
Si scopre che la pace è una questione altamente politica, le nostre società vengono modellate durante e dopo le guerre da ideologie e da interessi, c'è chi impone una visione di ricostruzione e chi viene categoricamente escluso dal processo.
La guerra in Ucraina ha portato tutto il mondo sull'orlo della guerra nucleare totale.
Nel frattempo tutte le altre crisi globali si sono intensificate. Abbiamo messo in secondo piano la ripresa dal COVID-19 e le politiche per salvare il nostro pianeta dai cambiamenti climatici e dalla distruzione ambientale. Lotte che non possiamo mettere in pausa. Nella competizione per le materie prime le élites di tutti i Paesi sono interessate ad affermare il proprio dominio.
Dobbiamo lavorare alle condizioni che permettano ai reduci dei conflitti di riprendere in mano la propria vita. Dobbiamo chiedere la cancellazione del debito creato da processi non democratici che hanno permesso di spostare il denaro dai settori pubblici nelle tasche private. Sviluppiamo quadri alternativi e nuove soluzioni, concentriamoci sugli interessi collettivi e su relazioni internazionali eque e sostenibili.
Facciamo un'analisi sistematica delle condizioni socioeconomiche attuali e comprendiamo come le strutture del militarismo, del patriarcato, dell'imperialismo nascano e prosperino nella guerra, come queste siano la causa, loro in primo luogo, degli stessi danni che poi fingono di sanare. Non potranno mai portare una pace sostenibile né in Ucraina né altrove.
Al centro del suo lavoro c'è l'economia politica convenzionale della ricostruzione postbellica. Dirige il lavoro della WILPF sullo sviluppo di alternative femministe all'economia politica capitalista e coordina le attività della WILPF in Bosnia-Erzegovina (BiH).
Trovate l'articolo originale qui
https://www.wilpf.org/commodifying-war-the-political-economy-of-disaster-capitalism-in-ukraine-and-beyond/
La mia traduzione manca di alcune parti dell'articolo originale ma resta fedele ai contenuti presentati dalla ricercatrice.
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