Italia: l'UNAC sostiene l'intervista della Bruno
«Mio marito vide» i prigionieri iracheni torturati. Lo afferma, intervistata da Primo Piano, l'approfondimento del Tg3, Pina Bruno, moglie di Massimiliano Bruno, maresciallo dei carabinieri morto nella strage di Nassiriya. “Ho visto un carcere, una cosa squallida, bruttissima. Li tenevano nudi”, raccontò il maresciallo alla moglie, la quale ha aggiunto che queste informazioni venivano comunicate in Italia. “C'erano dei posti sotterranei dove si nascondevano e nascondevano questi iracheni. Gli italiani andavano lì a prendere i carcerati iracheni e gli dicevano: Se ti comporti bene ti facciamo uscire. Ti facciamo lavorare per noi italiani”. A gestire questa sorta di celle sotterranee, raccontò il carabiniere alla moglie, non c'erano gli italiani: "erano controllate dagli americani". Secondo fonti militari, il carcere di Nassiriya è sempre stato gestito dalle forze di polizia irachene da quando il contingente italiano è giunto nell'area. Quello che Massimiliano Bruno vide, però, bastò a sconvolgerlo. "Non credeva a quello che aveva visto - racconta ancora la vedova - Mi diceva: "Se lo raccontavano non ci credevo. Quelli sono trattati peggio degli scarafaggi". E sulla trasmissione dell’intervista al TG1 si è levata una bufera con la denuncia del Comitato di redazione che chiedono al “direttore Mimun e al vicedirettore Alberto Maccari, responsabile dell'edizione delle ore 20 di questa sera - aggiunge il Cdr - di sapere quali ragioni superiori ci sono dietro la mancanza al Tg1 dell'intervista alla vedova del militare di Nassiriya sulla tortura".
Alle parole della vedova hanno fatto seguito quelle dei vertici militari che, all'unisono, hanno smentito sia le torture sia di essere a conoscenza di alcunché al riguardo. "Il ministero della Difesa non ha mai avuto alcuna notizia o informazione da parte di qualsiasi fonte circa trattamenti dei prigionieri non conformi alle norme del diritto internazionale umanitario" è la secca replica alla donna da parte del dicastero guidato da Antonio Martino. Ma nonostate anche il comando generale dell'Arma dei Carabinieri precisa di non essere mai venuto a conoscenza di sevizie nei confronti di detenuti ad opera di appartenenti alle forze della coalizione, i carabinieri dell’UNAC (Unione Nazionale Arma Carabinieri) dichiarano di essere in perfetta sintonia con le affermazioni della vedova del collega Massimiliano Bruno, sulle “torture” perpetrate in Iraq. Secondo l’UNAC anche presso la Call Center dell’Unac, attivata dopo la strage di Nassirya, giungevano notizie da militari in Iraq o rientrati in Italia, di vero caos circa maltrattamenti o “particolari” trattamenti nei confronti delle persone arrestate che venivano consegnate agli Inglesi ed alla polizia Irakena e rinchiusi in quelle Galere. L’UNAC invita tutti i Colleghi, rientrati in Patria, che sappiamo conoscono la verità, a parlare , ed a non lasciare sola la vedova Bruno, oggi abbandonata dall’Arma e dallo Stato, ed offesa nel suo dolore, da chi nega di conoscere.
Secondo Amnesty International il governo italiano è stato informato lo scorso 3 luglio 2003 in una comunicazione del Sottosegretario agli Esteri Margherita Boniver alla Commissione Affari Esteri della Camera. “Le condizioni in cui gli iracheni sono detenuti presso Camp Cropper e nella prigione di Abu Ghraib possono costituire pena o trattamento di natura crudele, inumana o degradante, vietata dal diritto internazionale” – si leggeva nel comunicato emesso da Amnesty il 30 giugno 2003. Per questo Amensty ha chiesto formalmente al presidente Berlusconi e ai ministri della Difesa e degli Esteri, Martino e Frattini quali passi fossero stati intrapresi, durante l’occupazione dell’Iraq, per assicurarsi che gli Stati cui venivano consegnate le persone arrestate dai militari italiani rispettassero le norme internazionali sui diritti umani. Per Amnesty, le parole di condanna del governo italiano nei confronti della tortura non risulteranno sufficienti in assenza di "rigorose garanzie sulla tutela dell’integrità fisica e psicologica di ogni persona arrestata in territorio iracheno”. [AT]
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