Stragi di civili in Siria: dove è finito il "volto umano" del regime jihadista?
Questa la dichiarazione del Consiglio Europeo: "A seguito della caduta del regime criminale di Al-Assad in Siria, i leader dell'UE hanno evidenziato l'occasione storica di riunire e ricostruire il paese e sottolineato l'importanza di un processo politico inclusivo e a guida siriana che risponda alle legittime aspirazioni del popolo siriano".
Tuttavia, dietro la retorica ufficiale si stanno consumando nuovi massacri ai danni della popolazione civile, smentendo le speranze di una transizione pacifica.
Dallo scorso giovedì, alcune zone della Siria sono teatro di violenti scontri tra le forze di sicurezza di Damasco e i miliziani alawiti, minoranza sciita che in passato ha sostenuto il regime di Bashar al-Assad.
In questo contesto, le notizie di stragi di civili si moltiplicano, evidenziando come il nuovo corso politico non abbia interrotto la spirale di violenza che da anni devasta il Paese.
Il regime jiadista ha cercato di minimizzare la crisi, dichiarando che gli attuali scontri rappresentano "sfide prevedibili" e che "possiamo vivere insieme".
Ma mentre i governi europei continuano a legittimare la nuova leadership, sul campo si assiste alla riproposizione di schemi già visti: repressione, uccisioni indiscriminate e impunità per i responsabili dei crimini.
Le pressioni internazionali hanno portato all'annuncio di una "commissione d'inchiesta" indipendente per far luce sui massacri di civili. Tuttavia, in un contesto segnato da anni di violenza e insabbiamenti, è lecito dubitare dell'effettiva volontà politica di garantire giustizia.
La comunità internazionale ha il dovere di non cadere nuovamente nella trappola della legittimazione frettolosa. Un cambio di regime non significa automaticamente la fine delle violazioni dei diritti umani. Il rischio, altrimenti, è quello di ritrovarsi complici di un'altra fase di repressione, questa volta con il sigillo della comunità internazionale.
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