Yugoslavia: la Nato e il disastro della base nucleare Pancevo
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Nella prima pubblicazione della sua relazione nel 2000 Michel Chossudovsky ha fornito un documento definitivo e la prova fotografica che, contrariamente a quanto dichiarato da vari osservatori internazionali, la catastrofe ambientale della base nucleare Pancevo non fu un caso di negligenza criminale (intesa come risultato di un’indifferenza criminale per le conseguenze).
All’inizio della guerra, la NATO aveva dato rassicurazioni all’opinione pubblica mondiale riguardo alla “precisione nel colpire gli obiettivi”e l’uso di armi sofisticate, allo scopo di “danni collaterali”, rischi ambientali inclusi: “Facciamo tutto il possibile per evitare inutili danni collaterali. Abbiamo preso la cosa molto sul serio, lavorato sodo, investito molto tempo per pianificare le missioni.”
(1) Nel complesso petrolchimico Pancevo, alla periferia di Belgrado, invece, è successo proprio il contrario. La sorveglianza aerea e l’utilizzo di ’immagini termiche satellitari non sono state utilizzate soltanto per bloccare l’industria petrolchimica slava, ma anche, appositamente, per generare un disastro ambientale. I raid aerei sul complesso Pancevo iniziarono il 4 aprile 1999 e continuarono inesorabilmente fino al 7 giugno.
Del complesso Pancevo faveva parte anche una raffineria petrolifera (costruita con supporto tecnico della Texaco) e un impianto per produrre un fertilizzante agricolo chimico. L’impianto petrolchimico venne bombardato (41 bombe e 7 attacchi missilistici ). Le aree bombardate si trovavano a meno di 200 metri dalle abitazioni civili. All’inizio del conflitto, gli operai dell’impianto furono coinvolti nella rimozione dei materiali tossici, svuotando molti grandi serbatoi e container di sostanze chimiche, soprattutto al fine di evitare i rischi di “danni collaterali”.
Poco a poco capirono che la Nato li stava osservando attraverso i sistemi di sorveglianza aerea e da satellite. Le immagini termiche permisero agli strateghi militari della NATO di sapere quali container erano stati svuotati e quali rimasti pieni. Come funziona? Tutti gli oggetti nell’impianto Pancevo, compresi i container pieni di sostanze chimiche, emettono raggi infrarossi. I misuratori termici possono captare, da una spia satellitare o da un aereo, i raggi infrarossi emessi da qualsiasi oggetto collocato situato all’interno dell’impianto petrolchimico e trasformare le letture in un video ad alta risoluzione o in una foto.
I misuratori termici possono captare differenze di temperatura di 0,1 gradi, consentendo agli strateghi NATO di “classificare” e distinguere facilmente i container pieni da quelli vuoti. Gli aerei da guerra NATO possedevano diversi sistemi avanzati come sensori infrarossi e elettro–ottici. Le immagini satellitari termiche furono trasmesse dal Centro aereo di operazioni combinate (CAOC) di Vicenza, Italia, dove furono decisi gli attacchi dei bombardieri. Vennero anche utilizzati altri sistemi di sorveglianza avanzata compreso i piccoli aerei senza pilota, e aerei spia d’ alta quota U2.
Secondo quanto riferito da un portavoce del Pentagono, l’U2 “scatta foto da un’ altitudine molto elevata, la rinvia in America dove viene analizzata”. Da là “vengono inviate le coordinate esatte dell’obiettivo” vengono passate al CAOC di Vicenza che poi le “trasmette ai piloti".
(2) Gli strateghi NATO possedevano inoltre informazioni dettagliate sulla disposizione dell’impianto, pensato e realizzato da una multinazionale edile americana, la Foster Wheeler (un’impresa specializzata nella costruzione di impianti petrolchimici). La NATO sapeva benissimo come stavano le cose. Con crudele ironia, un investimento statunitense in Yugolsavia (finanziato con denaro prestato dalla World Bank) è stato bombardato dallo zio Sam.
I piloti in cabina sapevano di distruggere un impianto “made in America”? Molti container erano stati svuotati. Usando i rilevatori termici la NATO era in grado di identificare quali serbatoi erano ancora pieni di sostanze chimiche tossiche. Tra questi liquidi nocivi c’erano serbatoi di etilene – di cloride (EDC), etilene, cloro, cloro – idrogeno, propilene cloruro di vinile monomero (CVM). Come ben dimostrato dagli ambientalisti, il cloruro di vinile monomero (CVM) usato per produrre materie plastiche (es. resina PVC) è una pericolosa sostanza inquinante e cancerogena. Può anche provocare danni al cervello e al fegato, oltre che ai feti con gravi deficienze alla nascita.
Se l’unico intento della NATO fosse stato il chiudere l’impianto, senza rischi ambientali “collaterali”, avrebbe potuto farlo bombardando le attrezzature e i macchinari. Perché colpire anche i serbatoi con i liquidi tossici? “Le bombe intelligenti”, non essendo stupide, andavano dove gli era stato comandato.
La NATO ha selezionato scrupolosamente i container, le cisterne e i serbatoi cha contenevano ancora sostanze tossiche. Secondo il direttore dell’impianto petrolchimico, la NATO non ha colpito nemmeno un container vuoto: “Non è stato un caso, ha scelto di colpire quelli pieni e le sostanze chimiche si sono riversate nel canale che sfocia nel Danubio”. Inoltre, secondo il direttore dell’impianto, le fuoriuscite di etilene–dicloride (EDC) hanno contaminato 10 ettari di terreno nelle vicinanze dell’impianto.
(3) Quando le bombe intelligenti colpirono i loro venefici obiettivi al Pancevo liquidi e vapori tossici si diffusero nell’aria, nell’acqua e nel terreno. I container furono fatti esplodere o perforati intenzionalmente. Nel complesso petrolchimico il terreno è ancora imbevuto di etilene-dicloride tossico.
Secondo una relazione del Centro Ambientale Regionale per l’Europa Centrale e Orientale (CRE) “nel Danubio sono confluite più di mille tonnellate di etilene – dicloride provenienti dal complesso petrolchimico Pancevo (attraverso il canale che collega l’impianto al fiume). Più di mille tonnellate di natrium idrossido fuoriuscirono dal complesso petrolchimico Pancevo . Circa 1.000 tonnellate di idrogeno cloride confluirono nel Danubio”.
(4) Otto tonnellate di mercurio si riversarono nel terreno. Anche l’impianto per il trattamento delle acque venne bombardato, contribuendo così ad aggravare l’impatto ecologico.
(5) Gli strateghi militari NATO sapevano con precisione cosa stavano facendo e quali ne sarebbero state le conseguenze. Il 4 aprile, nella raffineria vicina, due missili NATO colpirono le stanze di controllo uccidendo tre membri dello staff. L’impianto si incendiò riducendosi a un ammasso di macerie tossiche. Lo scopo era provocare un disastro ambientale. La NATO si aspettava che, bombardando senza pietà Pancevo e atre zone abitate da civili, il risultato sarebbe stato di intimidire Belgrado forzandola ad accettare l’ Accordo di Rambouillet, compresa la famigerata Military Appendix che, essenzialmente, garantiva alla NATO il diritto di occupare tutta la Yugoslavia. A seguito dei bombardamenti, i Verdi tedeschi, gli esperti delle Nazioni Unite per il controllo ambientale (PANU), oltre ad altri gruppi, visitarono l’impianto Pancevo.
La relazione del PANU tralascia gli effetti ambientali causati dai bombardamenti, mentre sottolinea, nelle sue conclusioni principali, che Pancevo e altri impianti petrolchimici del paese erano già un rischio ecologico, ancor prima dei bombardamenti, a causa del basso livello degli standard ambientali.
(6) La relazione PANU è sfrutta attentamente parole per fungere da copertura. Copre la NATO, minimizza la serietà della catastrofe ambientale, mentre biasima (senza fornire prove) le autorità slave. Il supporto del PANU alla legittimità dell’alleanza militare occidentale , arriva a fargli contraddire le sue stesse scoperte a quelle di altri studi scientifici, compresi quelli del Regional Environment Center per l’Europa Centro-orientale (CRE) realizzati per la Comunità Europea. (vd.nota a piè di pagina ).
La complicità del PANU, un’agenzia specializzata dell’ONU che ancora si ritiene mantenga un minimo di integrità, è un ennesimo sintomo del deterioramento del sistema delle Nazioni Unite che sta svolgendo un fondamentale ruolo nel fornire copertura ai crimini di guerra della NATO.
(2). Dipartimento di Difesa Conferenza Stampa Washington, 14 maggio 1999.
(3). Intervista dell’autore nel Pascevo, Marzo 2000
(4). Vd.relazione del CRE al titolo “Valutazione dell’impatto ambientale delle attività militari durante il conflitto in Yugoslavia”
(5). Intervista dell’autore nel Pascevo, marzo 2000 6. Relazione del PANU dal titolo “Conflitto in Kosovo: Conseguenze per l’ambiente e la popolazione”realizzata per la Commissione Europea
Fonte: http://globalresearch.ca/articles/CHO404B.html
Traduzione a cura di Nuovi Mondi Media
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