I PACIFISTI ITALIANI ANCORA UNA VOLTA RESPINTI ALLA FRONTIERA DELL’IRAQ
AMMAN – 3 giugno 2003 – I pacifisti italiani, vengono ancora una volta respinti alla frontiera irachena dai soldati americani.Nonostante avessero regolare permesso per accedere nel territorio iracheno.
I membri dell’Associazione Ya Basta, il giorno 1 giugno 2003, si sono recati all’Ambasciata italiana ad Amman per avere l’autorizzazione necessaria per entrare in Iraq.
Uno dei membri della delegazione spiega: “Non volevano far entrare tutta la delegazione all’interno dell’Ambasciata, ma solo tre rappresentanti della delegazione e cioè, Beppe Caccia assessore comunale di Venezia, Gianfranco Bettin pro-sindaco di Venezia e Vilma Mazza portavoce dell’Associazione Ya Basta. Noi non abbiamo accettato e con un po' di pressione siamo entrati all’interno dell’Ambasciata. “
La maggior parte della delegazione è rimasta nel cortile dell’Ambasciata, occupando in sostanza il luogo e dichiarando di non volersi muovere finche' non sarebbe arrivata una risposta certa.”
Dopo cinque o sei ore all’interno dell’Ambasciata, tramite il Ministero degli Interni Italiano, la delegazione è riuscita ad avere un permesso per entrare a Baghdad. E’ stato consigliato ai pacifisti di prendere contatto un certo Dave Keef, il responsabile di un ufficio umanitario statunitense, in caso di problemi.
La delegazione, avuto il regolare permesso per entrare nel territorio iracheno, il giorno 2 giugno 2003, è ripartita per raggiungere la meta prestabilita. Giunti al confine iracheno, certa che questa volta sarebbe riuscita ad arrivare a Baghdad., i pacifisti si sono visti negare nuovamente l’accesso nel territorio iracheno da parte dei soldati americani., i quali sostenevano che il permesso rilasciato non era valido e che loro avevano avuto l’ordine di non farli passare. Secondo il racconto di uno dei membri della delegazione, sarebbe stato esplicitamente dichiarato da uno degli ufficiali statunitensi, che il motivo per il quale la delegazione non poteva entrare nel territorio iracheno era perché i pacifisti appartenevano ad un movimento anti-globalizzazione.
I soldati statunitensi, dopo che la delegazione ha atteso otto ore per ottenere un lasciapassare, affinche' potesse entrare in Iraq, hanno brutalmente invitato i pacifisti ad andarsene, circondandoli con mezzi blindati, mentre un elicottero apache sorvolava sulla loro testa. Uno dei pacifisti, dichiara, che i soldati hanno riferito che se non fossero ritornati indietro avrebbero sparato su loro.
I membri della delegazione, si sono rifiutati di lasciare il territorio ed hanno fatto resistenza passiva, sedendosi al suolo. A questo punto, i soldati americani hanno sollevato con violenza i membri dell’associazione YA Basta e li hanno scaraventati all’interno delle autovetture. Alcuni pacifisti sono rimasti contusi.
La delegazione, in ogni modo, è decisa a non arrendersi e quindi proverà un’altra volta ad entrare nel territorio iracheno, sostenendo che i soldati statunitensi non hanno nessun motivo valido perché sia rifiutato a loro l’ingresso.
INTERVISTA A GIANFRANCO BETTIN
D. Che cosa ha spinto un membro della Giunta Comunale di Venezia ad unirsi alla Carovana di Pacifisti?
G. Bettin: perché noi da molti anni seguiamo progetti di ricostruzione ed interventi di solidarietà in vari luoghi difficili del mondo e quindi ci è sembrato naturale esserci.Siamo qua, nella continuità di tante altre iniziative analoghe, che abbiamo fatto anche direttamente solo come Comune. Ci siamo gemellati con Sarajevo, con Bethlemme, con il Chapas e con altri luoghi, appunto, in cui c’è bisogno di sostegno. Cerchiamo di fare la nostra parte. In piu’ il Comune si è anche attivamente schierato contro la guerra. Questa guerra! Il Comune di Venezia ha esposto le bandiere della pace.Alle proprie finestre. Vi è stata grande mobilitazione tra i cittadini per l’esposizione delle bandiere per la pace alle finestre contro la guerra. In questo caso c’era anche una motivazione molto specifica.
D.: Secondo lei come mai gli americani non hanno fatto entrare il movimento pacifista in Iraq. Quali sono i motivi principali?
G. Bettin: penso sia un insieme di ragioni. Per quanto riguarda la parte, diciamo di cooperazione ed il progetto di solidarietà, che noi andavamo lì a portare e che loro sapevano, perché lo abbiamo scritto e segnalato prima, credo che loro vogliono il controllo totale di queste iniziative e quindi essendo noi esplicitamente volti a costruire rapporti diretti con la realtà locale di Baghdad senza passare per l’autorità militare americana, hanno visto di cattivo occhio questa nostra intenzione. Poi, penso anche che, scorrendo la lista dei partecipanti abbiano notato la presenza in questa nostra delegazione di molti attivi pacifisti e che dunque anche questo motivo, li abbia spinti ad opporsi all’attuale nostro viaggio.
D: Secondo lei ci potrebbe essere una relazione tra il G8 ad Evian e la decisione di non far entrare il movimento pacifista a Baghdad?
G. Bettin: io penso ci avrebbero impedito di entrare anche se fossimo giunti in giorni diversi da Evian. Certo che forse la notizia di quello che stava succedendo in Francia, puo’ aver contribuito a renderli ancora piu’ determinati nella scelta di non farci entrare.
D: che è impressione ha avuto nel costatare che le truppe americane avevano il totale controllo del territorio?
Fa impressione certamente arrivare in Paese e trovare le divise di un altro Stato, questo da proprio immediatamente e visivamente l’idea che quel Paese è sotto occupazione. Devo affermare che fa' veramente impressionante. L’atteggiamento dei militari lì era piu' o meno diverso; c’era quello piu’ arrogante e prepotente e c’era quello piu’ gentile. I civili iracheni che collaborano con loro alla frontiera erano chiaramente in totale subalternità rispetto ai militari pur essendo nel loro paese, Prendevano ordine dai militari americani e naturalmente e anche questo rafforzava l’idea di un’occupazione. Poi chiaramente ci sono gli autoblindo schierati e si vede che c’è un avamposto dell’esercito americano.
D: ritiene giusto che il Governo Italiano abbia provveduto ad installare un Ospedale da Campo a Baghdad? Non sarebbe piu’ opportuno ristrutturare le strutture ospedaliere gia’ esistenti?
Sicuramente la priorità è la messa in funzione piena degli ospedali esistenti. Per esempio un’ONG che opera in Iraq - il CIS il Consorzio Italiano di Solidarietà - che è una delle piu' coerenti ed importanti organizzazioni non governative italiane, sta proprio lavorando a questo. Ha ripristinato una fabbrica d’ossigeno e lavora con i propri cooperanti con un proprio progetto, a rifornire gli ospedali di Baghdad dell’ossigeno necessario per curare i malati che ne hanno bisogno Questa è la strada maestra per noi. Dopodiché l’Ospedale da campo puo’ essere piu’ o meno utile in una certa fase d’emergenza. Il problema e che non deve essere ne' quello ne' tutto il resto delle operazioni militarizzato, perche' diventa una specie di strumento che legittima l’occupazione, invece che restituire alla societa’ civile ed alle autorità, alle istituzioni in via di riformazione, in questo caso irachene, il loro ruolo.In sostanza, invece di restituire sovranità al paese in ! cui si è si va li per rafforzare l’occupazione E per questo che noi siamo andati li aggirando il controllo delle autorità americane, non che siamo entrati clandestinamente, ma non volevamo rispondere a loro dei progetti che vogliamo costruire con la società civile o con le istituzioni irachene.
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