La voce della Bestia di Baghdad
02/07/04
Le occhiaie profonde, la barba ingrigita, le mani che si torcono dalla rabbia: eppure Saddam e' sempre la stessa vecchia volpe, vigile, cinico, sprezzante, aggressivo, orgoglioso.
In ogni caso, e il fatto passera' alla storia, l' udienza preliminare a cui il nuovo governo americano "indipendente" di Baghdad ha sottoposto Saddam Hussein nella giornata di ieri, e' stata degna dello stile del vecchio e brutale dittatore.
Saddam e' stato condotto in tribunale incatenato e ammanettato. Il giudice ha insistito perche' il proprio nome venisse tenuto segreto, cosi' pure i nomi degli altri giudici ed il nome del luogo dove si svolge il processo. Non e' stata richiesta la presenza di alcun collegio di difesa.
I giudici iracheni sono riusciti a censurare il sonoro della testimonianza di Saddam nella video-registrazione del processo, in modo che il mondo non dovesse venire a conoscenza di come quel miserabile avesse articolato la propria autodifesa. Perfino alla CNN hanno dovuto ammettere che la consegna delle cassette dell'udienza e' avvenuta in circostanze di "stretta sorveglianza".
Questo e' stato il primo esempio del "nuovo" sistema giudiziario iracheno in azione. Per non parlare del fatto che sulle imagini del filmato trasmesso dalla CNN appariva la scritta "registrazione autorizzata dall'esercito americano".
Cosa volevano, dunque, nascondere gli iracheni ed i loro mentori americani?
La voce della Bestia di Baghdad, quando si e' rivolta alla stessa Corte - con grande sorpresa del giovane giudice - facendo notare che il giudice istruttore non aveva alcun diritto di parlare in nome della cosiddetta coalizione"?
Il rifiuto arrogante di Saddam di assumersi la resposabilita' personale dell' invasione del Kuwait nel 1990? O la sua risposta, sbrigativa e raccapricciante, alla domanda relativa allo sterminio di massa di Halabja?
"Ho sentito parlare di Halabja" ha detto, come se lo avesse letto sul giornale. In seguito ha semplicemente aggiunto: "Ne sono venuto a conoscenza (dello sterminio) dai mezzi di informazione".
Forse gli americani e gli Iracheni incaricati di governare la nazione sono stati presi di sorpresa.
Nei giorni passati ci era stato detto che Saddam appariva "disorientato",
"scoraggiato", "confuso", "l'ombra di se stesso" e cosi' via.
Queste erano le parole che ieri venivano usate per descriverlo nei servizi televisivi da Baghdad, ma appena e' iniziata la trasmissione della video registrazione senza sonoro, un film muto a colori, e' apparso chiaro che il vecchio, combattivo Saddam era ancora vivo e vegeto.
Lui ha insistito nel dire che erano gli americani, non gli iracheni, a volere questo processo. E' diventato paonazzo e, mostrando un evidente disprezzo per il giudice ha gridato: "Questa e' tutta una farsa. Il vero criminale e' Bush".
Gli occhi scuri si muovevano decisi dal giudice, con la sua toga nera dai bordi dorati, al poliziotto sovrappeso dal pancione enorme - la sua faccia non si e' mai vista - con la sigla del Servizio Iracheno di Correzione sull'uniforme.
"Non firmo niente. Niente, fino a che non avro' parlato col mio avvocato", ha annunciato
Saddam. Correttamente, secondo molti avvocati iracheni che hanno assistito alla sua performance in televisione.
Sprezzante, ma non ancor sconfitto.
Guardando quella faccia, ieri, veniva da chiedersi quanto Saddam avesse realmente riflettuto sui crimini dei quali e' accusato.: Halabja, il Kuwait, la repressione della rivolta sciita e di quella curda nel 1991, le torture e le uccisioni di massa.
Quando guardi quegli occhi grandi, stanchi, umidi, viene da chiederti se per caso lui abbia mai avuto veramente coscienza del dolore, della sofferenza, del peccato come succede a noi poveri mortali.
Poi, ha parlato e, dato che dovevamo ascoltare quello che diceva, quella domanda ci e' passata di mente. Forse e' per questo che e' stato censurato. Dovevamo fissarlo negli occhi, non ascoltare le sue parole.
Ha rifiutato di farsi mettere in un angolo. Proprio come Milosevic. Ha chiesto di essere presentato al giudice. "Sono un giudice istruttore", gli ha risposto il giovane avvocato, senza specificare il proprio nome.
In realta' si tratta di Raid Juhi, un musulmano sciita di 33 anni che e' giudice da 10 anni, e questo comprende quindi proprio il periodo del regime di Saddam, una informazione che ha in seguito concesso a Saddam stesso durante l'udienza.
Si tratta dello stesso giudice che lo scorso aprile aveva accusato il prelato sciita Moqtada Sadr di omicidio, atto di accusa che aveva poi portato agli scontri militari tra i miliziani di Sadr e l'esercito americano nelle citta' sante di Najaf e Kerbala.
Il giudice Juhi ha poi ricevuto l'incarico dal proconsole USA in Iraq, Paul Bremer. Cosa che non ha sopreso nessuno.
Si suppone che Saddam abbia fatto presto a capire quello che la corte rappresentava per lui: gli Stati Uniti. "Sono Saddam Hussein, il presidente dell' Iraq" ha annunciato.
Quando il giudice Juhi ha dichiarato di rappresentare la coalizione, Saddam lo ha rimproverato dicendo che gli iracheni dovrebbero giudicare altri iracheni, ma non per conto di potenze straniere.
"Si ricordi, lei ?un giudice. Non deve parlare a nome degli occupanti"
Poi si e' girato verso il giudice e gli ha chiesto: "Queste leggi in nome delle quali mi accusate, sono state per caso promulgate sotto Saddam Hussein?"
Il giudice Juhi ha risposto che si, lo erano. "Allora, chi le da' il diritto di usarle contro il presidente che le ha firmate?"
Eccola di nuovo, la vecchia familiare arroganza, il presidente che credeva di essere immune dalle proprie leggi, al di sopra ed al di fuori della legge.
Le nere, folte sopracciglia, che di solito aggrottava quando era arrabbiato, hanno cominciato a contrarsi minacciosamente, fino a cominciare a muoversi su e giu', come piccoli ponti levatoi sopra i suoi occhi.
L' invasione del Kuwait non era un' invasione, ha detto. "Non era un' occupazione". Il Kuwait aveva cercato di strangolare l'Iraq economicamente, "per disonorare le donne irachene che dovevano andare sulla strada ed essere sfruttate per 10 denari".
Considerato il numero di donne disonorate nelle stanze di tortura di Saddam, queste parole sono destinate a rimanere nel loro unico e terribile isolamento.
Ha definito "cani" i kuwaitiani, un termine che le autorita' irachene, nella registrazione, hanno censurato e sostituito con "animali . I cani, ahime', sono tra gli animali piu' disprezzati e usati nelle imprecazioni, nel mondo arabo.
"Il presidente dell'Iraq ed il capo delle forze armate irachene sono andati in Kuwait
ufficialmente", ha urlato Saddam.
Ma ecco che, mentre guardavo quella faccia, un pensiero spaventoso mi si e' affacciato alla mente. Non potrebbe essere che quest 'uomo disgustoso, per quanto gli siano state concesse meno possibilita' di essere ascoltato di quante ne abbiano avute i nazisti durante il primo processo di Norimberga, in realta' sappia meno di quanto noi pensiamo?
Potrebbe essere che gli uomini del suo apparato, i suoi satrapi, i suoi generali leccapiedi, abbiano tenute nascoste a quest' uomo le ingiustizie commesse dal suo regime?
Non potrebbe essere possibile che il prezzo del potere fosse stato in realta' l' ignoranza, il prezzo della colpa un semplice avvertimento ogni tanto che forse le leggi dell'Iraq (cosi' immutabili, secondo quello che ha detto ieri Saddam) non venivano poi rispettate cosi' scrupolosamente come avrebbero dovuto?
No, non credo. Mi ricordo quando, una quindicina di anni fa, Saddam chiese ad un gruppo di curdi se avesse dovuto impiccare "la spia" Farzard Bazoft e come, una volta che la folla aveva dato parere favorevole all'esecuzione del giovane reporter freelance, lui ne ordino' l' immediata impiccagione.
No, io credo che Saddam sapesse. Penso che per lui la brutalita' fosse un punto di forza, la crudelta' giustizia, il dolore una semplice difficolta' momentanea, la morte qualcosa che doveva capitare sempre a qualcun altro.
Un momento importante e' stato quando Saddam, rannicchiato sulla sua sedia, ha chiesto in tono moderatamente ironico: "Non mi e' dunque permesso incontrare i miei avvocati? Neanche per 10 minuti?" Ed io non posso fare a meno di pensare a quante delle sue vittime devono aver implorato, esattamente come ha fatto lui, di poter avere ancora 10 minuti. Solo un cuore di pietra mi impedirebbe di farlo.
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