”L’accanimento nel criticare soltanto il governo rafforza l’intransigenza dei ribelli”
Non pretendiamo che la situazione sia ritornata alla normalità. In questa regione esiste un vero problema che deve essere risolto al livello umanitario, politico e della sicurezza e noi intendiamo farlo. Ma vorrei ricordare che, per loro propria ammissione, sono i ribelli che hanno dato avvio alla guerra e che sono quindi essi che devono assumersi per primi la responsabilità di quello che accade.
Non bisogna assolutamente confondere i janjawid e le milizie. I primi esistono in questa regione da decine d’anni, molto prima dell’avvento dell’attuale governo. Sono banditi che saccheggiano, uccidono e trovano nella guerra il clima propizio alle loro malefatte. Quanto alle milizie, esse sono state costituite dalle tribù che si sono rifiutate di unirsi al movimento ribelle, allo scopo di assicurare la loro difesa e di affrontare la ribellione.
Ci si accusa di non cooperare nell’assistenza umanitaria. È falso. Il rappresentante a Kartum del segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, e il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità hanno perfino parlato di progressi significativi in questo campo. Conformemente all’accordo concluso con il signor Annan - a inizio luglio – un meccanismo congiunto di valutazione del rispetto degli impegni ha tenuto la sua prima riunione il 15 luglio.
La comunità internazionale vi era rappresentata dal rappresentante di Kofi Annan e dagli ambasciatori di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Paesi Bassi e Germania. Il suo rapporto dettagliato è già davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Posso assicurarvi che è stato fatto un enorme progresso per ciò che concerne l’accesso all’assistenza umanitaria.
Abbiamo vaccinato il 98% delle persone presenti nel Darfur, le medicine sono distribuite gratuitamente, abbiamo interamente attrezzato tre ospedali, sul posto si trovano quindici medici specialisti sudanesi, organizzazioni non governative (ONG) e l’Unicef. I profughi hanno cominciato a rientrare a casa loro. Alla data del 15 luglio il governo aveva assicurato il rimpatrio di 157'000 persone.
Vi si accusa di non averle rimpatriate nei luoghi d’origine
Siamo determinati a riportare ogni tribù, ogni gruppo e ogni individuo a casa loro. Una commissione è stata incaricata di andare sul posto a partire da sabato, per assicurarsi e verificare che la gente sia ritornata di sua piena volontà. Tutti i campi profughi si trovano in territori controllati dal governo. Secondo logica, se fossero vere le accuse di razzie, insicurezza e sostegno ai janjawid - dei quali Kartum è accusata – la gente sarebbe venuta?
Ma le accuse provengono da ONG quali Amnesty International e Human rights watch, che non sono parti schierate nel conflitto. Amnesty afferma perfino di avere le prove che il governo arma i janjawid e le milizie.
Concordo con le affermazioni secondo le quali la situazione umanitaria nel Darfur è molto, molto seria e la sicurezza insoddisfacente. Ma bisogna capire che noi applichiamo un piano e che ciò si fa per gradi. Noi prevediamo di inviare nella regione 6'000 gendarmi, 3'000 dei quali sono già a piè d’opera.
Noi siamo tenuti ad arrestare i dirigenti dei janjawid e a confiscare i beni che essi hanno preso ingiustamente. Ne abbiamo arrestato un centinaio, dieci dei quali si sono già visti infliggere pene molto severe: cinque anni di prigione e l’amputazione di una mano e di un piede.
Lo so, ci verranno ancora fatti rimproveri a questo proposito! Ma sì, noi pratichiamo questo genere di sanzioni e in Darfur è proprio quello che ci vuole. Ciò vuole dire che abbiamo arrestato tutti quelli che avrebbero dovuto esserlo? No. Abbiamo giudicato tutti quelli che abbiamo arrestato? No. Possiamo esigere dal tribunale che acceleri i tempi? No.
Lei smentisce formalmente che il governo porti il suo sostegno ai janjawid e alle milizie?
Lo smentisco formalmente per quanto riguarda l’attuale conflitto. Ma occorre sapere che i ribelli in altri tempi facevano parte di quelle che chiamano le “forze di difesa popolare”, create dal governo per aiutare l’esercito a combattere i ribelli del sud del Paese. Li addestravamo e davamo loro le armi.
Khalil Ibrahim, che dirige il Movimento – ribelle – per la giustizia e l’uguaglianza, era ministro della Sanità nello Stato del Darfur e segretario generale di quei mujahidin. Egli era responsabile delle armi, del denaro, dell’addestramento, del reclutamento. Ne ha approfittato, come ne hanno approfittato le diverse milizie. Tutto questo non ha niente a che fare con l’attuale conflitto.
Bisogna anche sapere che i ribelli, come le diverse milizie, vivono fra la popolazione, dalla quale nulla li distingue. Perché noi si sia in grado di disarmare le milizie, i ribelli devono lasciare gli agglomerati, con le loro armi, e raggrupparsi in luoghi definiti di comune accordo, dove riceveranno un’assistenza umanitaria, e questo in conformità agli accordi di N’Djamena sul cessate il fuoco e alle risoluzioni del recente vertice dell’Unione Africana. Ma i ribelli si rifiutano di farlo e le milizie rifiutano di essere disarmate per tutto il tempo durante il quale saranno minacciate dai ribelli. Il governo si ritrova così nell’impossibilità di distinguere fra miliziani, janjawid e ribelli.
Un accordo politico è indispensabile. Ma l’accanimento col quale - in Occidente – si critica costantemente il solo governo non fa che rafforzare l’intransigenza dei ribelli e il loro rifiuto di negoziare. Ora i messaggi - di critica – devono essere indirizzati anche ai ribelli del Darfur – il segretario di Stato americano, Colin Powell, l’ha appena fatto, ma dopo quanto! – e alla ribellione sudista che, per ammissione dello stesso segretario di Stato americano aggiunto per le questioni africane, porta loro il suo appoggio, e all’Eritrea, dove si trovano i campi d’addestramento di tutti i movimenti sudanesi d’opposizione armata.
Articoli correlati
- Albert - bollettino pacifista del 28 settembre 2024
Per la pace, per la verità, per il disarmo
L’indignazione non basta per descrivere l'ultimo crimine di guerra in Libano. Una squadra di caccia israeliani ha sganciato bombe da una tonnellata su un quartiere densamente popolato di Beirut, lasciando sotto le macerie i civili innocenti.28 settembre 2024 - Redazione PeaceLink - Bambini in fuga, un'intera generazione esclusa dalla scuola
Guerra in Sudan: le testimonianze di missionari e organizzazioni sull'attuale drammatica situazione
Suor Ruth del Pilar, Padre Angelo Giorgetti e Vittorio Oppizzi raccontano le difficoltà quotidiane tra conflitto e insicurezza alimentare. Marco Impagliazzo di Sant'Egidio richiama l'Italia a rilanciare una conferenza internazionale per la pace.11 luglio 2024 - Redazione PeaceLink Genocidi in Africa: “Per Non Dimenticare”
Articolo realizzato in collaborazione con Raffaele Masto, scrittore, giornalista e conduttore radiofonico italiano22 giugno 2015 - Laura Tussi- Dal 14 agosto è stato rapito
Liberate Francesco
Mobilitiamo l'opinione pubblica per la liberazione di Francesco Azzarà, l'operatore umanitario di Emergency rapito in Sudan. Ci sono persone che decidono di dedicarsi al prossimo in maniera totale. Francesco è uno di questi22 ottobre 2011 - Associazione PeaceLink
Sociale.network