Appunti da Makoua
Quello che vorrei condividere con voi non è il grado della mia abbronzatura, peraltro non sono andata in villeggiatura. Né quel “com’è l’Africa”. Continente che io ho visto per pochissimo tempo e per una sua piccolissima parte, chiamata Makoua, sull’equatore congolese. Vorrei al contrario parlarvi dell’Africa che non si conosce. Quell’accogliente e pacifica, quella degli occhi profondi ed ospitali. Dei fuochi silenziosi, delle foreste inondate, delle albe e dei tramonti mozzafiato. Dei bambini che giocano felici in 4 metri quadrati nella sabbia, tutti insieme! Delle mamme che diventano “la tua mamma” e dei nonni che ti chiamano bana, figlia. Vorrei parlarvi della famiglia che ho lasciato laggiù. E che, se sono fortunata, tra pochi mesi rincontrerò…
Cominciamo allora!
La prima mattina la sveglia è suonata alle 4.30: avevamo l’Ocean du Nord (il nome di una delle tre compagnie che compie il tragitto Brazaville-Makoua) alle 6… In realtà siamo partite alle 8.30: c’era troppa gente e l’autista ha dovuto chiedere aiuto ad un’altra compagnia! In Africa impari subito che il tempo non si gestisce con l’orologio: se non ci sono tutti i prenotati non si parte, non si parte se tutti i clienti non trovano una giusta sistemazione, se tutti i bagagli non sono imbarcati (…certo accade poi che in un pulmino, dove da noi viaggerebbero non più di venti persone, trovino posto almeno in venti cinque, esclusi i bimbi piccoli comodamente accoccolati in braccio agli adulti… Ma è questo il bello dei viaggi: pigiati ad un estraneo che presto sarà tuo amico, scambiandosi pareri e cibo!).
Circa dieci ore dopo, a notte fonda - lì ad agosto si preparano per la stagione delle piogge e fa notte presto, alle 18, circa – giungiamo a destinazione. La notte c’impedisce di vedere le altissime palme, il verde della foresta e i colori vivaci degli abiti delle donne. Ma le stelle vicinissime e splendenti ci regalano la più poetica delle accoglienze! Una ventina di persone tra ragazzi, maman (tutte le donne con figli, anche se giovanissime!) e bambini ci attende: cantano al nostro arrivo, ci salutano, ci abbracciano!!! Sull’uscio di casa (sono stata ospite della Missione Cattolica delle Missionarie della Dottrina Cristiana) i 3 figli di una famiglia che abita nei pressi ci aspettano, con i fiori raccolti nell’aia, cantando un canto popolare abruzzese!!!! Sono lontanissima dalla mia piccola cittadina ai piedi del Gran Sasso, e pur tuttavia sono a casa!
La prima alba - come tutte quelle successive - colpisce il mio corpo ancora addormentato circa alle 5 del mattino: il sole rosso all’orizzonte, il cielo cremisi, indaco e celeste, le piccole nuvolette dai contorni dorati…
Dopo colazione (generalmente le suore non fanno colazione, solo un caffè prima della messa alle 5.30. Ma, adesso, hanno ospiti e sono davvero felici di riunirsi intorno al tavolo per augurarci la buona giornata) ognuno inizia la propria attività: c’è la visita ai malati ed agli anziani del villaggio, divisi per quartieri; oppure potresti essere di turno in cucina: quindi spesa al mercato, accensione del fuoco e preparazione dei cibi; o ancora ci sono i bambini della parrocchia da accudire. La mia estate africana è passata in parrocchia con i bimbi e nei quartieri del villaggio: sei per i 15 mila abitanti. Lì ho conosciuto piccoli miracoli della natura come Alphonse. Ha la leucemia ed una puntura per il vaccino alla malaria, puntura intramuscolare, ha reso disabile. Eppure…eppure solamente avendola vista una volta ha ricostruito con le sue mani una chitarra che poi ha accordato e con cui adesso suona i ritmi dei canti e delle danze africane!!! O come Phiacre, stessa malformazione di Alphonse, che trasforma i bastoncini di bambù in splendidi pick-up, o aerei, o piroghe con tanto di conducente!!! Questi due sedicenni sanno leggere a stento e scrivono peggio, se possibile. Non vanno a scuola perché temono il confronto con i coetanei fuori e con i bimbi più piccoli nelle classi in cui verrebbero inseriti… nondimeno riescono con la loro forza e con la loro fantasia a vivere, sorridere ed essere felici.
Ancora una volta vi dico “cosa non” ho fatto: non ho fotografato i tre miseri catini fuori della casupola di un anziano mentre raccoglievano acqua piovana. O la nonnina barricata nella sua poverissima capanna dietro una porta fermata da pietre, assi di legno, lamiere e sassi. Né il disordine e la sporcizia (specialmente delle discariche nel bel mezzo delle strade che bruciano a Brazzaville). Non l’ho fatto perché nessuno avrebbe potuto vedere la dignità e la vita, la sofferenza o le aspettative. Solamente la mia pietà sarebbe stata manifesta.
La foresta, il grande fiume (Makuoa è circondata da 3 fiumi il più vicino casa è anche quello più fotografato: il Linkouala, affluente destro del Congo), le canoe: questi sono i miei soggetti preferiti. La foresta, il fiume e le canoe sono la vita di Makoua, la sua ricchezza, i pilastri su cui si appoggia per venir fuori della miseria della guerra. A dir la verità la guerra, scoppiata a più riprese negli anni ’90, ha sfiorato solo marginalmente il più ricco centro del Nord: solo grandi movimenti di truppe (governative e ribelli) ma nessun combattimento. Certamente ne hanno risentito le strade e le linee telefoniche distrutte; il grande supermercato e la pompa di gasolio completamente abbandonati e l’aeroporto rimasto in piedi solamente per qualche mezzo e per la presenza dello strumento che regola il traffico aereo sopra i cieli congolesi.
Incontri allora intere famiglie che si spostano sul fiume in canoa per raggiungere il loro villaggio, pescatori che sperano in un ricco raccolto o donne velocissime rematrici. Nella foresta ci si sposta prevalentemente a piedi o in bicicletta per raggiungere i campi o i luoghi della caccia. Ma le biciclette sono utilizzate prevalentemente dagli uomini e da noi occidentali, in generale da tutti coloro che possono permettersi di spendere 80 mila franchi ҫfa (circa 90 euro). L’immagine più buffa a questo proposito appartiene al distinto Papà Matthieu che, in sella alla sua bellissima bicicletta nera non metteva mai il cavalletto con il piede ma che, dopo essere sceso ed essersi assicurato della buona postazione della sua bici, delicatamente avviava il cavalletto con la mano!!! Tutti gli altri vanno a piedi: le stradine sabbiose sono percorse instancabilmente da ragazzini festanti, uomini indaffarati e donne con le gerle cariche di frutta, ortaggi o legna. E così come per il tempo impari che anche la distanza assume connotazioni nuove: diventa fondamentale la percorrenza (un giorno di canoa, due giorni di cammino)!
L’atmosfera che ti resta nel cuore è quella calda e umida del primo impatto, appena scesa allo scalo internazionale Maya-Maya; è quella dell’odore dolce dei corpi; quella dei colori vividi che ti circondano. È quella di un posto tanto sperduto nel mondo e comunque tanto vicino al tuo cuore!!!
Vi saluto in Makoua: bissu li kendì. You gua noé! Sto andando via. Restate bene!
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