Conflitti

Bush è troppo impegnato a uccidere Iracheni

Una vergognosa risposta al disastro

31 dicembre 2004
Dave Lindorff
Fonte: CounterPunch

La notizia che il governo degli Stati Uniti ha offerto 10 miseri milioni di dollari in aiuti a quei paesi le cui coste sono state devastate dalle ondate di marea del più grande terremoto degli ultimi 40 anni dovrebbe essere ragione di imbarazzo nazionale. Il fatto che una nazione che può parlare con indifferenza dei propri deficit annuali di 400-500 miliardi di dollari, e che si propone di spendere un 100 miliardi di dollari in più all'anno nella propria semina di distruzione in Iraq, non sia in grado di venirsene fuori con qualcosa di più degli spicci da destinare agli aiuti per il dopo disastro, in un evento che ha reso profughi più di un milione di persone e che ha scosso il pianeta nella sua orbita, è penosamente sconvolgente.

Ma poi, è importante ricordarsi che esistono sia i disastri naturali che quelli artificiali, e che il pubblico Americano e il suo sistema politico scelto hanno risposte marcatamente differenti da offrire ai due. Esiste inoltre una scala differente di preoccupazione per la morte di Americani e per quella di stranieri di pelle marrone.

Per esempio, c’è il dolore nazionale che viene espresso per i 15 Americani che sono stati uccisi mentre si stavano servendo spaghetti alla mensa in una tenda militare, mentre quotidianamente uomini, donne e bambini Iracheni vengono fatti saltare in aria, non notati, alle loro tavole da pranzo dalle bombe e dal fuoco di cannone degli Stati Uniti.

C’è la spiacevole preoccupazione per i 100 Americani mancanti in località di soggiorno come quella di Phuket, ma pure il ben poco tormento nei confronti dei 45.000 locali che sono stati spazzati via dalla stessa improvvisa inondazione.

A causa di tutto questo, tale preoccupazione per come è stata espressa negli Stati Uniti riguardo alla tragica perdita di vite umane attorno al bordo dell'Oceano Indiano lo scorso fine settimana a causa di un disastro naturale si pone in profondo contrasto con la completa mancanza di preoccupazione (e ancora meno colpa) che è stata espressa per la perdita più che doppia di vite umane in Iraq per mano delle truppe Americane, dove un numero stimato di 100.000 civili hanno finora pagato il prezzo ultimo per la “liberazione” del loro paese.

Sicuramente la nazione più ricca al mondo potrebbe prestare qualche migliaio di truppe di salvataggio e di team medici e un qualcosa come un miliardo di dollari o una somma similare in modo da contribuire ad impedire le inevitabili epidemie e la carestia che seguiranno a questa ultima catastrofe naturale in una delle regioni più povere del pianeta. Ma allora, da dove verrebbero quelle truppe e quei dottori? Al momento sono occupati ad uccidere Iracheni e a rattoppare gli Americani feriti nel corso dell'ultima avventura imperiale degli Stati Uniti, e non possono essere prestati per compiere gesti umanitari.

E da dove verrebbe quel miliardo di dollari? Gli Americani ricchi l’anno prossimo dovrebbero rinunciare ad alcuni dollari in sgravi fiscali, oppure i militari in Iraq dovrebbero fare a meno di una coppia di caccia F-16.

E tuttavia, se l'America realmente desiderasse mostrare che è preoccupata per il Terzo Mondo, e effettivamente per il mondo Musulmano, a quello scopo, qui ci sarebbe un'eccellente occasione per dimostrarlo, fornendo una assistenza reale, anziché quella solamente simbolica alle Comunità Musulmane duramente colpite in Bangladesh e in Somalia, in Indonesia e nella Tailandia del sud.

Il giorno di Natale, il Presidente Bush si è presentato alla nazione con un “messaggio di compassione” piagnucoloso e alquanto zuccheroso, con il quale ha invitato il pubblico Americano a prestare considerazione per il meno fortunato. Quello stesso giorno, ha offerto l'equivalente nazionale di alcune scatole di minestra in surplus alle vittime del tsunami nell'Oceano Indiano.

Le sue parole sarebbero sembrate più sincere e sentite se avesse offerto di includere persino alcune delle decine di milioni di dollari che invece di destinare agli sforzi umanitari, le multinazionali e i ricchi gli stanno offrendo in bustarelle legali per aiutarlo a pagarsi le festività di inaugurazione.

Noi tutti dovremmo vergognarci.

Dave Lindorff è l’autore di Killing Time: an Investigation into the Death Row Case of Mumia Abu-Jamal. Il suo nuovo libro, che raccoglie gli articoli scritti per CounterPunch e intitolato "This Can't be Happening!" è previsto in prossima uscita per la Common Courage Press. Informazioni sia sul libro che su altri lavori di Lindorff al sito www.thiscantbehappening.net.

Lindorff è raggiungibile all’indirizzo di posta elettronica: dlindorff@yahoo.com

Note: Tradotto da Melektro per www.peacelink.it

Commento del traduttore: alcuni dei dati menzionati da Dave Lindorff nel suo articolo - scritto pochi giorni dopo il terribile tsunami nell'Oceano Indiano - sono divenuti presto datati a causa dell'evolversi della situazione, che ha visto nel frattempo gli Stati Uniti incrementare di qualche spicciolo la somma da destinare agli aiuti umanitari nonchè la drammatica escalation nel conto dei morti, che raggiungerà e supererà il death toll in Iraq. Rimane comunque importante la sua denuncia, come la giusta connessione creata fra la calamità naturale nel sud est Asiatico e la tragedia dell'occupazione Americana in Iraq, elementi che mettono in secondo piano l'attuale carattere volatile dei numeri.

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