La guerra dell’Italia contro la Libia fa presagire la sconfitta dell’America in Iraq
È un follia a malapena credibile e di proporzioni sconcertanti:
la nazione cristiana più potente al mondo invia le sue forze militari quasi all’altro capo del mondo ad aggredire illegalmente – senza essere stata assolutamente provocata e senza una valida ragione per farlo - uno stato devotamente musulmano con una storia dolorosa di soggiogazione coloniale alle spalle.
I leader del paese invasore mendacemente professano di essere impegnati a liberare una gente vittimizzata dal "male" quando, a dire la verità, nessun soldato avrebbe mai lasciato casa non fosse stato per l’abbondante petrolio a disposizione, che è il motivo nascosto che sta dietro all’assalto cinico e massicciamente distruttivo.
Mentre l'attacco e la risultante occupazione si fanno più brutali, con l'intensificazione degli incidenti civili più la diffusa distruzione di moschee islamiche e di altri luoghi santi, gli invasori abbracciano la loro stessa propaganda.
Aggrappandosi a miti ridicoli e ad assurde bugie, si domandano perché – i pretesi "bravi ragazzi" - non sono stati accolti favorevolmente con giubilo, baci e fiori. Come si spiegano le bombe ai bordi delle strade, i lancia granate e l'odio ribollente che pervade un’intera popolazione?
Nella terra di casa dell’aggressore, gli architetti di una guerra completamente gratuita e orribilmente sanguinosa generata dalla loro stessa abissale ingordigia e da un generale fallimento morale, dicono di come "non avessero previsto” un'insurrezione capace di resistere in maniera tanto feroce.
Quindi si rivelano ai posteri per essere fra i più grandi stupidi che mai furono capaci di fraintendere la realtà oggettiva!
Tuttavia non è che tali debacle come la crociata di George Bush contro l'Iraq non si siano presentate prima.
Infatti, la ragione per la quale nessun impero è sopravvissuto al trascorrere del tempo è attribuibile ai colonialisti che tentano similmente di contorcere la storia in forme che la stessa alla fine finisce per non accettare.
Uno dei paralleli più istruttivi è virtualmente sconosciuto agli Americani, il che è un peccato, dato che avremmo potuto risparmiarci la nostra debacle attuale se avessimo studiato l'esempio Italiano / Libico dei primi anni del secolo scorso.
Nel 1911, l'Italia invase la Libia in conseguenza della sua ambizione imperiale per una "Nuova Roma" che, particolarmente dopo che Benito Mussolini aveva assunto il potere nel 1922, avrebbe modellato i disegni Italiani in politica estera fino alla loro benvenuta obliterazione nella Seconda Guerra Mondiale.
Dopo aver inizialmente occupato Tripoli e Benghazi, la forza di spedizione Italiana arrivò a prevedere una rapida vittoria. Invece dovette confrontarsi con la risoluta resistenza da parte di inesorabili patrioti nazionali e di fedeli religiosi guidati da un eroe improbabile, l’anziano sceicco Omar al Mukhtar.
Di fronte ad attacchi che erano costanti tanto quanto quelli attualmente in corso contro le truppe degli Stati Uniti a Baghdad e dintorni, Mussolini temette che il suo ambizioso obiettivo di elevare l'Italia al ruolo di potenza coloniale alla pari con Gran Bretagna e Francia, sarebbe crollato.
La sua soluzione male orientata fu quella di affidare la campagna Italiana ad uno stratega singolarmente spietato, il Generale Rodolfo Graziani, che sarebbe stato il primo ad utilizzare su larga scala i carri armati e gli aerei nella guerra del deserto e i cui duri metodi portarono ad imprigionare o uccidere chiunque non si fosse piegato docilmente alla ingannevole “qualità" degli obiettivi Italiani.
Innumerevoli villaggi vennero distrutti, i loro pozzi vitali riempiti di cemento, i campi agricoli distrutti e migliaia di Libici furono spediti in campi di concentramento di massa che sarebbero poi divenuti pochi anni dopo il modello per i campi dei Nazisti Tedeschi.
Centinaia di migliaia di Libici perirono durante la guerra, che non sarebbe stata vinta dagli Italiani anche se in maniera illusoria fino al 1931, quando Mukhtar venne infine catturato e impiccato. Il dittatore Mussolini, naturalmente, finì per patire allo fine lo stesso destino, linciato dai suoi stessi cittadini.
La resistenza Libica era decisivamente seminale a parecchi livelli. Fu una delle prime manifestazioni vittoriose di guerra rivoluzionaria del popolo, che ispirò successive vittorie un pò dappertutto, dal Kenia, alla vicina Algeria fino al Vietnam. Inoltre contrassegnò la prima apparizione moderna sul palcoscenico mondiale dei Mujahideen musulmani nella veste di guerrieri.
Nel 1980, un film da 34 milioni di dollari, ‘The Lion of the Desert’, portò questa storia importante ad un pubblico occidentale e globale. Anche se adesso viene riconosciuto come una grande epica che rivela una verità ancora più grande, e nonostante da allora sia divenuto quello che è definito un classico, alla sua uscita il film andò a picco al box office.
Nonostante avesse nel cast attori tanto conosciuti come Rod Steiger e Anthony Quinn, il film raccontava un soggetto troppo oscuro e in termini troppo radicali per guadagnare il favore di un pubblico all'inizio dell'era conservatrice di Reagan, quando quello che tirava il box office erano film come ‘Star Wars’.
Diretto in maniera superba dal regista di origini Siriane Moustapha Akkad, è una bruciante esposizione sul perché la guerra di Mussolini fu destinata al fallimento -- e, per estrapolazione, perché tutti gli sforzi similari alla "Shock and Awe” da parte del Primo Mondo di imporre la propria volontà imperiale al Terzo Mondo sono destinati a finire in catastrofe.
Molto di più persino delle scene strazianti di Mogadiscio in ‘Blackhawk Down’, ‘The Lion of the Desert’ prevede il disastro mediorientale che attende inesorabilmente gli Occidentali che cercano di rimodellare strumentalmente la regione ad immagine dei propri "valori” apertamente corrotti e tesi al più selvaggio sfruttamento.
La tenace ferocia dell'insurrezione Irachena -- e il supporto popolare di cui gode fra la gente Irachena – non è una misteriosa sorpresa. E non c’è nulla di poco chiaro su quello che sarà il risultato della guerra.
Se dovessimo fallire di rinvenire prima di allora, noi Americani alla fine saremo cacciati fuori nel bel mezzo di un colossale imbarazzo che farà sembrare la nostra affrettata ritirata con gli elicotteri da Saigon nel 1975 come poco più di una recita scolastica.
‘The Lion of the Desert’ si conclude con una delle più potenti scene mai filmate.
Quando tutta la forza militare omicida dell'Italia fascista è stata liberata in un orgia di massacri indiscriminati e quando gli ultimi dei ribelli anziani sono stati uccisi (assieme ad un gran numero di donne e di bambini interamente innocenti), un giovane ragazzo emerge dal fumo e dal fuoco.
Afferra il fucile di un insorgente caduto, a simbolizzare che la lotta della gente non si arresta fino a quando la vera sovranità e l’auto-determinazione sono finalmente raggiunte.
La vittoria può essere rinviata per decenni, persino generazioni, ma non può essere permanentemente tenuta in sospensione.
È quella lezione storica di base che l'America è condannata ad imparare, molta della quale a suo danno, il più terribilmente doloroso.
Non ci può essere altra conseguenza quando le voci d'avvertimento di pace e giustizia vengono così testardamente e persistentemente ignorate.
Il testo e' liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando le fonti, l'autore e il traduttore.
Dennis Rahkonen, da Superior, Wisconsin – USA, scrive commentario progressista e versi per numerose pubblicazioni fin dagli anni 60. Può essere raggiunto all’indirizzo di posta elettronica: dennisr@cp.duluth.mn.us .
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