Conflitti

«Io, veterano dell'Iraq, contro questa guerra per il petrolio»

La storia del soldato Usa Patrick Resta, ufficiale della 33esima corazzata
26 gennaio 2005
Derek Seidman (Condirettore della rivista americana Left Hook)
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Patrick Resta è stato ufficiale medico in Iraq con la trentesima Brigata, prima divisione di fanteria. E' rimasto in Iraq per otto mesi nel 2004 ed è tornato a casa appena due mesi fa. Recentemente ha iniziato a pronunciarsi contro la guerra e l'occupazione, entrando a far parte del movimento "Iraq Veterans Against the War".

Patrick, quando sei stato in Iraq? Dove ti trovavi esattamente e di che cosa ti occupavi?

Sono stato in un accampamento nel Nordest dell'Iraq dal 12 marzo 2004 al 15 novembre 2004. L'accampamento si trovava nella provincia di Diyala, nella zona di Baqubah. Eravamo a quasi 100 miglia da Baghdad e a circa 30 dal confine con l'Iran. Io ero un ufficiale medico, quindi le mie mansioni erano prevalentemente di natura sanitaria. A volte facevo i turni al pronto soccorso, che aveva 3 posti letto e dove vedevamo di tutto, dal banale raffreddore fino a ferite d'arma da fuoco e da schegge. Accompagnavo anche pattuglie e convogli che si spostavano in città per l'approvvigionamento, nel caso qualcuno rimanesse ferito durante la missione.

Quando sei entrato nell'esercito, e perché?

Mi sono arruolato poco dopo avere finito le scuole superiori. La motivazione principale era quella di guadagnarmi i soldi per andare all'università e avere l'occasione per fare pratica come medico. I miei genitori mi avevano detto chiaramente che non avevano la possibilità di aiutarmi a pagare le tasse universitarie. Penso che la stragrande maggioranza delle persone che si arruolano lo faccia proprio per avere la possibilità di studiare.

Com'è la vita quotidiana dei soldati? Che cosa, in particolare, dovremmo sapere su quello che succede veramente in Iraq?

La vita quotidiana di un soldato dipende in gran parte dalla regione dell'Iraq in cui si trova. Chi sta negli accampamenti più grandi ha servizi più diversificati e di migliore qualità rispetto a quelli che avevo io. Penso ad esempio ai cinema, alle piscine, ai fast food e ai negozi. Anche le condizioni di vita variano molto: c'è chi soggiorna in caserma, più o meno come negli Stati Uniti, e chi in container o addirittura in tenda. Io vivevo in un container con altri tre ufficiali medici. Aveva luci al neon, aria condizionata e diverse prese elettriche. Ho avuto pochissimi giorni di ferie per tutto il tempo in cui ero lì. Lavoravo al pronto soccorso, seguivo le pattuglie e le missioni o accompagnavo i convogli in altri accampamenti.

Che clima c'è tra i soldati americani in Iraq?

La cosa che più mi infastidisce in relazione alla situazione irachena è la reazione della gente, o meglio l'assenza di una reazione. Mi sembra che il pubblico sia un po' troppo accondiscendente nei riguardi delle rappresentazioni mediatiche. Trovo assai pericolose le idee distorte che la gente si è fatta sulla situazione irachena. Penso ad esempio alle seguenti convinzioni: che il popolo iracheno ci voglia sul suo territorio, che stiamo ricostruendo il paese, che stiamo aiutando il suo popolo, che le forze di sicurezza irachene siano anche minimamente capaci di assumere il controllo della situazione, e potrei continuare a lungo. Per non parlare delle idee sconcertanti che il pubblico americano si è fatto in relazione ai soldati che si trovano in Iraq, specialmente quella secondo cui la maggioranza dei soldati sarebbe a favore della guerra e ben contenta di parteciparvi. Mentre ero in Iraq, "The Stars and Stripes", un quotidiano militare, ha pubblicato un sondaggio secondo il quale una vasta maggioranza dei soldati era contraria. Il giornale ha pubblicato anche molte lettere al direttore con critiche all'Amministrazione [Bush] e alla guerra in generale. Vi è poi il problema della mancanza di veicoli corazzati, che costa la vita e l'integrità fisica a molti soldati. La mia unità è stata particolarmente toccata da questo problema. Ho molte foto di veicoli il cui unico rivestimento era in legno compensato, eppure venivano inviati in combattimento.

Tu sei stato in Iraq per molti mesi e ora sei entrato nel movimento dei veterani dell'Iraq contro la guerra. Ma sono davvero tanti i soldati che contestano la guerra e che non ne possono più di quanto sta accadendo?

Penso che molti soldati non capiscano il senso degli sforzi profusi in Iraq. In Iraq ho visto sempre più persone arrivare allo sfinimento. Questo stato d'animo si intensifica quanto più frequentemente si viene attaccati, quanto più aumentano i feriti e i morti. Per un po' di tempo dopo il mio arrivo, ogni sera, prima di andare a dormire, cercavo di trovare il motivo per cui stavo in Iraq. Non riuscivo a trovarlo. Alla fine, ho visto due foto sul National Geographic che mi hanno fatto capire abbastanza chiaramente perché mi trovavo là, e così le ho incollate sopra la mia branda per ricordarmelo. La prima immagine mostrava una trentina di marines che sorvegliavano il Ministero del Petrolio a Baghdad, mentre la seconda raffigurava la Marina che scortava una petroliera nel Golfo Persico. La mancanza di equipaggiamento non fa che peggiorare la situazione. Mi sono accorto quasi subito quanto valesse la mia vita umana agli occhi di questa Amministrazione e del pubblico americano. Detto questo, tutti abbiamo preso molto sul serio la nostra missione e abbiamo cercato di avere un impatto il più possibile positivo, per far sì che stare in Iraq servisse a qualcosa. Ma è deprimente quando ti accorgi che, per diversi mesi o anche un anno, rischi la vita per niente. Può arrivare in ogni momento un missile o un colpo di mortaio, strappandoti la vita, le braccia o le gambe, e tutto questo ha ben poco senso. La stragrande maggioranza degli iracheni non ci vuole, le ragioni addotte a sostegno della guerra si sono rivelate false e rimanere ancora sul territorio non fa che rinfocolare gli animi.

Hai parlato dei veicoli corazzati. La questione si è fatta particolarmente scottante alcune settimane fa, dopo la visita in Iraq di Donald Rumsfeld a cui un soldato ha fatto notare la cosa. I soldati e le loro famiglie lamentano la mancanza di mezzi sicuri da tempo, ottenendo ben pochi riscontri. Perché pensi che il governo sia così negligente?

La mancanza di rivestimenti corazzati per i veicoli è sempre un problema che i soldati pagano con la vita e l'integrità fisica. Tutto deriva dal fatto che l'Amministrazione ascolta solo chi vuole ascoltare. Come Ahmed Chalabi, che continua a dire che gli americani vengono accolti come se avessero liberato Parigi. In parte, è il desiderio di contenere i costi, già irrisori, di questa guerra. In parte è la volontà di fare in modo che la massima parte dei fondi finisca direttamente nelle casse delle grandi aziende. Poi è anche il fatto che questa Amministrazione nasconde la testa sotto la sabbia. Ad oggi, non hanno ancora ammesso - e nemmeno affrontato - il problema della totale mancanza di pianificazione strategica sul dopoguerra e su come uscire dalla guerra. In realtà, l'Amministrazione non ha mai voluto una strategia per uscire dalla guerra perché ha pensato a una lunga occupazione dell'Iraq, almeno fino all'estate del 2006.

Circa una settimana dopo l'arrivo di Rumsfeld, un'azienda che produce rivestimenti corazzati ha rivelato che non le era neanche stato chiesto di aumentare la produzione. Ma l'Amministrazione e il pubblico, in gran parte, non se ne interessano: non hanno figli in Iraq che vanno incontro ai lanciagranate con una jeep rivestita di compensato.

La mia brigata ha perso il primo soldato durante il tragitto dal Kuwait: si trovava a bordo di un veicolo non corazzato che ha urtato una mina. Un altro commilitone ha perso un avambraccio, ancora una volta mentre si trovava a bordo di un veicolo non corazzato che è stato investito da un'esplosione. Il braccio si è salvato e ha subito numerosi interventi chirurgici, ma gli hanno detto che ci vorrà un anno prima che possa recuperare la capacità di movimento e la sensibilità del moncone che gli è rimasto. Situazioni come questa si verificano quotidianamente.

Come sono i rapporti tra i soldati statunitensi e gli iracheni? Che indicazioni avete ricevuto, tu e i tuoi commilitoni, riguardo al tipo di rapporto da intrattenere?

La maggioranza degli iracheni non si pone apertamente in contrasto con i soldati americani. Tuttavia, se si parla con loro e si chiede la loro opinione (io l'ho fatto spesso), non esitano a dire che nessuno ci vuole. Dopo la scoperta delle bufale riguardo alle armi di distruzione di massa, la guerra ha iniziato a essere presentata come una missione umanitaria. La maggioranza delle opinioni espresse in pubblico dai cittadini del luogo si concentravano sugli stessi concetti. La guerra era stata presentata loro come un modo per liberarsi da Saddam, un desiderio che era anche il loro. Ma ben presto si è compreso che la vera ragione della guerra non era questa. Anche a loro l'Amministrazione ha mentito: ora sono una nazione occupata e sanno benissimo che l'unica ragione della guerra è il petrolio.

Un elemento che non riceve molta attenzione è il numero dei soldati feriti in Iraq, e che cosa queste cifre realmente significhino. Finora, sono stati feriti oltre 10.000 soldati. Hai lavorato come ufficiale medico, perciò sei in grado di dirci di più?

Un aspetto che voglio assolutamente chiarire è che secondo me queste cifre non sono veritiere. Tra le ferite rientra di tutto, dalla lesione al timpano per un'esplosione, alla ferita da arma da fuoco, da schegge, da esplosione, e così via. Ma queste cifre non tengono conto di chi è rimasto traumatizzato psicologicamente da ciò che ha visto, di chi ha problemi da abuso di sostanze né di chi arriva al suicidio.

Proprio come per il Vietnam, ci vorranno anni prima che si conoscano i veri effetti di questo conflitto.

Uno degli argomenti dei tuoi detrattori è che i soldati contrari alla guerra si sono arruolati sapendo che avrebbero potuto essere inviati in guerra malgrado la loro contrarietà: avete firmato un contratto, perciò smettetela di lamentarti. Qual è la tua replica?

Questa guerra è stata spacciata al pubblico americano secondo le stesse modalità del Vietnam. E' lo stesso effetto domino, solo che ora invece di fermare il comunismo stiamo esportando la democrazia. Bene. Il Vietnam aveva creato una minaccia per gli Usa, come del resto l'Iraq. Concedetemi una breve lezione di storia: l'Iraq è stato coinvolto in una brutale guerra di trincea con l'Iran, durata dal 1980 al 1988. Alla guerra del Golfo del 1991 sono seguiti dodici anni di sanzioni devastanti e, periodicamente, dei bombardamenti. Una minaccia? Improbabile. In Vietnam ci si è trovati alle prese con l'Agente Orange, in Iraq con l'uranio impoverito. I veterani del Vietnam sono ritornati a casa e non hanno ricevuto cure adeguate dal Dipartimento dei veterani; lo stesso accade già ora ai veterani dell'Iraq. L'unica cosa che manca è la leva obbligatoria, ma non per molto. Il popolo americano sembra dormire sonni tranquilli mentre vengono uccisi i figli degli altri, ma dubito che dormirà così beatamente quando sarà il turno dei propri.

Nessun militare si arruola con l'idea di morire per niente. O quantomeno io so per certo di non averlo fatto. I soldati vengono prodotti in serie al Pentagono, ma sono persone vere, con famiglie reali. La maggior parte ha origini povere e appartiene a famiglie della classe lavoratrice, e penso che ciò sia in qualche modo legato all'idea distorta, ma diffusa, secondo cui la vita di un soldato è meno preziosa di quella di un cittadino medio americano. Se si vuole inviare centinaia di migliaia di soldati allo sbando per una cosa così assurda, almeno bisognerebbe equipaggiarli per dare loro la possibilità di combattere per la sopravvivenza e per mantenere intatti tutti e quattro gli arti. Sostegno alle nostre truppe? Non mi pare proprio. Vorrei spiegarlo in modo semplice: la maggioranza dei ragazzi che muoiono in Iraq (e sono appunto ragazzi) ha tra i 18 e i 22 anni. Questi ragazzi non andranno mai all'università, non si sposeranno mai, non avranno mai figli, non avranno mai nipoti, non andranno mai in pensione e non si godranno mai la vita. Lasciano però dietro di sé bambini che non conosceranno mai il loro padre e vedove che non troveranno mai pace.

Che cosa ti ha fatto prendere la decisione di dedicarti all'attivismo contro la guerra e l'occupazione?

Penso che questa sarà la risposta più breve. Non voglio vedere altri miei commilitoni rimanere uccisi, menomati o traumatizzati psicologicamente per niente. Non voglio vedere altri civili iracheni rimanere uccisi o feriti per niente. Questa amministrazione non sta facendo altro che creare una nuova generazione di ribelli. E soprattutto, voglio fare sapere alla gente che cosa si chiede ai nostri soldati in Iraq e come glielo si chiede. Voglio che il pubblico sia informato del fatto che non ha un'idea completa di quello che sta succedendo in Iraq. La maggioranza dei giornalisti inviati ha il terrore di uscire dagli accampamenti e quindi si limita a dire ciò che vede all'interno degli accampamenti stessi o quello che riferisce l'esercito. Nessuno degli attacchi avvenuti nella mia zona è stato riportato dai media.

Quale pensi sia il ruolo dei soldati e dei veterani contro la guerra all'interno del movimento pacifista? Come si può costruire un rapporto sano tra civili e soldati/veterani contro la guerra e come può il movimento pacifista accogliere meglio i soldati che vogliono protestare contro la guerra e l'occupazione?

Penso che ovviamente, in quanto veterani di questa guerra, noi siamo i più qualificati a parlare delle condizioni in Iraq. Siamo stati in Iraq e ci abbiamo vissuto. Siamo stati in posti molto diversi dai siti selezionati che vengono mostrati ai giornalisti e ai parlamentari. Abbiamo parlato con moltissimi soldati, e non solo con quelli con cui è stata concordata un'intervista perché dicessero ai media ciò che l'esercito e l'amministrazione vogliono far sentire al pubblico. Noi, invece, diciamo alla gente che molti soldati non approvano questa guerra e non sono d'accordo con i pretesti che sono state addotti per questa guerra, con la mancanza di equipaggiamento, con l'assenza di pianificazione e con le ripetute bugie che l'amministrazione diffonde sulla situazione in Iraq. La seconda parte della domanda richiede una risposta più complessa. Personalmente, io non sono pacifista e non mi sono mai sentito a mio agio con le varie associazioni per la pace. Sono solo un veterano che capisce fin troppo bene i sacrifici che vengono fatti, e per questo non posso starmene zitto lasciando che continui così. La maggioranza di noi vuole solo che questa sofferenza abbia fine. Molto spesso mi chiedono cose assurde sull'Iraq. Se un veterano vuole parlare della guerra, prima o poi lo farà, quando è pronto e quando è in grado di parlarne. Il pubblico non può neanche immaginare che cosa passano alcune persone in Iraq. Per questo, bisognerebbe esordire presentandosi e ringraziando il soldato in questione per essere uscito allo scoperto, così come si farebbe con chiunque altro. Molti veterani finiscono per non parlare mai della guerra in quanto rischiano di essere puniti in base alla legge marziale. Altri veterani non vogliono ammettere che dei loro amici o parenti siano rimasti feriti o abbiano addirittura perso la vita per una guerra non necessaria. Penso che la loro situazione sia davvero la più difficile da sostenere.

Note: Traduzione di Sabrina Fusari

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